Dal blog Settimo Cielo 8 Giugno 2020
di Pietro De Marco
Nelle avventure rivoluzionarie, le formulazioni della cultura “critica” vedono l’alternarsi – a seconda degli interlocutori e delle situazioni – di enunciati radicali con grandi obiettivi eversivi, e di enunciati circoscritti, con bersagli ridotti, a prima vista banali. Questo bilinguismo ideologico appartiene anche all’opinione pubblica critica cattolica, in quanto si inscrive anch’essa nella categoria delle “sociétés de pensée” rivoluzionarie analizzate da Augustin Cochin.
In Italia, i recenti provvedimenti disciplinari che hanno investito la comunità di Bose e la persona del suo fondatore Enzo Bianchi riguardano, appunto, un nodo importante di una rete di “sociétés de pensée”, cattoliche e riformate, nelle quali l’oscillazione comunicativa tra moderazione e radicalismo teologico è prassi diffusa. Difficile dire quanto ciò sia sincero, e quanto dissimulato.
Bianchi era sensibile alle critiche di ortodossia; anni fa si dolse di un rilievo di Sandro Magister e mio. Ma molti critici, tra i quali il compianto Antonio Livi (cui dobbiamo un libro decisivo contro il collasso neomodernistico del linguaggio teologico, “Vera e falsa teologia”, Roma, 2012), avevano mostrato la lacunosità dell’impianto dogmatico del priore di Bose, lacunosità invisibile per i più e dunque fatta per essere assimilata e riprodotta senza cautele.
In tante subculture cattoliche vi sono da un lato il critico-distruttore, in genere un chierico o teologo, maschio o femmina, di recente generazione, con infarinatura di biblista e senza formazione dogmatica, insomma, un ideologo, e dall’altro una maggioranza, chierici e laici, che usa slogan radicali ma ambisce a risultati più a portata di mano. Anche molti vescovi partecipano di questa oscillazione pragmatica, piuttosto che del radicalismo delle leadership eversive. In Germania sembrano la quasi totalità.
Ebbene, come si colloca il nuovo presidente della conferenza episcopale tedesca, il vescovo di Limburgo ?Da poco entrato in carica, Bätzing ha subito confermato i progetti riformatori del “Synodale Weg”, il cammino sinodale in corso in Germania. Rispondendo alla domanda: “Qual è la sua visione del prossimo futuro della sua Chiesa?”, ha escluso di essere “tipo da visioni”; il messaggio essenziale del sinodo agli uomini sarà che la vita è più forte della morte, trasformando di conseguenza il significato di essere e dirsi cattolici, nel qual senso anche lui può accettare di essere annoverato tra i visionari. I modi espressivi appaiono cauti, ma la “konkrete Vision” non lo è.
Il “Synodale Weg” – ha detto Bätzing – continua a chiedere una “benedizione” per i divorziati risposati (materia difficile ma, forse, trattabile caso per caso canonisticamente, non svuotando teologicamente il sacramento) e l’intercomunione eucaristica tra cattolici e cristiani di altra confessione, che anche in passato veniva concessa da Roma, motivatamente ed eccezionalmente. Dunque niente di drammatico in sé.
Senonché, come sempre nel “Synodale Weg”, sono le motivazioni erronee e supponenti che sgomentano. “C’è ora molto accordo sul significato di ciò in cui crediamo e celebriamo”, ha assicurato Bätzing. Ecco l’oscillazione sintomatica.
È infatti tesi diffusa, in Germania, che la concezione della Santa Cena sia ormai la stessa tra protestanti e cattolici. Questo consenso non può che essere maturato con una protestantizzazione vera e propria della teologia cattolica dei sacramenti. Mentre non si ha notizia che i protestanti tedeschi abbiano recuperato significativamente la comune teologia eucaristica della Chiesa universale, da cui essi si escludono.
Che quindi, come ha detto Bätzing, su questo sfondo oggettivo i cristiani possano “decidere con buoni argomenti e secondo la loro coscienza” di questioni come l’intercomunione, è un enunciato improvvido, tanto più condannabile sulla bocca di un vescovo chiamato a essere maestro, non istigatore di opinioni di comodo. È qui in gioco, in realtà, la concezione stessa della pratica eucaristica, nel senso del classico “sapere e pensare cosa si va a ricevere”; e il significato cattolico del sacramento va gelosamente protetto anche col discernimento delle differenze con le altre confessioni.
Sostiene ancora Bätzing che le decisioni del sinodo troveranno soggetti, anzi, “alleanze” (Koalitionen) capaci di implementarle; assunto in sé banale ma minaccioso, perché invece non è banale, salvo che nella mente della conferenza episcopale tedesca, il genere dei soggetti che curerebbero la “realizzazione” di istanze tutte teologicamente sul filo del rasoio. Così come è arrogante, anche se senza futuro, l’idea di esigere dal papa un sinodo universale con sede a Roma per l’esame allargato a tutta la Chiesa dei risultati del “Synodale Weg” di Germania. Non basta la congregazione per la dottrina della fede?
Quando poi Bätzing definisce “non più accettati” gli “argomenti a sfavore” del sacerdozio femminile (che in realtà sono degli enunciati di portata dottrinale vincolante) mostra che il ‘magistero’ episcopale e la media cultura teologica hanno formato in Germania non un popolo cristiano ma una opinione pubblica ormai tanto stravolta da perseguire un nonsenso: quello di rifare babelicamente la Chiesa. Si è generato di fatto un secolarismo cattolico, per poi esibire questa mentalità recente, e voluta, come argomento contro la tradizione della “lex credendi”, del canone del credere (Glaubensregeln).
Credo che si debbano invitare i cattolici tedeschi, i più, che stanno subendo l’iniziativa dei loro vescovi e di pretesi rappresentanti del laicato quali il “Zentralkomitee der deutschen Katholiken”, un vero blocco di potere presente in forze nell’assise, ad opporsi alla incontrollata corsa del “Synodale Weg”.
Reagiscano come clero e come laicato ove essi vivono, parrocchie, ordini religiosi, stampa. Riprendano forza gli intellettuali cattolici. Si agisca anche per via canonica. La corruzione della dottrina e una prassi di “riforma” assolutamente abnorme sono sotto gli occhi di tutti. Non si lasci piegare la cattolicità tedesca da una sorta di ossequio, del tutto mal riposto e certamente oggi non dovuto, a una gerarchia in autoliquidazione.