1) quella antica (o classica) dominata dall’idea che la realtà, la cui oggettività è percepita con forza, sia ordinata e buona, ma solo nella sua struttura portante, nei suoi aspetti universali: il concreto, il singolare (io che scrivo e tu che leggi, il mio scrivere e il tuo leggere, e ogni fatto e atto della nostra e di chiunque vita) non hanno senso.
2) quella medioevale, orientata dall’idea che tutta la realtà, in ogni suo livello, è ontologicamente buona e per: per il soggetto, per la sua concreta esistenza. La realtà del cosmo infatti non ha altro senso che nel rapporto tra la Soggettività divina, creatrice, e la soggettività umana, creata.
3) quella moderna e contemporanea: traendo origine da quella medioevale, ne esalta e talora estrapola l’idea dell’importanza della soggettività; nella sua corrente antropocentrica giunge ad affermare una assoluta centralità del soggetto, concepito come slegato dall’oggettività (il mondo, i vincoli comuntari, gli altri in genere e l’Altro in particolare), la quale viene a svolgere un ruolo di mera passività, di docile plastilina che il soggetto può plasmare a suo arbitrio. Vi è però anche una modernità cristiana (vedi in nostro contributo sull’umanesimo cristiano), per la quale la valorizzazione del soggetto non avviene a prezzo di una rottura del legame con Dio, con la trascendenza.
la filosofia antica
Si può osservare come la filosofia antica delinea una parabola di cui si può in qualche modo cogliere la logica:
1) i presocratici sono affascinati dal mistero del cosmo naturale: ne colgono l’ordine e la bellezza, il logos, e ne cercano l’unitario principio (arché), ma restando sul piano puramente fisico si incagliano nella contraddizione tra essere e divenire.
2) L’esito è la sfiducia nella stessa possibilità di conoscere oggettivamente la realtà, sfiducia di cui si fanno interpreti i sofisti.
3) Ma la spinta verso la verità è inarrestabile: in particolare non si può rinunciare a sapere chi è l’uomo; in questa direzione si muove Socrate; egli cerca la verità assoluta sull’uomo, e paga con la sua vita la fedeltà a questa ricerca, ma non trova un fondamento adeguato alla sua sapienza sull’uomo (anthropine sophia).
3.a) Toccherà a Platone trovare questo fondamento, che gli consente di impostare una soluzione alle contraddizione in cui si era incagliato il pensiero presocratico: il suo fondamentale guadagno è che il principio della realtà sensibile è oltre il sensibile, è in un mondo intelligibile (le idee), che può essere raggiunto dal pensiero e anzi del pensiero stesso è fondamento. Ma la filosofia platonica, pur avendo colto come la verità del mondo materiale sia in un livello immateriale, spirituale, darà troppo poco spazio alla materia, e quindi
4) toccherà ad Aristotele rivalutare l’importanza del mondo sensibile. Con lui la filosofia greca raggiunge un livello ineguagliato di sistematicità. Per Aristotele la realtà è ordinata, è una armonia di sostanze composte di materia e di forma, e l’intelligenza umana può cogliere questo ordine. Tuttavia nemmeno a lui riesce di poter “salvare” il concreto, come dicevamo sopra: l’esistenza del singolo uomo e la realtà concreta della sua vita non sono salvate, non hanno senso, sono qualcosa di casuale. Per questo le filosofie successive
5) le filosofie ellenistiche cercheranno di rimediare a tali lacune delle grandi sintesi di Platone e Aristotele, occupandosi di più della vita (concreta) del singolo (di qui il loro disinteresse per il cosmo e l’essere, come pure per la politica). Ma questa concentrazione etica della filosofia, all’insegna di una rinuncia al fondamento ontologico, si risolverà in proposte essenzialmente consolatorie. La vita fa paura, è come una grande malattia, occorre che la filosofia fornisca dei farmaci (per Epicuro un tetrafarmaco). Per questo l’esito ultimo della filosofia classica sarà o l’accoglimento dell’annuncio cristiano, che spiega fino in fondo il senso dell’essere, ovvero un rifugio in una trascendenza naturalisticamente intesa (Plotino e il neoplatonismo).
La filosofia medievale
Di fronte a tale esito del pensiero antico, cui cui era stata verificata la sua ultima incapacità di spiegare il reale, si passa alla seconda grande epoca della storia della filosofia, quella medioevale, che si costituisce essenzialmente come filosofia religiosa e segnatamente cristiana: è in Dio che il mistero dell’esistenza trova la sua soluzione. Questa fase può essere schematicamente suddivisa in due grandi periodi, quello patristico-altomedioevale e quello scolastico.
