“cercate ogni giorno il volto dei santi e traete conforto dai loro discorsi”
[Didaché IV, 2; CN ed., Roma 1978, pag. 32].
di Rino Cammilleri
Il santo di oggi fu vescovo di Spoleto nel VI secolo, e non si sa molto di lui. Lo stesso Prezzolini, pur -di solito- così informato, è costretto ad allargare le braccia nel riferire di questo santo. Era spoletino o proveniva da altre regioni? Anche questo non si sa. E’ molto probabile, tuttavia, che sia stato un autoctono umbro. Morì «nove giorni prima delle calende di dicembre», però neppure l’anno della sua morte è dato conoscere. Si sa solo che venne sepolto nell’antica chiesa dedicata a San Pietro ed edificata nel 419 da un precedente vescovo spoletino, Achille.
Anche sul nome del santo odierno regna incertezza. Spes, infatti, in latino vuol dire «speranza». Ciò ha fatto storcere non poco il naso a quegli storici sempre pronti a «razionalizzare» e ad inforcare gli occhiali della mentalità moderna per giudicare le cose del passato. «Speranza» è, in effetti, un nome femminile. Ma lo era anche per i cristiani dei primi secoli? Ci sono tre martiri romane che si chiamano Fede, Speranza e Carità. E la loro madre si chiamava Sofia, che in greco sta per «sapienza».
I nomi, ancora oggi, sono i primi a soggiacere alle mode; si pensi, per esempio, al vezzo tutto contemporaneo di chiamare «Andrea» le femminucce. Gli anarchici italiani dell’Ottocento non esitavano a chiamare i figli Comunardo o Libertario. Perché i primi cristiani, che erano tutti convertiti e sicuramente entusiasti della loro nuova ragione di vita, non dovevano fare lo stesso con i simboli della fede?
Tornando a Spes, c’è un’altra cosa che di lui sappiamo: parte delle sue reliquie stanno in Francia, ad Aix-la-Chapelle.
il Giornale 23 settembre