tratto da Immaculata Mediatrix rivista internazionale di teologia mariana n.2-2008
di Gino Ragazzina
CAP III e CAP IV
1. Una bambina consacrata a Dio
A differenza dei Vangeli (43), che ci presentano Maria già giovinetta e promessa sposa (Mt 1,18; Le 1,27), il Corano ce la ricorda fin dalla sua nascita, anzi fin da quando sua madre, la moglie di ‘Imràn, la portava ancora in seno: «Ricorda quando la moglie di ‘Imràn disse: “Signore, io voto a te, interamente a te l’essere ch’è nel mio seno. Accettalo: tu sei l’Audiente (44), lo Sciente”. E dopo che si fu sgravata, disse: “Signore, l’ho partorita femmina – ma Dio sapeva meglio di lei che cosa aveva partorito – e un maschio non è come una femmina. Le ho posto nome Maria (Maryam)”»(3,35-36).Nel Corano il padre di Maria è chiamato ‘Imràn, nome che ricorda quello biblico di Amran, padre di Aronne e di Mosè (Es 6,20).
‘Imràn è discendente di Adamo, di Noè e di Abramo, che sono profeti di Dio, ed è egli stesso profeta: «Allah ha eletto fra tutte le creature Adamo, Noè, la famiglia di Abramo e la famiglia di ‘Imràn sopra l’universo intero» (3,33). E dunque Maria, la figlia di ‘Imràn, appartiene ad una stirpe di eletti da Dio.
Della madre di Maria né qui né altrove nel Corano è detto il nome. D’altronde, sappiamo che Maria è l’unica donna della quale il Libro faccia il nome. Ma i commentatori musulmani del Corano concordano nell’attribuire alla moglie di ‘Imràn il nome di Anna.
L’annalista arabo Ibn al-Athtr (XIII sec.) specifica: «’Imràn, figlio di Màthàn, discendeva da Salomone, figlio di Davide. La casa di Màthàn formava i capi e i dottori dei figli d’Israele. In quanto a ‘Imràn, questi era sposato con Anna, figlia di Fàqùdh. […] Anna era vecchia e già sterile; essa non aveva figli. Una volta, mentre stava all’ombra d’un albero, vide un uccello che nutriva la sua covata. Allora desiderò di avere anch’essa un figlio e pregò Dio di concedergliene uno, che essa potesse destinare alla custodia del Tempio e al servizio di Dio» (45).
Secondo questo racconto, la maternità di Anna, moglie di ‘Imràn, già vecchia e sterile, è di per sé un segno della misericordia di Dio.
Tornando al testo coranico, la donna è già incinta e consacra a Dio la creatura che ella porta in seno nella speranza di ottenere da Dio un figlio maschio. Solo i maschi infatti possono essere votati a Dio. Ma la sua preghiera e la sua attesa restano deluse, perché infine mette al mondo una bambina. Ed ella se ne lamenta: «Signore, l’ho partorita femmina […] e un maschio non è come una femmina». Poi, da buona musulmana, s’inchina alla volontà di Dio, ponendo la bambina sotto la Sua protezione: «Le ho posto nome Maria (Maryam). La metto, con la sua discendenza, sotto la tua protezione, contro Satana, il Lapidato»(46) (3,36).
L’attribuzione del nome e l’affidamento della bambina a Dio stanno su uno stesso piano ideale; infatti, come spiega Ibn Athri (47), il nome Maryam significa “la devota”. Già dal nome che le viene dato, Maria è dunque connotata come colei che è particolarmente devota e disposta all’obbedienza (tà ‘àf).
Iddio, che è l’Àudiente, accoglie ed esaudisce la preghiera della moglie di ‘Irmàn: «Iddio la (i.e. la bambina) ricevette benevolmente» (3,37). Ma allora – ci si può domandare – come mai l’Audiente non ha esaudito anche la prima preghiera della donna, e cioè la richiesta di un figlio maschio? Per trovare una risposta, dobbiamo supporre che dietro il comportamento di Dio vi sia un progetto che Egli vuole attuare. Ce lo fa pensare la nota parentetica, che interrompe il lamento deluso della moglie di ‘Imràn: «ma Dio sapeva meglio di lei che cosa aveva partorito». Iddio lo sa, proprio perché Egli così ha voluto. Esattamente lo Sciente ha voluto che nascesse una bambina. Ed ora Egli l’accoglie “benevolmente” sotto la sua protezione.
2. Segni della benevolenza di Dio verso Maria
«Iddio la (i.e. Maria) ricevette benevolmente e la fece crescere come pianta fiorente» (3,37).
