Anche la più comprensibile delle intenzioni per aprire la porta alla selezione degli embrioni sani finisce per legittimare lo scarto degli esemplari difettosi
Giacomo Samek Lodovici
In questi giorni la Corte Costituzionale sta valutando la legittimità del divieto di diagnosi pre-impianto contenuto nella legge 40 e confermato dalla volontà popolare nel referendum del 2005.
Più volte su questo giornale è stato notato che, qualora la Corte decidesse di abrogare il divieto, con ciò si finirebbe con l’introdurrebbe nel nostro ordinamento – anche non volendolo – un principio di eugenetica. Sarebbe un grave passo su una china estremamente pericolosa.
Diversi giuristi hanno segnalato che la sentenza della Consulta che un anno fa ha ammesso la fecondazione eterologa ha, in sostanza, stabilito l’esistenza di un inaccettabile “diritto al figlio”. La diagnosi pre-impianto sancirebbe, in aggiunta, un “diritto al figlio sano”, che facilmente diventerà un “diritto al figlio a scelta” con le caratteristiche desiderate, in un processo estremo di “cosificazione” dell’uomo, ridotto a mero prodotto che si può dunque scartare e distruggere a proprio piacimento.
E’ comprensibilissimo che una coppia portatrice di anomalie ereditarie tema che il nascituro sia affetto da malattie serie. Ma la diagnosi pre-impianto non ha scopi terapeutici, consentendo solo di decidere se accettare o scartare l’essere umano realizzato in provetta: lo scopo non è curare la malattia ma non far nascere il concepito che risultasse malato.
Ma il concepito con gameti umani è indiscutibilmente un essere umano, il più indifeso. Ogni essere umano è più prezioso di tutte le opere d’arte messe insieme, e lo è per il suo mero esserci, non per caratteristiche intellettuali o fisiche, o per la sua utilità sociale. I bioeticisti di matrice personalista hanno varie volte argomentato che il concepito è uno di noi (differisce solo per la quantità della materia che lo costituisce e per la complessità della sua organizzazione).
Per poter valutare correttamente la questione richiamiamo il principio di precauzione: se nella società c’è divergenza circa lo statuto del concepito, lo Stato dovrebbe fare come il cacciatore che non deve sparare contro una siepe che vede muoversi se non è certo della natura di ciò che si trova oltre. Se non si hanno certezze sullo status del concepito neppure si dovrebbe rischiare di consentire una pratica di selezione che rischia di essere eugenetica.
Dicevamo della china pericolosa. Se già è gravissimo uccidere un essere umano per le sue patologie, la situazione diventa sempre più aberrante quando il concetto di salute si dilata, come è avvenuto in Paesi dove l’eugenetica è stata applicata: per esempio nella Germania nazista, ma anche in alcuni Paesi nordici e anglosassoni. Si dilata fino a includere anche la tutela della salute di chi deve prendersi cura di un essere umano o di chi si imbatte in altri esseri umani che gli procurano fastidio. Nella loro salute viene incluso anche un concetto di benessere che è difficilmente definibile e che può aprire la porta ad abusi non più circoscrivibili.
Infine, il concetto di salute si amplifica fino a riguardare l’intera specie umana, che si asserisce debba essere risanata dagli esemplari difettosi.