Corriere del Sud 14 Febbraio 2023
di Andrea Bartelloni
Le pagine dedicate alla salute del quotidiano francese Le Figaro lanciano l’allarme sui legami tra cancro al polmone e la cannabis. Se ne parlava già nella seconda metà degli anni 1990 quando la Società italiana di Farmacologia (SIF), tra le varie conseguenze del consumo di cannabis, descriveva anche l’aumentata possibilità di insorgenza di tumori polmonari.
Nel 2011 una ricerca guidata da Prakash Nagarkatti dell’Università del South Carolina negli Stati Uniti, descriveva l’inibizione del sistema immunitario dovuta alle cellule soppressorie di derivazione mieloide (myeloid-derived suppressor cells o MDSC), la cui presenza è forte nei malati di cancro.
Secondo i ricercatori, i cannabinoidi stimolano le MDSC con il risultato di frenare il sistema immunitario. «Le MDSC – ha spiegato Nagarkatti – sembrano essere cellule uniche e importanti che potrebbero essere scatenate da una produzione inappropriata di certi fattori di crescita da parte di cellule cancerose o altri tipi di agenti chimici come, appunto, i cannabinoidi» che, inibendo il sistema immunitario rendono l’individuo indifeso di fronte alle aggressioni da parte di patogeni.
Nel 2019 uno studio dell’Università La Sapienza di Roma evidenziava la carcinogenità del fumo di cannabis non solo per i polmoni, ma anche in altri distretti. A risvegliare l’attenzione al legame tra cannabis e cancro al polmone l’intervista ad alcuni specialisti pneumologi francesi riuniti per il 27° Congresso di Pneumologia in lingua francese a Marsiglia.
«Nel complesso, il numero di tumori polmonari sta diminuendo a causa della diminuzione dei fumatori negli ultimi decenni, ma rimane stabile tra i giovani, abbiamo quindi sospettato che la cannabis stesse contribuendo» a questa stabilità, ha detto Pauline Pradère, pneumologo dell’ospedale Marie-Lannelongue a Plessis-Robinson (Hauts-de-Seine), intervistato dal quotidiano francese.
«Quando, quest’anno, il consumo regolare di cannabis è stato preso in considerazione, abbiamo scoperto che i fumatori di spinelli hanno manifestato un cancro molto prima degli altri, a 53 anni in media, rispetto a 68 anni tra fumatori di solo tabacco e 73 anni per i non fumatori”, afferma Hugues Morel, capo del dipartimento di pneumologia della CHR d’Orléans e presidente del College of Hospital Pulmonologists Generale (CPHG).
Il fumo dello spinello contiene un numero maggiore di cancerogeni accertati rispetto al tabacco e poi ci sono anche altri fattori: l’assenza di filtro che facilita il passaggio di tossine, la temperatura più alta che aumenta l’effetto irritante sulle mucose. Il fumatore di spinelli a base di cannabis inala molto profondamente e ritiene più a lungo il fumo per aumentarne l’effetto psicotico.
Ma anche con questo aumento della tossicità, non sappiamo «perché scoppia il cancro quindici anni prima tra fumatori di cannabis rispetto a quelli di tabacco», riconosce il dott. Morel. Addirittura, i siti web dell’Organizzazione Organizzazione Mondiale della Sanità o il suo Centro di Ricerca sul Cancro, il Circ, non menzionano questi effetti.
La comunità scientifica resta ancora nel dubbio, probabilmente «dovuto a studi epidemiologici imprecisi sulle quantità di cannabis effettivamente fumata, tanto più difficili da stimare quanto spesso sono mescolato con il tabacco», osserva Pauline Pradère. Nel 2008, tuttavia, uno Studio neozelandese sui fumatori di cannabis pura, prosegue l’inchiesta de Le Figaro, avevano dimostrato che il rischio di cancro al polmone aumentava con la quantità di spinelli consumati.
Questo aveva suscitato il commento allarmante di due ricercatori dell’Inserm, ma, essendo una ricerca su un campione limitato, è rimasta isolata. Anche gli studi epidemiologici sono complessi da impostare per via di modelli di consumo della droga e per la composizione degli spinelli che variano molto. Risultato, negli Stati Uniti, dove l’uso ricreativo della cannabis è legale dal 2014 iniziando dagli stati del Colorado e di Washington, nessuno studio su larga scala è stato condotto per valutare l’impatto sull’apparato respiratorio.
Dei ventuno Stati che attualmente lo autorizzano, solo la California riporta sui prodotti a base di cannabis l’aumentato rischio di cancro ai polmoni. In Francia, un primo studio prospettico sul tema è iniziato nel 2021 dall’Institute national du cancer. Coinvolge 150 giovani colpiti da cancro al polmone e curati negli ospedali nella regione Ile-de-France e cerca di capire cosa differenzia i tumori dei fumatori abituali di cannabis da quelli degli altri pazienti.
La storia di un consumo di cannabis nel passato di questi malati è confermata in modo preciso da questionari confrontati con i dosaggi di derivati della cannabis nel capello. «È con questo tipo di studio che possiamo determinare un collegamento causa ed effetto più specifico per il cancro ai polmoni», dice Pauline Pradère, tra i promotori di questo lavoro che sperano che lo screening del cancro al polmone a livello nazionale attraverso esami radiografici pianificati fino al 2030 tenga conto di questi nuovi dati e includa anche i fumatori abituali di cannabis.
Nel 1995 l’allora senatore Luigi Manconi, a proposito delle conclusioni della SIF, parlava di “pseudoscienza” e di «informazioni parziali manovrate come clave a fini di terrorismo psicologico». «Il carcinoma polmonare è provocato dai prodotti di combustione di qualsiasi sostanza fumata – precisava Manconi – e non è stata dimostrata in alcun modo una specifica azione carcinogena dei prodotti di combustione della cannabis». Sarebbe stata una buona notizia, ma, purtroppo Manconi si sbagliava
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