La benevolenza di Dio nell’accogliere l’offerta della moglie di ‘Imràn, si concretizza in uno speciale favore (baràka) che il Misericordioso riserva alla bambina. Poeticamente il Corano proclama che «la fece crescere come pianta fiorente».
Mentre i Vangeli non ci danno alcun indizio sull’aspetto di Maria, il Corano suggerisce che la bambina crebbe sana e bella. Di fatto, nel mondo musulmano è opinione corrente che Maria fosse la più bella e la più pia delle donne del suo tempo.
E ancora Iddio manifestò la sua benevolenza verso la bambina «dandola in cura a Zaccaria, il quale, tutte le volte che entrava nella camera di lei, la trovava provvista di cibo. “Da dove ti viene – le chiese un giorno – o Maria?”. “Da Dio – rispose ella – che provvede chi vuole, senza far conti”» (48) (3,37).
Queste laconiche, ellittiche proposizioni del Corano richiedono, per poter essere intese, un’adeguata esposizione. Tra le tante dei commentatori musulmani, scegliamo ancora una volta quella di Ibn Athir.
L’annalista arabo racconta: «Essa (i.e. la puerpera) avvolse la bambina in fasce e la portò al Tempio, affidandola ai leviti (ahbàr), figli di Aronne, che avevano la custodia del Tempio di Gerusalemme, così come i figli di Shu’ayb (49) avevano quello della Ka’ba (50): “Ecco – disse – questa consacrata!”. Essi allora disputarono al riguardo, perché quella era la figlia del loro capo e del maestro delle offerte (51). Zaccaria la reclamò: “Io ne ho diritto più di ogni altro – disse – perché sua zia è la mia sposa” (52). “Interroghiamo invece la sorte” protestarono gli altri. E gettarono le loro penne nell’acqua d’un fiume, forse il Giordano. Quando gettarono le penne con le quali trascrivevano la Torah, quella di Zaccaria tornò a galla; invece quelle degli altri andarono a fondo» (53).
Il racconto di Ibn Athìr trova appoggio nel versetto 3,44 del Corano che recita: «Sono Notizie dell’Invisibile che noi ti riveliamo; che tu non eri fra essi quando lanciavano le loro penne per stabilire chi avrebbe preso in cura Maria; non eri fra essi quando disputavano».
I commentatori musulmani concordano nel dire che i sacerdoti del Tempio di Gerusalemme si disputarono l’onore di assumersi la custodia di Maria bambina, lasciata nel santuario da sua madre come creatura offerta a Dio, e, a risolvere la contesa, si affidarono al sorteggio, che nella storia delle religioni è un modo assai antico e diffuso d’interpellare la volontà divina. E dunque, anche in questo caso, facendo emergere dalle acque il calamo di Zaccaria, Iddio fa conoscere la sua volontà.
E, una volta affidata la bambina alla tutela di Zaccaria il quale a sua volta la ospita in un ambiente del Tempio, Iddio continua a manifestarle la sua speciale benevolenza: «Zaccaria – dice il Corano – tutte le volte che entrava nella camera di lei, la trovava provvista di cibo. “Da dove ti viene – le chiese un giorno – o Maria?”. “Da Dio – rispose ella – che provvede chi vuole, senza far conti”» (3,37). A rendere più meraviglioso il fatto, Ibn Athìr specifica: «Zaccaria vedeva presso di lei frutti invernali in estate e frutti estivi in inverno» (54).
Nella risposta della bambina: «Esso mi viene da Dio, che provvede chi vuole (55), senza far conti» v’è una sapienza che dovè stupire il suo tutore non meno della presenza misteriosa del cibo.
Alla luce dei princìpi dottrinali islamici, che abbiamo inizialmente ricordato, è chiaro che le parole di Maria: «Esso mi viene da Dio» sono da intendersi così: quel cibo, come del resto ogni cosa, viene sì da Dio, ma non direttamente; viene portato dagli angeli, che sono i servitori di Dio. Ciò induce a ipotizzare che per tutto il tempo che Maria trascorse nella celletta presso il Tempio, ci fu un viavai di angeli che, per volontà di Dio, scendevano a visitarla e a portarle doni.
3. La poca fede di Zaccaria
«Allora (i.e. dopo aver udito la risposta di Maria) Zaccaria invocò il Signore dicendo: «Signore, dammi da parte tua una discendenza eletta: tu che esaudisci i voti» (3,38).
A questo punto del Corano la storia di Zaccaria s’interseca con quella di Maria.
Nella celletta della sua pupilla e nipote, Zaccaria ha visto e udito cose che gli rammentano in modo impressionante che Dio è l’Onnipotente e il Misericordioso. E ciò gli suscita l’ardire di chiedergli una grazia lungamente desiderata, ma timidamente racchiusa nel segreto del cuore. Egli, che non ha figli, chiede “una discendenza eletta”. E immediatamente, per mezzo degli angeli, gli viene risposta da parte dell’Audiente.
