Intervista a Samaan che dubita dell’uso di Sarin da parte dell’esercito siriano. I ribelli? Ormai hanno smesso di avanzare e «non sono i paladini della democrazia e della libertà»
di Francesco Amicone
Samaan traduce dall’italiano all’arabo per la Chiesa i libri su don Bosco e prima dello scoppio della guerra civile faceva la guida uristica per gli italiani che volevano visitare i luoghi storici della
cristianità in Siria
Stati Uniti, Regno Unito e Francia sostengono di avere le prove dell’attacco chimico.
Quali prove? Hanno soltanto un colpevole, Assad, e un filmato. Ma questo video che dovrebbe “provare” gli attacchi non è nemmeno girato in tempo reale, a differenza di quanto fanno di solito i ribelli. Come mai? Un’anomalia rispetto ai filmati che finiscono su internet e sono invece riprendono fatti in diretta. Inoltre, in una zona al confine con il nostro quartiere cristiano, l’esercito ha trovato un magazzino pieno di scatoloni con la scritta “aiuti dall’Arabia Saudita”, nei quali sono stati trovati molti dispositivi chimici, antidoti e maschere anti gas. I ribelli sono pronti ad affrontare attacchi di questo tipo e a usare agenti chimici.
Non c’è stato nessun attacco con il Sarin, quindi?
Che ne sappiamo noi, non c’è stato. Anzi, l’Esercito e il Ministero dell’Informazione dicono di avere le prove che le armi chimiche sono state usate dai ribelli. Inoltre l’altro ieri il Ministro degli Esteri ha incontrato l’Alto Rappresentante Onu, ed è stato dato il permesso ai tecnici delle Nazioni Unite di verificare l’ipotesi del presunto uso di gas tossici. Però sono stati fermati da cecchini nella zona contesa dai ribelli.
In generale, qual è la situazione a Damasco?
C’è una grande paura. Da quattro, cinque giorni, i combattimenti si sono intensificati. Su Damasco cadono piogge di mortai. Ieri due di questi sono esplosi qui nel quartiere cristiano, a quindici metri da casa nostra. Un altro nel cortile di una scuola, fortunatamente vuota. Sono mortai artigianali, fatti a mano dai ribelli. Colpiscono i tetti delle abitazioni, le strade. Vengono sparati a caso, in tutte le direzioni, indifferenti a quello che può capitare ai civili. E poi c’è anche la carenza dei beni di prima necessità. I prezzi saranno non dico raddoppiati ma quadruplicati. Molte famiglie cristiane di Damasco, che fino ad ora non hanno mai chiesto una mano, per dignità, ora sono costrette a farlo per dar da mangiare ai figli.
Secondo alcune indiscrezioni di stampa, gli Stati Uniti potrebbero bombardare la Siria.
Esiste un detto arabo che dice: l’asino non cade due volte nello stesso buco. Speriamo che l’America non compia lo stesso errore fatto in Iraq. Personalmente non credo abbia serie intenzioni di bombardare la Siria. Ha bisogno di qualcosa per sedersi al tavolo di Ginevra 2 e imporre le sue decisioni. I ribelli stanno perdendo terreno nei confronti dell’esercito.
Possono resistere ad Aleppo dove hanno l’appoggio della vicina Turchia, ma non qui a Damasco. La città di Homs è completamente distrutta. E dopo aver perduto la battaglia di Al Qusayr, al confine con il Libano, non possono guadagnare un centimetro. Per questo sparano i mortai e si appigliano a qualsiasi giustificazione per chiedere i bombardamenti americani. Ma ormai anche in Occidente molti hanno iniziato a capire che i ribelli non sono i paladini della democrazia e della libertà. E che non servirà a pacificare il Medio Oriente, darlo in mano ai Fratelli Musulmani.
Come sta affrontando la comunità cristiana queste ultime settimane di guerra?
È una situazione critica ma abbiamo fiducia in Dio. Preghiamo. Il 2 settembre faremo un pellegrinaggio per pregare sulle spoglie di don Bosco, traslate per dieci giorni in Libano e in Terra Santa. Quando saremo a Beirut, chiederemo sul corpo di don Bosco che venga ascoltata la preghiera di papa Francesco e “si fermi il rumore delle armi” in Siria.