7 marzo 2014
di Massimo Introvigne
L’immagine di file di divorziati risposati, in ansiosa attesa del Sinodo convocato da Papa Francesco per poter fare finalmente la comunione, in Italia non corrisponde alla realtà. Allertato da colloqui con amici sacerdoti e giornalisti – tra cui il direttore di questa testata, Riccardo Cascioli – per la Nuova Bussola Quotidiana ho voluto testare la consistenza dell’immagine dei divorziati risposati cattolici trasmessa da buona parte della stampa con una ricerca svolta su un campione di 250 sacerdoti e religiosi di tutte le regioni italiane.
Come per ricerche precedenti, ho utilizzato una tecnica «a cascata» facendo circolare una questionario tramite i social network e Internet, utilizzando anche gruppi chiusi di sacerdoti ex alunni di seminari e università pontificie. Il campione non è enorme, ma è rappresentativo, e proviene da tutte le regioni italiane,
Una premessa da cui sono partito, nota alla ricerca sociologica, è che nei sondaggi è sempre preferibile interrogare gli intervistati su fatti precisi piuttosto che su opinioni. Diversi sociologi hanno documentato,per esempio, che, se invece di chiedere «Lei è un cattolico praticante?» si domanda «Lei nello scorso week-end è andato a Messa?», le risposte affermative scendono, e si avvicinano molto di più alla realtà che si può accertare con conteggi alle porte delle chiese.
Molti dei sondaggi per il Sinodo presentati da alcuni episcopati – compresi quelli affidati a sociologi, come in Svizzera – hanno chiesto a preti e laici che cosa «pensano» della possibilità di ammettere alla comunione i divorziati risposati. Hanno sondato, cioè, opinioni, anziché porre la domanda fattuale sull’esistenza reale e sul numero di divorziati risposati che oggi non si comunicano e che affermano che lo farebbero domani se il Sinodo o il Papa aprissero a questa possibilità..
I risultati della mia ricerca, che riguarda l’Italia, potranno sorprendere qualcuno. Il 78,4% dei sacerdoti italiani afferma di non conoscere nella sua parrocchia neppure un solo caso di divorziati risposati che non si comunicano e dichiarano di attendere un via libera dalla Chiesa per comunicarsi. Tra la minoranza di sacerdoti che invece ha questi casi in parrocchia, più della metà, il 51,85%, afferma che le coppie coinvolte sono solo una o due. Questa attesa massiccia del Sinodo non c’è, non solo perché molti divorziati verosimilmente non sono interessati a comunicarsi, ma perché molti di fatto già si comunicano, benché in teoria la Chiesa non lo permetta.
Secondo la ricerca, il 75% dei sacerdoti italiani sa che tra i suoi parrocchiani ci sono divorziati risposati che si comunicano regolarmente. Il 41% pensa che lo facciano ignorando completamente il sacramento della Confessione, il 34% riferisce che questi divorziati risposati decidono di comunicarsi dopo un colloquio con il confessore.
Semmai, i preti – che, come sappiamo e seguendo del resto le istruzioni dei loro vescovi, quasi mai rifiutano la comunione a chi si mette in fila e si presenta all’altare – si preoccupano delle ripercussioni sugli altri fedeli del possibile scandalo. In effetti, secondo la ricerca, i sacerdoti pensano che, tra i divorziati risposati che decidono di comunicarsi dopo un colloquio con il confessore, il 75% si comunichi abitualmente fuori della propria parrocchia. Si direbbe che seguano quello che sembrava un consiglio tipico di sacerdoti d’altri tempi per diverse situazioni di peccato – “se ti senti, comunicati, ma fallo in una chiesa dove non ti conoscono per non creare scandalo” -, che invece apparentemente è ancora di moda.
Non sono un teologo, e non ho competenze nel campo della teologia morale. Leggo con attenzione quanto scrivono, anche sulla «Nuova Bussola quotidiana», persone competenti, che certamente possono essere anche laici che da anni studiano seriamente questi problemi. Guardo invece con un certo scetticismo ad altri giornali, dove il «todos caballeros» dell’imperatore Carlo V (1500-1558) – non a caso riferito secondo la storia o la leggenda a italiani, che si credevano tutti adeguati al titolo cavalleresco – sembra essere diventato un «todos teólogos».
Naturalmente non possiamo conoscere il contenuto dei colloqui con i confessori che portano molti divorziati risposati alla decisione di comunicarsi, e quindi non possiamo accusare frettolosamente quei confessori di non difendere, come ha chiesto loro il Papa il 6 marzo, la «sana dottrina morale», che dev’essere – ha detto Francesco – sempre accompagnata, ma mai abolita, dalla misericordia. Può ben darsi che alcuni confessori invitino i divorziati risposati a vivere nella castità.
E in ogni caso i divorziati risposati che decidono di comunicarsi senza mai confessarsi sono di più. Il problema di milioni di cattolici nel mondo che si comunicano regolarmente e non si confessano mai non riguarda solo i divorziati risposati. È uno dei maggiori drammi della Chiesa di oggi, che ne spiega molti altri, già accoratamente denunciato da Benedetto XVI e ben presente a Papa Francesco, che ha messo l’invito insistito alla Confessione al centro del suo Magistero.
Senza dunque voler insegnare ai teologi il loro mestiere, penso tuttavia che contributi sociologici come questo non siano inutili al Sinodo. Confermano che la situazione è molto confusa, che la Chiesa non può astenersi dal mettere ordine e che uno studio ampio e approfondito – del resto già invocato da Benedetto XVI – è opportuno. Se in Italia le cose vanno così, figuriamoci in Germania o in Svizzera, dove del resto si riferisce che molti divorziati risposati ricevono la comunione senza problemi, molto più spesso che da noi.
Ben venga, dunque, un esame approfondito dei problemi al Sinodo. Ma, se nei sondaggi si cercano di accertare fatti invece che opinioni, si scopre spesso che i problemi sono diversi da come molti li rappresentano.