Il Corano ricorda: «E gli Angeli lo chiamarono, mentre egli stava pregando nella cella, e gli dissero: “Iddio ti manda una buona notizia. Egli ti darà Giovanni (Yahya) (56), che dichiarerà veridico un Verbo (proveniente) da Dio, e sarà un capo, un uomo casto e un santo Profeta”» (3,39). Ordunque, la preghiera di Zaccaria è stata da Dio accolta ed esaudita: il sacerdote del Tempio avrà un figlio, che sarà persona “eletta” appunto come egli ha chiesto.
Ma la reazione di Zaccaria all’annunzio degli angeli è, a dir poco, strana: «Disse: “Signor mio, come potrò avere un figlio, vecchio come sono e con la moglie sterile?”» (3,40). Se pensa che la vecchiaia sua e la sterilità di sua moglie siano impedimenti assoluti ad una sua paternità, perché ha chiesto a Dio la grazia di un figlio? L’ha chiesta forse perché ha fede nell’onnipotenza di Dio? Certamente sì. Altrimenti Iddio egli non lo avrebbe invocato.
Ma la sua fede è debole e dubbiosa. Tanto che, quando gli angeli gli ricordano che «Iddio fa ciò che vuole», insiste: «Disse: “Signore, dammi un segno”». La risposta angelica è: «Eccoti il segno. Per tre giorni non parlerai che a gesti» (57) (3,41). La punizione sarà breve (58) : dopo tre giorni il sacerdote riacquisterà la parola e potrà celebrare mattina e sera le lodi del Signore: «Menziona il tuo Signore (gli dicono gli angeli) e inneggia a Lui mattina e sera» (3,41).
La storia di Zaccaria viene ripresa nella Sura XIX con l’aggiunta di particolari: «Egli (i.e. Zaccaria) uscì dal sacrario verso il popolo, ed indicò loro a gesti di recitare laudi mattina e sera» (19,11).
Poi, nel Corano, Zaccaria esce definitivamente di scena, avendo svolto, con la sua storia esemplare un duplice compito: quello di esaltare ancora una volta l’onnipotenza (59) e la misericordia di Dio (60) e, con la sua fede dubbiosa, di creare uno sfondo ideale, alla evocazione della fede, di ben altra tempra, della Vergine Maria.
IV – LA MADRE DI GESU’
1. Lo stato verginale come risposta di Maria alla elezione di Dio
Volendo riprendere e narrare pienamente la storia di Maria, la figlia di ‘Imràn, dobbiamo attingere da luoghi diversi del Corano. E partiamo dai versetti 16-17 della Sùra XIX, che, come sappiamo, è intitolata appunto “Maria”.
Li citiamo questa volta nella traduzione non del Moreno, ma di Luigi Monelli (61), traduzione aspra e faticosa, ma che ha il pregio di essere fedelmente letterale.
Essi dicono: «Ricorda inoltre nel Libro (i.e. Corano) Maria, quando si appartò dalla sua famiglia in una località orientale. E prese, per nascondersi da essi, un velo…».
Per una corretta esegesi di questo passo, è necessario ricordare che alle donne il velo non è espressamente prescritto dal Corano, il quale detta semplicemente: «O Profeta, dì alle tue mogli e figlie e alle donne dei credenti di calarsi addosso un po’ dei loro mantelli; ciò giova a farle distinguere e ad evitare che sia data loro noia» (33,59).
In sostanza, il Corano prescrive che le donne, in luogo pubblico, si presentino col capo coperto. Il che non è una novità nella storia del costume (62). Ma la norma coranica, sovrapponendosi ad antichissime usanze particolar-mente accentuate nel mondo semitico, finiva col rafforzarle e, in certo modo, a favorirne applicazioni estreme.
Ordunque il capo coperto è d’obbligo per ogni buona musulmana. E allora, se si fosse limitata a coprirsi il capo, Maria non avrebbe fatto nulla di straordinario. E non si capisce perché il Corano ne faccia menzione come di un’iniziativa particolare di Maria. Siamo dunque indotti a pensare che il velo preso da lei “per nascondersi” non sia un comune copricapo.
In effetti, i dottori musulmani spiegano che Maria, quando arrivò alla pubertà dovette lasciare la sua cella annessa al Tempio, per non contaminare con il suo mestruo il luogo sacro (63). E fece ritorno nella sua famiglia.
