di Eugenia Roccella
La notizia è stata commentata trionfalmente da esperti e scienziati: sembra sia possibile ottenere cellule staminali embrionali senza distruggere gli embrioni, semplicemente prelevandole dal liquido amniotico. Se il metodo funzionasse, in un colpo solo si cancellerebbero anni di polemiche e lacerazioni tra chi è per una libertà della ricerca senza alcun limite e chi pone come priorità la tutela della vita umana. La prudenza, naturalmente, è d’obbligo.
Basti pensare al veterinario coreano Hwang Woo Suk, eroe internazionale della clonazione terapeutica, celebrato dall’intera comunità scientifica e poi crollato nella polvere in seguito a qualche banale verifica; o alle fanfàre che hanno accompagnato l’annuncio, da parte di un ricercatore autorevole come Robert Lanza, di aver estratto staminali embrionali senza distruggere l’embrione, mentre bastava fare qualche conto per vedere che i numeri non tornavano; o ancora ricordare la fortuna e la rapida eclissi della tesi di Miodrag Stoikovic, che sosteneva di poter ottenere cellule staminali da embrioni morti (che poi, si è visto, proprio morti non erano).
Aspettiamo quindi informazioni certe e dettagliate. Ma se non ci fossero trucchi e inganni, questa scoperta darebbe definitivamente ragione a chi sostiene che la ricerca scientifica va guidata e indirizzata, e che non può godere, in un sistema democratico, di una franchigia assoluta.
Se non si fossero impostate politiche di controllo, se George Bush non avesse optato per il criticatissimo blocco dei finanziamenti pubblici alla ricerca sugli embrioni, se l’Italia, la Germania e altri Paesi non avessero stretto un accordo impedendo, fino all’arrivo del ministro Mussi, il flusso dei fondi europei ai progetti che prevedevano la distruzione di embrioni, non ci sarebbe stata tanta frenetica attività di ricerca orientata verso nuovi metodi. Molto più comodo fermarsi al primo gradino, e smantellare embrioni a catena, sostenendo che il sacrificio delle vite embrionali di oggi sarebbe servito a salvare vite adulte di domani.
Come è successo altre volte, per esempio con alcuni vaccini, i primi risultati non sono i migliori, e la strada più breve non è sempre la più sicura. Il tentativo di forzare le perplessità dell’opinione pubblica amplificando le qualità magiche delle cellule staminali embrionali ormai comincia a cedere davanti a una realtà deludente.
Quella sulle famose cellule totipotenti, capaci di trasformarsi e riprodursi senza sosta, è stata, fino ad oggi, una ricerca che ha trovato poco e niente, e che non ha ancora applicazioni terapeutiche. Uno ad uno i miti su cui è stata costruita una propaganda ossessiva e strumentale si smontano, rivelandosi come nuove forme di leggende metropolitane; le guarigioni miracolose dalle cellule embrionali come gli alligatori albini nelle fogne di New York.
Pochi giorni fa, il professor Austin Smith dell’Università di Cambridge, colonna della ricerca più avanzata, ha spiegato al Times che la clonazione terapeutica è stata «oversold», cioè sovrastimata e troppo pubblicizzata. Si è raccontato alla gente che così si sarebbe trovata la cura per le malattie degenerative, ma, sostiene il professore, significative barriere tecniche indicano che nella pratica questi obiettivi probabilmente non saranno mai raggiunti.
I paletti e le cautele, dunque, non sono solo doverosi ma utili; la politica serve ad orientare la ricerca, e persino a farle trovare di meglio e di più. Il primo sconfitto del 2007 è il ministro Fabio Mussi, convinto che la distruzione degli embrioni sia un gesto necessario per affermare «il principio etico della cura», e che il blocco dei finanziamenti comunitari avrebbe trasformato l’Europa «nella periferia di qualche impero».