International Family News 27 Gennaio 2022
Un film rievoca le gesta della donna che ad Auschwitz salvò la vita di almeno 3mila bambini
di Luca Marcolivio
La Polonia è sempre stata graniticamente pro life già in tempi non sospetti. È noto che l’eugenetica nazionalsocialista fosse spietata persino con i neonati.
Nel campo di sterminio di Auschwitz, in Polonia, i bambini che venivano partoriti nel lager venivano tutti sistematicamente uccisi. Ciò avvenne fino al giorno in cui, provvidenzialmente, l’ostetrica infanticida si ammalò.
I nazisti, per sopperire all’emergenza, dovettero sostituirla con una prigioniera, di tutt’altra consistenza umana. Il suo nome era Stanisława Leszczyńska (1896-1974), di professione era ostetrica ed era di religione cattolica.
Divisi per sempre
La vita tranquilla di Stanisława, allietata dal matrimonio con il tipografo Bronisław Leszczyński e dalla nascita di quattro figli, viene sconvolta nel settembre 1939 dall’invasione tedesca della Polonia. I coniugi Leszczyński entrano allora nell’organizzazione clandestina attiva a Łódź.
La tipografia di Bronisław inizia a stampare volantini per gli ebrei e per i dissidenti. Con l’aiuto dei figli, i due coniugi riescono a fornire aiuti e documenti falsi agli ebrei braccati.
Nel febbraio 1943 Stanisława viene però catturata dai nazisti e deportata nel campo di sterminio di Birkenau assieme alla figlia Sylwia.
Bronisław e il figlio, Bronisław junior, riescono a eludere il blitz della Gestapo, la polizia politica nazista tedesca, mentre gli altri due ragazzi, Stanisław ed Henryk, vengono presi e portati nel campo di concentramento di Mathausen, in Austria.
Dopo tre mesi, nel maggio 1943, si ammala Klara, l’ostetrica di Auschwitz. Quest’ultima, per ordine del dottor Josef Mengele (1911-1979), il medico di Auschwitz detto il «dottor morte», era stata addestrata a far nascere i bambini delle prigioniere per poi sopprimerli tutti, nessuno escluso.
Subito dopo il parto, i neonati venivano affogati in un barile e poi gettati in pasto ai topi, sotto lo sguardo delle madri.
A Stanisława Leszczyńska, chiamata a sostituire la collega malata, fu chiesto proseguire l’infame procedura, firmando, per giunta, certificati falsi con la dicitura «nato morto».
Le fu consentito svolgere questa mansione, grazie al certificato di abilitazione in Ostetricia scritto in tedesco, che, da prigioniera, era riuscita a portare con sé ad Auschwitz, nascosto in un tubetto di dentifricio.
Faccia a faccia con il «dottor morte»
Stanisława si rifiutò categoricamente e, da quel momento, le cose cambiarono in modo radicale. «No! Nessuno può uccidere i bambini!», gridò, affrontando a viso aperto le guardie naziste.
Da quel momento e fino alla liberazione, grazie all’abnegazione della dottoressa Leszczyńska ad Auschwitz nacquero ben 3mila bambini: grazie alla perizia sua e di sua figlia che l’assisteva, né alcuno di loro nacque morto né alcuna delle madri morì di parto.
L’ostetrica di Łódź li faceva nascere nel caminetto del dormitorio, avendo a disposizione per avvolgerli soltanto una coperta sporca che ogni volta doveva liberare dai pidocchi.
Le donne erano costrette ad asciugare i pannolini dei piccoli sul proprio ventre o sulle cosce, perché appenderli era un atto punibile con la morte.
Di quei 3mila bambini, purtroppo, almeno la metà furono però uccisi dopo dalle guardie naziste, mentre circa un migliaio morirono per la fame e per il freddo.
Solo qualche centinaio venne risparmiato e destinato ai brefotrofi per una semplice ragione eugenetica: avevano capelli biondi, occhi azzurri e altri tratti somatici non semitici. Dei restanti bambini soltanto una trentina arrivarono vivi alla liberazione di Auschwitz.
Bronisław Leszczyński junior raccontò di quando un giorno fece ingresso nel dormitorio il dottor Mengele: «Mia madre cercava il suo sguardo. E lui abbassò lo sguardo e disse che, per un attimo, gli sembrò di sentirsi umano. E chi lo ha detto?
A una prigioniera, a una donna polacca. Il dottore andò via, e non vi fu alcuna persecuzione. La gente sapeva che lei aveva un potere su di lui».
Si racconta che l’ostetrica di Auschwitz amasse molto la musica e che, persino nell’inferno del lager, fosse solita cantare, portando quel minimo di buonumore che aiutava i prigionieri a tenere duro fino al giorno successivo.
Era anche molto devota. La si vedeva pregare, in particolare la Vergine Maria, in vari momenti della giornata: al risveglio, la sera, ai pasti. Ogni volta che nasceva un bambino, faceva il segno della croce su di lui e sulla madre.
Il film
Finita la guerra, Stanisława Leszczyńska rientrò a Łódź, dove continuò la professione ostetrica per il resto dei propri giorni. Nel frattempo il marito era morto durante la rivolta di Varsavia del 1944. Stanisława è morta l’11 marzo 1974, all’età di 77 anni.
Nel 1992 è iniziato il processo per la sua beatificazione. Dal 1996 le sue spoglie mortali sono custodite nella chiesa dell’Assunta a Łódź, dove era stata battezzata.
A quella grande eroina è stato recentemente dedicato il film L’ostetrica, diretto da Maria Stachurska, nipote della Serva di Dio. La pellicola è stata presentata all’ultima edizione dell’International Catholic Film Festival «Mirabile Dictu», patrocinato dal Pontificio Consiglio per la Cultura, e sarà proiettata martedì 1 febbraio, alle 19, presso l’Istituto Polacco di Roma, alla presenza della regista Maria Stachurska.
Un utile approfondimento è l’articolo di Wlodzimierz Redzioch, collaboratore di «iFamNews», «L’ostetrica che portò la vita nel lager», pubblicato in «Famiglia Cristiana», n°4 del 2022, pp. 36-38
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