Ritornata fra i suoi, avrebbe dovuto, secondo norma, prepararsi al matrimonio, che, secondo il Corano, è lo stato normale per l’uomo e la donna, che ne abbiano l’età e la condizione: «Fra i suoi (i.e. di Dio) segni v’è quello di a-ver creato per voi, da voi stessi, delle spose, perché troviate in esse grata compagnia, e ponendo tra voi affetto e simpatia» (30,21). In pratica oggi, nel mondo musulmano, è obbligatorio per gli uomini e le donne che possano contrarlo.
Invece Maria lasciò i propri familiari, ritirandosi in una “località orientale”, e si coprì con un velo che la “nascondeva”. Sono due decisioni che non si addicono ad una fanciulla che pensi al matrimonio. Maria ha dunque deciso di rinunziarvi, per dedicarsi totalmente all’adorazione di Dio (64).
In questa ipotesi ci conforta la domanda che ella rivolgerà all’angelo dell’annunciazione: «Come potrò avere un bambino, quando nessun uomo mi ha toccata e non sono una donna disonesta?» (19,20). Così Maria afferma di non aver conosciuto uomo, e di non aver intenzione di conoscerne né dentro né fuori del matrimonio. La laconicità del testo non ci permette di dire altro. Ma che Maria dichiari di essere e di voler rimanere vergine, è cosa chiara.
2. L’Annunciazione
Nel Corano l’annunzio a Maria del suo concepimento verginale è ricordato due volte: nella Sùra III (45-47) e nella Sùra XIX (1721) (65). I due passi non sono semplicemente ripetitivi, ma si integrano a vicenda, giacché la Sùra III da maggior rilievo alle parole di Maria, mentre la XIX da più spazio all’annunzio angelico. Ve poi una differenza notevole: la Sùra III ricorda che l’annunzio fu portato da “Angeli”; la Sùra XIX invece proclama che il messaggero fu uno “Spirito” ovvero un angelo “che si presentò sotto forma di un uomo perfetto” cioè con l’aspetto ordinariamente umano, per non spaventare Maria (66).
I commentatori musulmani specificano che l’annunciazione avvenne un giorno di così grande calura che l’acqua portata da Giuseppe (67) non bastò, e Maria dovè andare ad attingerne ad una fonte che sgorgava da una caverna. Là le si presentò sotto aspetto umano l’angelo Gabriele.
All’apparizione d’uno sconosciuto in quel luogo solitario la reazione di Maria fu quella normale d’una giovane donna che all’improvviso s’imbatta in una presenza inaspettata: turbamento e timore. E da perfetta “devota”, Maria si pose subito sotto la protezione di Dio, dicendo: «Chiedo contro di te rifugio al Signore, se tu sei persona timorata» (19,18).
Allora l’angelo spiegò: «Io sono soltanto l’inviato del tuo Signore, per darti un bambino puro» (19,19).
Qui interrompiamo per un istante la lettura del Corano, per fare una considerazione comparativa col racconto dell’evangelista Luca (1,28-29), che, com’è noto, si inizia con il saluto angelico: «Rallegrati, o piena di grazia, il Signore è con te».
Nel Corano la prima a prendere la parola è Maria, e dunque il saluto angelico alla “piena di grazia” (kecharitòméne) non è ricordato. E non poteva. Cercheremo di spiegare il perché.
L’appellativo greco kecharitòméne non è traducibile con una sola espressione, perché, essendo rivolto a Colei che rappresenta tutta l’attesa messianica di Israele, comprende e condensa in sé interamente la storia della salvezza (68). È dunque un appellativo squisitamente cristiano e, come tale, non è collocabile in nessun altro contesto religioso. In particolare ricordiamo che il pensiero religioso islamico è alieno da ogni idea che implichi una qualche partecipazione dell’uomo alla vita di Dio e non può non rifiutare il concetto cristiano di grazia.
L’islamismo tuttavia insiste sui “doni” che il Dispensatore da gratuitamente ai suoi fedeli (69). I sufi (70) poi e le confraternite religiose hanno diffuso nella pietà popolare il concetto di baraka, la quale consiste in una speciale protezione contro influssi malefici e in uno stato di godimento di sicuro benessere. Più in alto della baraka il pensiero islamico non sale.
Tuttavia è doveroso notare che il dono annunziato a Maria dall’angelo non è semplice baraka; è un “segno” particolarissimo ed eccelso dell’onnipotenza e della misericordia di Dio: «Gli Angeli dissero: O Maria. Iddio ti da la lieta novella di un Verbo da Lui. Il suo nome sarà Gesù (‘Isà) figlio di Maria» (3,45); «II tuo Signore ha detto: Ciò è facile per me, e noi ne vogliamo fare di lui un segno per gli uomini e una prova di misericordia da parte nostra» (19, 21).
