Vietnam, Pakistan e Angola negano la responsabilità di guerre civili e lotte di potere
Così alla Conferenza si «spiega» il sottosviluppo
(R.Cas.) Di cose curiose in questi giorni se ne sentono molte ed è forse “l’effetto sovrappopolazione” che si vive in sala stampa che le rende credibili. Ma negli interventi succedutisi in assemblea plenaria si coglie anche una certa tendenza a usare la sovrappopolazione come alibi per coprire i fallimenti dei vari sistemi politici ed economici.
È interessante ad esempio leggere il rapporto preparato dalla Cina popolare per questa Conferenza. Riscrivendo la storia infatti, il rapporto spiega che tra gli anni ’50 e ’60 lo slancio del Paese verso lo sviluppo è stato annullato dall’alto tasso di crescita della popolazione e dalla mancanza di una adeguata politica di controllo.
Insomma, mancava ancora la “coscienza demografica”. Strano, perché finora pensavamo che la mancanza di sviluppo della Cina popolare in quel periodo si dovesse invece alla folle politica maoista del “Grande balzo in avanti” che provocò la morte di decine di milioni di contadini cinesi.
Tanto per rimanere in zona, giovedì siamo venuti a sapere dal ministro per la Pianificazione familiare Mai Ky, che il Vietnam è povero perché il numero medio di figli per donna è di 3,7. Una novità, perché fino alla settimana scorsa il governo di Hanoi aveva sempre urlato a tutto il mondo che il sottosviluppo era causato dall’embargo americano, mentre altri esperti continuano a sostenere che alla povertà del Vietnam non è estraneo il “socialismo reale” con i suoi fallimentari piani quinquennali.
E non dimentichiamo il Pakistan: nella sua vibrante relazione di apertura dell’Assemblea, il premier Benazir Bhutto ha affermato con forza la necessità per il suo Paese di tagliare ancora il tasso di crescita della popolazione, grande ostacolo allo sviluppo. Non abbiamo però mai sentito un accenno alle cause politiche della povertà: dai colpi di stato degli anni passati fino alla lotta politica tra lei e il leader di opposizione Nawaz Sharif che tra il ’92 e il ’93 ha paralizzato le istituzioni pakistane, facendo precipitare la già difficile situazione economica.
In Africa la situazione non è molto diversa: il segretario generale aggiunto dell’Organizzazione per l’Unità africana (Oua), B.N. Dede, ha sottolineato come il raddoppio della popolazione avvenuto in soli 23 anni abbia come conseguenza l’alta disoccupazione e la trasformazione delle città africane in “piccoli centri circondati da baraccopoli sempre più grandi”. E pensare che noi in questi anni abbiamo tirato in ballo le dittature militari, la corruzione, uno sballato processo di decolonizzazione, lo sfruttamento occidentale delle materie prime.
E tanto per non sbagliare, anche il vice-ministro angolano Eduardo Severim de Moráis ha inserito l’alto tasso di crescita della popolazione tra le emergenze che impediscono lo sviluppo dell’ex colonia portoghese. Invece la guerra che da 19 anni dilania il Paese e che tuttora continua, malgrado negoziati e trattati di pace firmati, pare sia un dettaglio di poco conto.
Ma è la tesi più incredibile quella che viene ripetuta maggiormente dagli oratori Dovevamo infatti venire al Cairo per imparare che il genocidio mándese è il frutto della sovrappopolazione, e non di una guerra di potere tra ristrette oligarchie politico-militari sviluppatasi nel silenzio colpevole della comunità internazionale.
La tesi di un genocidio figlio della sovrappopolazione è stata sostenuta per prima da Elizabeth Dowdeswell, direttore esecutivo del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep), e lo hanno ripetuto altri, soprattutto delegati Onu, dopo di lei Poco importa se il delegato del Ruanda ha detto che questo è completamente falso. Così dice l’Onu, cosi è andata.
Del resto la bozza di documento finale aveva già avvertito che il Ruanda era il Paese con il più alto tasso di fertilità al mondo e che in quelle condizioni lo sviluppo non era sostenibile. Non hanno voluto ascoltare, peggio per loro.