Il Giornale 2 giugno 2006
di Mario Cervi
Con una telefonata molto opportuna ma alquanto tardiva il Presidente della Repubblica ha espresso a Gemma Calabresi, vedova del commissario assassinato, i suoi sentimenti di «solidarietà e profondo rispetto». In parallelo il Guardasigilli Mastella ha riconosciuto che nella vicenda della grazia a Ovidio Bompressi – e della prossima ventura grazia ad Adriano Sofri – c’è stato «qualcosa di stonato».
Anche più di qualcosa, a mio avviso. Nella loro frenesia perdonatoria, nella loro angoscia per il dramma umano vissuto dai condannati, sia il Capo dello Stato sia il responsabile della Giustizia avevano dimenticato che c’era stato un morto ammazzato, e che c’era tuttora la famiglia di quel morto ammazzato. Famiglia di ammirevole discrezione, anche nel divampare delle polemiche da altri alimentate.
Ma l’averla dimenticata non è stato, da parte delle Alte Autorità, segno di particolare eleganza. Risolto il caso di Ovidio Bompressi – che è in cattive condizioni di salute e che ha chiesto la grazia – rimane in piedi il caso di Adriano Sofri. Analogo ma diverso. Anche Sofri è stato di recente seriamente malato: e deve essere considerato una persona fisicamente fragile. E tuttavia – animato da un orgoglio che possiamo definire luciferino non per disprezzo ma per ammirazione – ha sempre rifiutato misure di clemenza. Non vuole l’indulgenza dello Stato perché afferma – in opposizione alla sentenza definitiva che gli ha inflitto 22 anni di reclusione – la sua innocenza.
La lobby, trasversale e assai potente, che si è battuta e che si batte per Sofri, sostiene che questo modesto particolare è ininfluente, che il Quirinale può graziare anche chi non si abbassa a chiederglielo, che il «Sofri libero» è un imperativo morale cui solo cotennosi forcaioli possono rimanere insensibili. «Non sono mai contrario alla grazia quando si tratti di fatti accaduti in un periodo storico superato» ha detto il senatore D’Ambrosio, ex Mani pulite.
Non so lui: ma la sua parte politica sembra di tutt’altro avviso se si tratta di Erich Priebke, il cui crimine risale di sicuro a «un periodo storico superato».Capisco i motivi di principio cui faceva riferimento, nella sua opposizione rusticana alla grazia, il ministro Castelli. Personalmente non ne posso più di questo tormentone che è insieme estenuante e futile. Adriano Sofri – se vogliamo dire le cose come sono – la grazia, ossia la libertà, l’ha già avuta da tempo.
Non sono molti gli italiani non «teoricamente» detenuti che hanno le possibilità di socializzare, di muoversi, di partecipare a convegni, di esercitare una meritevole attività letteraria e giornalistica, di assistere al Palio di Siena nella loggia d’onore, di cui gode Sofri. In un certo senso si discute del nulla, ma è un nulla che piace immensamente all’italica folla dei giureconsulti, quando va bene, e degli azzeccagarbugli o mozzaorecchi, quando va male.
Mi espongo al rischio d’essere considerato un bieco reazionario esponendo qualche mia perplessità sull’ondata buonista che avvolge Sofri, e che ha un vizio d’origine preciso e grave. È inutile che i tifosi di Sofri cerchino – non tutti – giri di parole e formule di convenienza. La loro invocazione della grazia non ha carattere umanitario, non vuol premiare un carcerato modello che oltretutto s’è distinto per doti intellettuali, non mira ad attestare una redenzione e un recupero al mondo degli onesti del responsabile di un omicidio.
No, la loro invocazione al Presidente della Repubblica gli attribuisce in realtà i poteri d’una estrema e inappellabile magistratura che, in contrasto con le precedenti, attesti ciò che agli amici di Sofri sta a cuore. Ossia che lui non c’entra nulla con l’omicidio Calabresi, che Leonardo Marino è un mentitore, che è stato commesso un errore giudiziario. In questa interpretazione sta l’insidia e l’importanza della grazia. Possiamo fingere d’ignorarlo, ma in effetti è così.
E allora mi inquieta l’apologia di Sofri, mi inquietano gli osanna a un uomo che è stato processato con tutti i crismi legali, e che i giudici – i giudici esaltati, quando alla sinistra conviene, come onniscienti e infallibili – hanno condannato. Le questioni legali sono per alcuni molto stimolanti. Mi chiedo, nel mio piccolo, cosa avverrebbe – visto che per decisione della Consulta la grazia è una prerogativa assoluta del Quirinale, ma esige la certificazione d’una controfirma ministeriale – se un ministro negasse la sua firma.
Ma più dei cavilli m’interessa la sostanza. Si vuol graziare un colpevole o si vuol liberare un innocente? La domanda, come diceva Mike Bongiorno, è pertinente.