La proposizione coranica: «Iddio ti da la lieta novella di un Verbo da Lui» ha dato sempre filo da torcere all’esegesi musulmana.
3. La fede di Maria
In parallelo col Vangelo di Luca (1,5-38), le Sùre III e XIX ricordano, di seguito l’uno all’altro, l’annunzio angelico a Zaccaria e quello alla Vergine Maria. Nel Corano i due episodi si susseguono immediatamente. Ciò induce l’ascoltatore o il lettore a confrontare mentalmente il comportamento dei due protagonisti e a valutare, comparandole, la fede del sacerdote del Tempio e quella dell’umile fanciulla in volontario ritiro in una “località orientale”.
Zaccaria, lo abbiamo visto, dimostra una fede fragile, dubbiosa, e per questo viene punito. Maria invece, quando apprende che avrà un figlio, sommessamente (71) domanda “come” ciò accadrà, essendo ella vergine e decisa a conservare la verginità: «Come potrò avere un bambino, quando nessun uomo mi ha toccata e non sono una donna dissoluta?» (19,20. Cf. 3,47).
L’angelo, rispondendo, le ricorda che nulla è impossibile a Colui che dal nulla ha tratto tutte le cose, con la semplice espressione d’un comando: «Rispose: “Proprio così: Iddio crea ciò che vuole e, quando ha deciso una cosa, le dice soltanto “sii” (kun !) ed essa è» (3, 47).
A tale ricordo, Maria piega il capo ed obbedisce, tacendo. Il Corano infatti ricorda esclusivamente l’obbedienza, non anche l’assenso di Maria, che invece è ben evidenziato dall’evangelista Luca con la citazione delle parole della Vergine: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga (fiat) di me quello che hai detto» (1,38).
Il comportamento di Maria nel Corano è perfettamente conforme all’islamico concetto di ìmàn, che possiamo tradurre con il nome “fede”, avvertendo però che questa non è l’esatto equivalente della fede in senso cristiano.
La fede cristiana è intelligente e libera adesione ai misteri soprannaturali; invece l’ìmàn è remissione immediata e incondizionata (72).
4. La Vergine Madre
«Quindi Maria concepì esso (i.e. Gesù) e si appartò con lui in una località lontana» (19,22).
Il Corano non aggiunge altro, e spiega che il concepimento verginale di Maria è “storia segreta” (3,39), probabilmente perché di questa fu unico testimone l’angelo di Dio, incaricato di dare a Maria “un figlio puro” (19,19). E il sacro Libro dell’Islàm ribadisce che fu un concepimento verginale, affinchè questo prodigio sia riconosciuto universalmente a gloria dell’Onnipotente: «Ricorda pure Colei che custodì la propria verginità, e noi alitammo in essa del nostro spirito e facemmo di lei e di suo figlio un segno per l’Umanità» (21,91).
La pia fantasia dei commentatori musulmani ha colmato di immagini gli spazi lasciati qui dalla concisione del testo sacro. Per esempio, Tha’labt (IV-V secolo dell’Egira), autore assai noto alla religiosità popolare, spiega: «Gabriele si presentò a Maria sotto l’aspetto d’un giovane imberbe, dai tratti luminosi, i capelli inanellati, l’andatura elegante. I sapienti dicono che Dio lo mandò sotto forma umana, affinchè Maria potesse fissare su di lui lo sguardo (73) e intendere le sue parole […]. Gabriele soffiò nell’apertura della tunica, che ella aveva deposto. Quando l’angelo se ne fu andato, Maria si rivestì della tunica, e concepì Gesù» (74).
Secondo l’autore di questo racconto delicato e gentile, l’angelo compì, riguardo a Maria, un atto analogo a quello compiuto da Dio nella creazione dell’uomo: «Noi creammo l’uomo d’argilla messa a seccare, di fango modellato […]. E (ricorda) quando il tuo Signore disse agli angeli: “Sto per creare un uomo d’argilla messa a seccare, da fango modellato; e quando l’avrà modellato e a-vrò insufflato in lui del mio spirito, prostratevi davanti a lui” (15,26-29).
Lo spirito alitato da Dio nel primo uomo è nafs, cioè soffio vitale che anima, e insieme è anche ruh, ovvero facoltà presente nelle narici e nel cervello dell’uomo, la quale gli permette di comunicare con Dio. L’atto compiuto dall’angelo riguardo a Maria è simile a quello compiuto da Dio nella creazione di Adamo. Perciò il Corano proclama che Gesù figlio di Maria «presso Dio come Adamo, che Egli creò dalla polvere, dicendo: “Sii”, ed egli fu» (3,59). In questo senso, agli occhi di Dio, Gesù è un “nuovo Adamo” (75) in quanto nato senza padre e, per la mediazione dell’angelo, generato dal soffio vitale del Creatore,
5. Il parto
«Essa (i.e. Maria) portò dunque il bambino nel suo seno, e si ritirò con lui in una località distante» (19,22).