1) La filosofia patristica si caratterizza per un accoglimento dell’annuncio cristiano, giustamente ritenuto il centro della cultura, ma in un contesto prevalemente platonico. Se il Cristianesimo è al centro, in altri termini, ciò avviene grazie a una certa svalutazione del livello materiale. Molte espressioni dei Padri, ad esempio di S.Agostino, ricalcano temi platonici senza averli adeguatamente vagliati in prospettiva cristiana: come se il problema fosse staccarsi dal mutevole per aderire all’immutabile. Non è in gioco l’essenziale adesione alla fede cristiana, ma la mediazione filosofica con cui essa viene pensata risulta poco equilibrata.
2) Per questo la filosofia patristica e altomedioevale trapassa nella Scolastica che rimedia a tale squilibrio svalutativo del livello corporeo con una accentuazione, di opposto segno, della consistenza di tale livello. È soprattutto S.Tommaso d’Aquino che, utilizzando la filosofia di Aristotele, compie tale rivalutazione cristiana del corporeo. Ma a sua volta tale nuova impostazione rischia di essere sbilanciata, poiché alla valorizzazione del mondo sensibile fa da contrappeso una perdita del senso della centralità della fede e del soprannaturale. Inoltre essa tende a minimizzare ciò che, sia pure in una prospettiva platonizzante, la patristica e S.Agostino in particolare, avevano ben presente, ossia l’importanza centrale del soggetto (“Deum at animam meam scire cupio”, “in interiore homine habitat veritas”): dall’artistotelismo Tommaso trae una sottolineatura oggettivistica, che sarebbe ben presto entrata in rotta di collisione con la parabola vincente del pensiero moderno.
3) La Scolastica, o meglio il tomismo perciò influisce in due modi sul pensiero successivo: da un lato innesca una deriva di autonomizzazione della sfera naturale, il cui esito è il naturalismo, dall’altro provoca per reazione al suo oggettivismo una marcata esaltazione della soggettività, fenomeni entrambi riscontrabili in molto pensiero umanistico-rinascimentale, con il quale entriamo già nella terza grande epoca della filosofia, quella moderna, segnata da un progressivo distacco dalle radici medioevali e dal delinearsi sempre più netto di una cultura antropocentrica.
La filosofia moderna
La terza grande epoca della storia della filosofia in realtà ha come denominatore comune non tanto l’antropocentrismo, quanto il valore della soggettività: il nemico non è tanto il Cristianesimo (lo è solo per una parte della filosofia moderna), quanto l’oggettivismo scolastico, maldestramente sposato da buona parte dei vertici della Chiesa cattolica.
Se in comune tutta la modernità ha una stima per il soggetto, tale stima trova due possibili strade: una che si ricongiunge alla tradizione cristiana (e in particolare ad Agostino), la via di un umanesimo teocentrico, la via Pico della Mirandola, di Marsilio Ficino, di Erasmo, del Beato Angelico, di Michelangelo, di Pascal; l’altra si allontana da tale tradizione, rompe col Medioevo, e si procede verso un antropocentrismo sempre più spinto: è la via di Pomponazzi, di Lorenzo Valla, di Montaigne, di Spinoza, di Hume (e a livello artistico, di Masaccio, di Raffaello).
A metà strada, trasversalmente divisi tra l’una e l’altra anima della modernità, pensatori come Cartesio, Locke, Leinbiz e Kant. Questi pensatori in effetti sono da un lato in larga complici e succubi della deriva razionalista e immanentista della corrente antropocentrica: per loro la ragione del soggetto è criterio e filtro, e non apertura all’oggettivo; e tuttavia tutti so sforzano di lasciare comunque aperto almeno un pertugio verso la trascendenza di Dio.
La filosofia contemporanea
Questa ambiguità però non poteva restare a lungo, e in effetti viene chiarita con la filosofia contemporanea, la quale da un lato affermerà decisamente un immenentismo soggettivistico assoluto, giungendo così a progetti totalizzanti radicalmente atei (Hegel, Marx, Comte), ma vedrà anche d’altro lato, specie nel ‘900, fiorire un nuovo pensiero cristiano, che avrà fatta propria la dimensione “buona” del moderno e si presenterà pertanto capace di confrontarsi efficacemnete col pensiero “laico” contendendogli la capacità di interpretare esaurientemente le istanze dell’umanità contemporanea.