Inside Over – DOSSIER – Agosto 2023
Il nuovo Medio Oriente
Il Medio Oriente sta cambiando pelle. Dal lungo addio degli Stati Uniti, passando per il nuovo ruolo delle potenze regionali: Arabia Saudita e Iran in testa, tutta l’area è in fermento. Gli accordi di Abramo restano in bilico, e intanto alcuni focolai di tensione non accennano a diminuire. E sullo sfondo compare la Cina e il nuovo ruolo che è pronta a ricoprire
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Inside Over – dossier – 13 Agosto 2023
Il disgelo siriano: così si è riaperto
il dialogo con Damasco
Lorenzo Vita
La guerra in Siria non si è mai chiusa in modo definitivo così come non si è mai ufficialmente aperta. Il conflitto, iniziato come rivolta e sfociato in guerra civile ma anche in guerra per procura tra vari Stati fino ad arrivare all’intervento delle grandi potenze, si è oggi congelato in una sorta di pace armata. Bashar al Assad non è caduto, confermando una leadership mantenuta soprattutto grazie all’intervento di Iran e Russia al suo fianco e che restano saldamente operative nelle loro basi in loco. Lo Stato islamico, oggi rimasto ad alcune sparute roccaforti sparse sul territorio del Paese, continua a esistere, così come la Coalizione anti-Daesh delle forze occidentali.
Israele continua a colpire in Siria per distruggere gli avamposti di Teheran, soprattutto dei Pasdaran, e dei suoi “proxy”, ovvero le milizie sciite locali ed Hezbollah, che si muovono attraverso i porosi confini di Libano e Iraq. E nel frattempo, mentre i curdi del nord e del nordest rimangono asserragliati in alcune province in una guerra logorante contro i vari nemici regionali, compresa la Turchia, a nord-ovest l’area di Idlib rappresenta l’ultimo bastione dei ribelli islamisti.
Se questa è la situazione sul campo, a livello diplomatico però più di qualcosa si è mosso. Al punto che oggi, nonostante questa fragilità e complessità dello scacchiere siriano, si può dire che il governo di Damasco è tornato a essere l’unico interlocutore riconosciuto dalla comunità internazionale nel Paese. E questo vale soprattutto per gli attori mediorientali, oltre che naturalmente per chi non ha mai negato legittimazione: Iran, Russia e Repubblica popolare cinese in primis.
La riapertura dei canali diplomatici e il ruolo del Golfo
La normalizzazione dei rapporti diplomatici, con la progressiva riapertura delle ambasciate e degli uffici consolari, nasce da una presa di coscienza politica. Assad non è stato rovesciato e la transizione di potere verso un nuovo regime democratico non è mai avvenuta né appare più possibile. Quantomeno non nell’immediato futuro.
Questa presa di coscienza di fronte a una realtà certamente ben diversa sia rispetto agli auspici di molte potenze locali, a partire da Arabia Saudita e Qatar e poi della Turchia, sia dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti, ha cambiato le carte in tavola. Inoltre, il congelamento del conflitto siriano unito alla disattenzione mondiale – in particolare statunitense – per il contesto mediorientale ha fatto sì che altri attori, a partire dalla Cina, spingessero verso una pacificazione della regione rispetto a focolai di tensione non del tutto sopiti.
Il processo di normalizzazione ha visto così un graduale ritorno a un regolare scambio diplomatico, con due attori regionali a esserne stati i principali artefici: Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Attraverso una legittimazione di Assad e un graduale – ma anche abbastanza repentino – abbandono del sostegno alle forze di “opposizione” e milizie locali, Riad e Abu Dhabi hanno ricominciato a parlare in modo diretto e da pari a pari con tutto il governo siriano. I rispettivi ministri degli Esteri hanno fatto visita nelle varie capitali confermando una piena riconciliazione. E in tutto questo si è unito anche il riavvicinamento di Arabia Saudita e Iran, alleato di Damasco e principale sponsor proprio di quell’Assad colpito dalle rivolte.
Emirati, Arabia Saudita e Bahrain sono così stati gli artefici della cosiddetta normalizzazione del regime siriano. Un processo silenzioso e sottovalutato che però ha mostrato come il Medio Oriente, facilmente scosso da guerre intestine, abbia avuto anche la capacità di ricomporre gli enormi dissidi interni di fronte a una realtà geopolitica estremamente complessa e mutevole.