Gli Ulama, gli “esperti” del Corano non concordano sulla durata della gravidanza di Maria (76). Alcuni la fanno durare regolarmente nove mesi, altri la riducono a otto o a sei. Ibn ‘Abbas sostiene addirittura che Maria mise al mondo il bambino immediatamente dopo averlo concepito; ma la sua opinione non è confortata dal passo coranico ora citato che, lo ripetiamo, dice: «Essa portò il bambino nel suo seno…». Tuttavia questa tendenza a ridurre la durata della gravidanza di Maria, fino ad annullarla, è degna di una riflessione. Essa non si spiega se non come effetto di un pio intento di dare connotazione soprannaturale anche alla gestazione della madre di Gesù.
Quando fu il momento, Maria fu colta dalle doglie del parto: «I dolori del parto la condussero presso il tronco di una palma. “Oh fossi morta e già dimenticata da tutti!” esclamò. Ed egli le gridò da di sotto: “Non temere, Iddio ti ha messo ai piedi un ruscello. E scuoti verso di te il tronco della palma, e questa farà cadere su di te datteri freschi e maturi. Mangia, bevi e sta’ tranquilla» (19,23-26).
A spiegazione e commento di questo passo coranico notiamo innanzi tutto che, a differenza dell’evangelista Luca che non ci da indicazioni sul tempo dell’anno in cui avvenne il parto di Maria (77), il Corano ci suggerisce che esso avvenne di giorno e in piena estate. Difatti Maria, colta dalle doglie del parto cerca riparo dai raggi cocenti del sole all’ombra d’una palma, la quale è carica di frutti “freschi e maturi”. Ora, sappiamo che in Palestina i datteri sono maturi al punto giusto tra i mesi di giugno e di luglio. Allora appunto si colgono e si mangiano freschi.
Il Corano poi ci dice che Maria ebbe un parto doloroso; mentre l’evangelista Luca dice che Maria “partorì il suo figlio primogenito, e lo fasciò e lo pose a giacere in una mangiatoia” (2, 7), cioè compì delle operazioni che risultano improbabili per una donna che esca da un parto doloroso e travagliato. Di fatto, da sempre, la tradizione cristiana parla del parto “gaudioso” di Maria (78).
Secondo il Corano, il “gaudio” non ci fu affatto. Anzi Maria, sopraffatta dal dolore, si perdette d’animo al punto di desiderare d’essere morta (79). A questo punto, però, fu soccorsa dalla misericordia di Dio, di quel Dio che l’aveva voluta madre.
Una voce misteriosa (i commentatori non concordano nello stabilire di chi) la chiama, la conforta assicurandole che non è né sola né abbandonata: le è vicino il Signore, che ha fatto sgorgare ai suoi piedi una sorgente d’acqua limpida e fresca: «Mangia, bevi e sta’ tranquilla».
La stessa voce aggiunge: «E se vedi qualcuno, digli: “Ho votato al Signore un digiuno, e oggi non parlerò con alcuna creatura umana”» (19,26). Sembra che questo consiglio venga a Maria dopo il parto, che dobbiamo immaginare felicemente concluso (80). È un consiglio che conferma la madre di Gesù nella sua consacrazione al servizio di Dio, esortandola ad un digiuno che, oltre all’astinenza da cibo e bevanda, comporterà anche il silenzio.
Come perenne ricordo della misericordiosa assistenza di Dio, il passo coranico che evoca il parto di Maria viene assai spesso recitato alle partorienti musulmane, ancor oggi, perché non si perdano d’animo e si confortino nella certezza che l’Onnipresente non le abbandona (81).
6. Incredulità dei parenti di Maria
«Essa si presentò ai suoi, portando il bambino, ed essi dissero: “Maria, hai fatto una cosa inaudita! O sorella di Aronne (82), né tuo padre era un uomo di malaffare, né tua madre una donna dissoluta!”» (19,27-28).
Da questi versetti deduciamo che, dopo il parto, Maria fece ritorno tra i suoi familiari, sapendo che Gesù bambino non avrebbe potuto subire senza danno le asprezze della vita anacoretica che ella fino ad allora aveva condotto. E, vedendola arrivare con il bambino in braccio, i parenti si meravigliano e, scandalizzati, chiedono spiegazioni. La loro meraviglia è giustificata dal fatto che, come essi sanno, Maria non è sposata; ma il sospetto di disonestà non ha alcuna giustificazione, perché essi dovrebbero anche sapere chi è Maria. Difatti la tradizione musulmana attribuisce il sospetto ad un malevolo suggerimento di Iblìs, il demonio (83).
