da Tempi 2 aprile 2019
Per «contrastare l’immigrazione illegale» e favorire la creazione di posti di lavoro, Bruxelles ha finanziato con 20 milioni un progetto in Eritrea. Il contratto però prevede l’utilizzo del lavoro forzato (proprio ciò da cui scappano gli eritrei)
di Leone Grotti
“Aiutiamoli a casa loro” è il ritornello, spesso abusato, di chi vuole frenare l’immigrazione clandestina in Europa sostenendo lo sviluppo economico e sociale delle popolazioni africane in loco. L’intento è lodevole e l’impegno da parte dell’Unione Europea su questo fronte necessario, ma la cooperazione internazionale è da sempre un campo minato.
Trattare con regimi o governi corrotti non è facile e non di rado si rischia di fare più male che bene. L’ultimo accordo firmato da Eritrea e Bruxelles è un esempio perfetto. Il Fondo fiduciario di emergenza dell’Ue (Eutf) ha stanziato 20 milioni per la ricostruzione della fondamentale arteria stradale che collega Etiopia ed Eritrea. L’Eutf è stato fondato nel 2015 per combattere alla radice le cause dell’immigrazione clandestina.
GUERRA E PACE
Il conflitto tra i due paesi, cominciato nel 1998, non si è mai davvero concluso fino al luglio 2018. La scorsa estate il premier etiope Ahmed Abiy e il presidente eritreo Isaias Afewerki hanno firmato un trattato che oltre a risolvere i problemi legati ai confini, apre per la prima volta da 20 anni i porti eritrei che si affacciano sul Mar Rosso alle merci provenienti dall’Etiopia, che non ha sbocchi sul mare.
Per permettere gli scambi commerciali, però, è fondamentale riparare tre strade che collegano i due paesi. Bruxelles ha finanziato la ricostruzione della strada principale (Nefasit-Dekemhare-Senafe-Zalembessa) per sviluppare l’economia dei due paesi. Gli altri obiettivi sono la creazione di posti di lavoro in Eritrea e la lotta contro «le cause dell’immigrazione illegale».
BRUXELLES ACCETTA IL LAVORO FORZATO
Il progetto dell’Ue dovrebbe raccogliere solo lodi, eppure un gruppo di esuli eritrei di stanza in Olanda ha deciso di fare causa alla Commissione Europea. La Fondazione olandese per i diritti umani degli eritrei ha protestato infatti perché i lavori saranno supervisionati dal partito unico.
Il Pfdj, che guida il regime in Eritrea, ha già sostituito le imprese private deputate alla costruzione della strada con organismi controllati dal dittatore Afewerki. In particolare, l’accordo prevede che ai lavori possano partecipare «professionisti del governo, impiegati delle comunità locali» e soprattutto «coscritti nel servizio nazionale».
E qui casca l’asino perché la coscrizione obbligatoria e indefinita è il principale motivo che spinge alla fuga circa cinquemila eritrei al mese. Tutti i giovani a partire dai 17 anni, maschi e femmine, sono sottoposti al servizio di leva, che può durare anche 30 anni.
In questo modo il regime priva i giovani del loro futuro, sfruttandoli anche per lavorare a meno di un dollaro al giorno. Come riconosciuto dalla Commissione di inchiesta dell’Onu sui diritti umani in Eritrea, infatti, i coscritti «vengono sottoposti al lavoro forzato» e il servizio militare «spinge un grande numero di eritrei a lasciare il paese».
SI FA PRESTO A DIRE “AIUTIAMOLI A CASA LORO”
Nell’accordo firmato a febbraio si riconosce che l’utilizzo dei coscritti per i lavori «sarà oggetto di intenso dialogo». Asmara, si legge, ha promesso di «cominciare il processo di smobilitazione del popolo dal servizio di leva», che era giustificato ufficialmente dal persistente stato di guerra con l’Etiopia.
Questo processo però comincerà soltanto quando «saranno stati creati posti di lavoro, perché l’attuale stato dell’economia lo impedisce». Gli esuli eritrei hanno scritto all’Unione Europea «per dettagliare il problema. Bisogna trovare una soluzione».
Il punto, spiega a Rfi l’avvocato della fondazione Emiel Jurjens, «è che l’Ue riconosce apertamente l’utilizzo del lavoro forzato. Questa condizione non impedirà il trasferimento dei fondi».
Si fa presto a dire “Aiutiamoli a casa loro”. Autorizzando per iscritto lo sfruttamento degli eritrei, addirittura pagando per alimentarlo, Bruxelles rischia seriamente di aumentare il numero di disperati in fuga da un regime barbaro e totalitario.
Se 474 eritrei hanno fatto richiesta di asilo in Italia nel 2014, secondo dati del ministero dell’Interno, il numero è passato a 729 nel 2015, poi nel 2016 c’è stato un incremento del 925 per cento, con 7.472 richieste, calate a 4.979 nel 2017 e a 818 nel 2018.
A gennaio e febbraio di quest’anno solo 86 eritrei hanno fatto domanda. Se il trend è in calo, non è certo grazie al modo discutibile con cui l’Unione Europea cerca di «contrastare l’immigrazione illegale».