La svolta turca sulla Siria
Un altro protagonista di questo disgelo mediorientale e della normalizzazione della Siria è stata la Turchia di Recep Tayyip Erdogan. Non va dimenticato, infatti, che Ankara, sia per colpire Assad sia per espandere la propria influenza verso sud colpendo inoltre il proprio nemico curdo, ha avuto un ruolo essenziale nella guerra in Siria. E ancora oggi, dopo più di 12 anni, la Repubblica turca ha un ruolo preponderante in quasi tutto il fronte settentrionale, tanto da avere reso alcune province dei veri e propri protettorati turchi. Ed è proprio per queste aree, e per l’eventuale ripopolamento da parte di rifugiati siriani che si sono diretti in Turchia durante la guerra e che ora Erdogan cerca di rimpatriare, che si gioca parte del nuovo corso nelle relazioni turco-siriane.
Il riavvicinamento tra questi due Paesi, come per le potenze arabe e Damasco, è stato un effetto di almeno due cause. Da una parte l’accettazione della realtà dei fatti: Assad non sarebbe stato più rovesciato vista la vittoria, più o meno evidente, dell’esercito regolare. Dall’altra parte, la volontà turca di evitare fratture con Mosca e allo stesso tempo di non sostenere eccessivamente la causa di alcuni alleati occidentali visti con diffidenza. Inoltre, non va nemmeno sottovalutato il progressivo disaccoppiamento tra Turchia e Qatar, quest’ultimo rigido avversario della Repubblica siriana, che va di pari passo anche con un riavvicinamento di Erdogan tanto con i sauditi quanto con gli emiratini.
La certificazione di questo nuovo modus vivendi tra Damasco e Ankara è arrivato a maggio del 2023, con l’incontro a Mosca tra i rispettivi ministri degli Esteri, Faisal Miqdad e Mevlut Cavusoglu (quest’ultimo sostituito dopo le elezioni da Hakan Fidan). Il vertice nella capitale russa, che ha visto anche la presenza del ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, e dell’omologo iraniano Hossein Amirabdollahian, venne promosso da Erdogan anche in chiave elettorale. I profughi siriani infatti erano diventati un elemento costante della campagna per le presidenziali, con gli oppositori del Sultano che hanno premuto sul tasto della difficile convivenza con i cittadini turchi. Il presidente, poi rieletto, ha così fatto in modo che l’incontro con i rappresentanti di Damasco fosse un utile strumento di propaganda per assicurare gli elettori. Mentre Assad, dal canto suo, chiedeva una riduzione della presenza turca nel nord del Paese e la fine della protezione di alcuni bastioni ribelli. Inoltre, a cementare questo riavvicinamento tra le parti, anche il disastroso terremoto di febbraio ’23, che aveva colpito entrambi i Paesi.
La riammissione nella Lega Araba
In questo processo di normalizzazione del regime siriano, la svolta probabilmente definitiva del processo si è avuta con la riammissione di Damasco nella Lega araba a maggio del 2023. con l’incontro a Mosca, a dimostrazione del peso saudita nello scacchiere regionale, è giunto proprio con la contemporanea riapertura dell’ambasciata della monarchia araba a Damasco e la speculare riapertura degli uffici siriani a Riad.
La svolta non è stata priva di ampie discussioni interne al consesso arabo. Nella Lega infatti erano presenti almeno due anime: quella che voleva una riammissione della Siria dopo 12 anni di sospensione a causa della guerra, e un’altra parte che invece avrebbe preferito rifiutare questo nuovo assetto mantenendo l’esclusione di Damasco. Al primo blocco, oltre all’Arabia Saudita, appartenevano gli Emirati Arabi Uniti ma anche Algeria e Tunisia, due Paesi più distanti rispetto alla guerra siriana ma legati a una storica vicinanza a Damasco e e particolari incroci di partnership internazionali. A perorare la causa dell’esclusione della Siria, come ricorda Treccani, erano invece soprattutto Qatar, Giordania, Marocco e Kuwait. Il voto è in ogni caso stato favorevole, pur con alcune precisazioni e deroghe. E questo ha dimostrato ancora una volta come il disgelo siriano e il reintegro di Assad nello scenario regionale fossero ormai elementi costanti. A pesare, non solo l’ingresso della Cina nella regione e l’influenza, pur non così formidabile, della Russia, ma anche la corrispettiva perdita di peso e di leadership da parte dell’Occidente. La strategia di condanna verso la Repubblica siriana, delle sanzioni e del sostegno alla causa ribelle, si è rivelata inefficace. E la disattenzione Usa verso il Medio Oriente non ha fatto altro che aiutare anche i vecchi partner in svolte diplomatiche fino a pochi anni fa impensabili.
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Indice del DOSSIE
1. La guerra in Yemen, il terrorismo: gli ultimi focolai di crisi in Medio Oriente
2. Da Saddam all’ascesa della Cina: com’è cambiata la politica Usa in Medio Oriente
3. Il nuovo Medio Oriente e il futuro degli Accordi di Abramo
4. Il disgelo siriano: così si è riaperto il dialogo con Damasco
5. La mossa a sorpresa di Xi: perché la Cina punta sul Medio Oriente