Le parole di rimprovero dei parenti investono dolorosamente Maria, ed ella vorrebbe difendersi. Ma come? Narrando l’annunzio dell’angelo e spiegando l’origine soprannaturale della sua maternità? E i parenti le crederebbero? E poi non si è impegnata dopo il parto ad un voto di silenzio?
E ancora una volta il Misericordioso la soccorre: le fa rammentare che l’angelo dell’annunciazione, spiegandole chi sarà il bambino che le viene donato, ha detto: «Parlerà dalla culla e da uomo maturo» (3, 46), e le suggerisce d’invitare i parenti ad interrogare il neonato: «Maria fece loro cenno di rivolgersi al bambino. “Come parleremo – dissero – a un bambino in culla?”» (19, 29).
E, così come l’angelo le ha promesso, il bambino in culla parla e difende sua madre: «Disse il bambino: “Io sono il servo (84) di Dio che mi ha dato il Libro (i.e. il Vangelo) e mi ha fatto profeta» (19, 30).
Un neonato che parla ed argomenta non è un bambino qualsiasi. Così Gesù, esibendo se stesso come “segno” dell’onnipotenza di Dio, scagiona sua madre. Da questo momento, così come l’angelo ha annunziato, egli sarà per tutti “Gesù figlio di Maria”, generato da una vergine che non ha conosciuto uomo. Thirmidhì (III secolo dell’Egira), uno dei più autorevoli raccoglitori di detti (hadìf) di Maometto, commenta: «Dio ha prescritto alle creature un’economia generale, ed ha abituato le anime a conoscerla, a seguirla, a rispettarla. Poi, all’interno di questa economia generale, Dio ne ha previsto un’altra, particolare, la quale sconcerta coloro che hanno corta intelligenza.
Ma colui che sa, considera tutte e due le economie e non è sconcertato. Nell’una come nell’altra, Dio ha un disegno, che egli esegue, se vuole, o che abbandona, se gli sembra bene. L’economia che egli ha tracciato per l’insieme degli esseri umani è che il figlio venga da un uomo e da una donna. Ora, egli ha riservato a Gesù figlio di Maria un’economia speciale, giacché Maria lo ha concepito senza il concorso di uomo» (85)
7. Una calunnia oltraggiosa
Il Corano è assai severo con coloro che non credono nella natura verginale della maternità di Maria, perché il non credervi equivale al non credere all’onnipotenza di Dio. Costoro vengono segnati dal marchio della “miscredenza” da Dio stesso, e il giorno del giudizio avranno la dannazione eterna.
“Miscredenti” sono prima di tutti, in maggioranza, i giudei: «Ma poiché essi (i.e. i giudei) hanno infranto il patto, hanno negato i segni di Dio, ucciso iniquamente i profeti e detto “i nostri cuori sono incirconcisi” […]; poiché, miscredenti ancora hanno proferito contro Maria una grossa calunnia […], abbiamo preparato a quelli di essi che non credono un doloroso supplizio» (4, 155-156. 161).
Questo passo coranico, sul piano storico, ci testimonia che intorno al sesto anno dell’Egira (86), ovvero intorno al 628, nel cuore della penisola arabica e dunque ben lontano dall’impero bizantino, fra la numerosa, prospera, potente comunità giudaica di Yathrib (87), la futura Medina (Madìnat al-Nabì, la “Città del Profeta”) correva una “grave calunnia” (buhtàn ‘azìm) riguardo a Maria, la madre di Gesù. Quale fosse questa calunnia non è diffìcile capire. Già Origene (II-III secolo) riferisce che Gelso mette sulla bocca del suo “giudeo” queste parole: «(La) madre di Gesù, scacciata dall’artigiano che l’aveva sposata, accusata di adulterio, (fu) resa madre da un soldato, di nome Panthéra» (88).
L’ingiuriosa calunnia riferita da Gelso trova riscontro nella letteratura rabbinica del periodo tannaitico (inizio II secolo), in cui Gesù (Jeshiì) è detto ben Panciera, “figlio di Pandera”: essa troverà infine ampio sviluppo nelle medievali Toledòth Jeshu, “Storie di Gesù” (89).
L’oltraggio a Maria si tinge di malizia, se, com’è possibile, il nome Panthéra nasce da un malevolo anagramma del greco parthénos. Lo fa pensare un passo del Corano che dice: «Fra i seguaci del giudaismo ve ne sono di quelli che storpiano le parole […] con contorcimenti della lingua» (4,47). Tali contorcimenti si traducevano in suoni con i quali si prendeva gioco degli avversari (90).
Contro miscredenti e calunniatori il Corano non si stanca di proclamare: «Maria figlia di ‘Imràn […] mantenne casto il suo grembo, nel quale insuflammo del nostro spirito, e credette nelle parole e nelle scritture del suo Signore ed era devota» (96,12).
«Ricorda pure Colei che custodì la propria verginità, e noi alitammo in essa del nostro spirito, e facemmo di lei e di suo figlio un segno per l’Umanità» (21, 91).
È cosa notevole che in quest’ultimo passo il Corano non faccia il nome di “Colei che custodì la propria verginità” e, restando vergine, fu madre. Ormai non è più necessario: l’ascoltatore sa che si parla di Maria. Solo Maria infatti, in tutta la storia religiosa dell’umanità, è la Donna che è insieme vergine e madre (91).
8. Valore della verginità di Maria
A questo punto si potrebbe pensare che il Corano esalti la verginità di Maria in quanto virtù eccelsa in sé e per sé, degna di venerazione. Ma non è così. Come già per il Giudaismo (92), anche per l’Islàm la verginità, così come la bellezza, l’intelligenza ecc., sta tra le doti naturali che una donna può portare al matrimonio. Dote più o meno importante, secondo i casi.
In sostanza, la concezione musulmana della verginità è del tutto estranea al mistero cristiano della verginità di Maria. Ciò vale non solo per la mentalità musulmana, modellata dalla Svaria (93), ma anche per quella giudaica, plasmata dalla Hàlàkhàh.
Se la donna musulmana è libera di scegliere tra la verginità e il matrimonio, sceglie senza dubbio il matrimonio, che, come sappiamo, è lo stato a cui ogni donna naturalmente aspira. E la maternità non si concilia con la verginità.
Ciò che il Corano esalta non è la verginità di Maria, ma l’onnipotenza di Dio che in Maria ha conciliato verginità e maternità. La maternità verginale di Maria è uno dei massimi “segni” dell’onnipotenza di Dio, un segno che sta alla pari con la creazione di Adamo. A Maria infatti l’angelo evoca il comando divino della creazione: kun !, “sii!”.
Ai dottori musulmani perciò non interessa sapere se la verginità di Maria, oltre che nel concepimento, rimase intatta anche nel parto e dopo il parto. A giudicare dalle parole del Corano, questa permanenza nel parto sembrerebbe da escludersi. Ma i dottori musulmani su questo punto non si pronunziano, perché la cosa a loro non interessa. Al musulmano interessa credere e confessare che Maria concepì Gesù restando vergine. E la tradizione islamica attribuisce a Maometto questa dichiarazione: «Io confesso che Gesù figlio di Maria è lo Spirito di Dio e il suo Verbo, che Egli gettò in Maria, la Vergine, la Santa, la Pura». Una confessione che va a lode e gloria dell’Onnipotente.
9. La dimora di Maria
Dopo aver ricordato, nella Sùra XIX, la prodigiosa difesa che Gesù bambino fa dell’onestà di sua madre e dopo aver rintuzzato con durezza l’oltraggiosa calunnia dei giudei, il Corano non parla più di Maria se non per citarla assieme al nome di Gesù nell’espressione “Gesù figlio di Maria”.
Non ci dice come ella educò suo figlio, non ci dice se partecipò alla vita pubblica di Gesù, non ce la mostra alle nozze di Cana, non ce la fa vedere a piedi della croce (94), né nel Cenacolo il giorno di Pentecoste. È fatica vana cercare nel Libro dell’Islàm questi elementi che sono estranei al suo orizzonte religioso e che, invece, sono essenziali per il Cristianesimo. Una volta che ella abbia svolto il compito, assegnatele da Dio, d’essere la madre di Gesù, di Maria nel Corano non si parla più. Se non in un passo che dice: «E facemmo del Figlio di Maria e di sua madre un segno, e demmo a entrambi rifugio su una collina tranquilla con acqua corrente» (23,51).
I commentatori collocano quest’ultimo intervento del Misericordioso in favore di Maria e di Gesù al tempo dell’infanzia o dell’adolescenza del Messia (95) e ipotizzano che la “collina tranquilla con acqua corrente” si trovasse nei pressi di Gerusalemme o in altra località della Palestina o a Damasco (96).
Invece alcuni lettori cristiani, con grande ingenuità, vi hanno visto un riferimento all’Assunzione di Maria in cielo (97). Ma una tale lettura, ispirata da pii intenti, non ha alcun punto di appoggio nel complesso della dottrina islamica.