STUDI E COMMENTI / La libertà religiosa in Turchia

religione_TurchiaArticolo pubblicato su Il Regno n.17
 1 ottobre 2005

 Otmar Oehring «Se “lo stato profondo”, il vecchio regime, riuscirà a imporsi, l´evoluzione democratica del paese, e quindi la libertà religiosa, finiranno nel dimenticatoio. Se riuscirà a imporsi il governo Erdogan, la democrazia turca e la libertà di religione avranno una nuova opportunità grazie a un islamista “illuminato”».

Mentre l´Unione Europea prosegue tra molte difficoltà e contrasti interni i negoziati d´adesione con la Turchia (con l´inizio ufficiale fissato al 3 ottobre), e nonostante il governo turco abbia varato riforme importanti per uniformarsi ai criteri stabiliti dal Vertice di Copenaghen del 1993, la mancanza di coerenti decreti applicativi e l´interferenza dello «stato profondo» rendono il capitolo della libertà religiosa nel paese ancora del tutto aperto.

Lo afferma uno studio di Otmar Oehring per l´organizzazione tedesca Missio – Internationales Katholisches Missionwerk, che porta il titolo

La situazione dei diritti dell´uomo. La Turchia in cammino verso l´Europa. A che punto è la libertà religiosa (dicembre 2004). Ne pubblichiamo i due capitoli conclusivi, che riepilogano i principali problemi aperti dal punto di vista giuridico e legislativo sul fronte della discriminazione delle minoranze religiose in un paese dove la popolazione è al 99% musulmana. Cf. Regno-att. 10,2005,299; 16,2005,510.

La situation des droits de l’homme. La Turquie sur la voie del l’Europe. Où en est la liberté religieuse, Aachen 2004, 56-63 ; nostra traduzione dal francese.

Mentre nei quasi quarant’anni dalla firma di un accordo di associazione con l’allora Comunità economica europea (CEE), il 12 settembre 1963 , la Turchia non ha fatto praticamente nulla per avvicinarsi al suo obiettivo a lungo termine, cioè l’adesione alla vecchia CEE o all’attuale Unione Europea (UE), fra il febbraio 2002 e il maggio 2004 il Parlamento turco ha votato ben otto leggi di armonizzazione europea. Ma occorrerà attendere per vedere se queste leggi  e le altre che sono state annunciate avvicineranno effettivamente la Turchia al suo obiettivo a breve termine, cioè ai negoziati di adesione all’UE.

Nel 1993, in occasione del Consiglio europeo di Copenaghen, la UE ha condizionato l’adesione  dei paesi candidati alla stessa al soddisfacimento di tre gruppi di criteri, i cosiddetti «criteri di Copenaghen». Il «criterio politico» riguarda la stabilità istituzionale, l’ordine democratico e il principio dello stato di diritto, la difesa dei diritti umani, nonché il rispetto e la protezione delle minoranze.

Il soddisfacimento di questo «criterio politico», perlomeno in gran parte, sarà decisivo per la decisione del Consiglio europeo del dicembre 2004 in merito all’apertura dei negoziati di adesione con la Turchia (il Consiglio europeo del 17 dicembre 2004 ha stabilito di proseguire i negoziati, fissandone l’avvio per il 3 ottobre 2005; ndr). Secondo l’opinione dominante, ciò implica la traduzione in pratica delle condizioni richieste e la dimostrazione della concreta applicazione dei relativi regolamenti da parte della Turchia.

Questo studio non pretendeva di valutare se nel frattempo la Turchia avesse o meno soddisfatto integralmente il criterio politico. Si chiedeva piuttosto se, e caso mai in quale misura, la priorità a medio termine fissata nel Partenariato per l’adesione della Turchia all’Unione europea sottoscritto nel 2001 (1), cioè la libertà di credenza e di religione, corrispondeva alla situazione attuale.

Il Partenariato di adesione del 2001 si aspettava dalla Turchia una totale garanzia di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali per tutti senza discriminazione né distinzione di lingua, razza, colore della pelle, sesso, opinione politica, concezione o religione; e lo sviluppo delle condizioni di difesa del diritto alla libertà d’opinione, coscienza e religione (2).

Questo studio intendeva valutare se la Turchia avesse soddisfatto, integralmente o perlomeno in gran parte, le succitate prescrizioni, prendendo come metro di misura le minoranze non musulmane. Occorre precisare che la questione della concessione della personalità giuridica alle comunità religiose riveste un’importanza che oltrepassa di gran lunga l’ambito delle minoranze non musulmane.

Per soddisfare le condizioni poste dal criterio politico, la Repubblica di Turchia ha intrapreso delle iniziative che si sono tradotte nelle otto leggi finora votate e in una serie di altre leggi ancora in fase di elaborazione, che vanno sotto il nome di «leggi di armonizzazione europea».

Dal punto di vista del nostro studio, i temi importanti erano i seguenti:

–  modifiche della legislazione sulle fondazioni:

–  modifiche relative all’apprendimento delle lingue parlate nella vita quotidiana da parte dei cittadini stranieri residenti in Turchia;

–  modifiche relative all’uso delle lingue parlate nella vita quotidiana nelle trasmissioni radiofoniche e televisive da parte dei cittadini stranieri residenti in Turchia;

–  modifiche del diritto di costruire.

Erano inoltre importanti gli sviluppi in materia di:

–  formazione del clero,

–  permessi di soggiorno e di lavoro per il personale straniero al servizio della Chiesa

e

– statuto giuridico delle comunità religiose

1 Questioni legate alla legislazione sulle fondazioni

Si trattava di valutare se, e caso mai in che misura, gli emendamenti della legge n.2762 del 5 giugno 1935 sulle fondazioni, contenuti nella legge n.4771 del 3 agosto 2002 emendante varie leggi (3) – la terza legge di armonizzazione europea – e nella legge n.4778 del 2 gennaio 2003 emendante varie leggi – la quarta legge di armonizzazione europea – nonché il decreto di applicazione del 24 gennaio 2003, ormai in vigore, sull’acquisizione e il godimento di beni immobili da parte delle fondazioni di comunità e sulla registrazione dei beni di cui dispongono hanno contribuito a risolvere il problema persistente delle fondazioni di comunità.

 Mancanza di disposizioni esecutive

Relative alla legge sulle fondazioni

A proposito delle fondazioni di comunità, le minoranze non musulmane hanno lamentato fra l’altro la mancanza di disposizioni esecutive relative alla legge n.2762 del 5 giugno 1935 sulle fondazioni (4). Di conseguenza, lo stato applica alle fondazioni di comunità regole che erano state concepite per altri tipi di fondazioni o regola le relazioni con le fondazioni di comunità mediante ordinanze di polizia. Questo problema persiste!

 Assoggettamento delle fondazioni di comunità

All’imposta sulle società

A proposito delle fondazioni di comunità, le minoranze non musulmane hanno lamentato fra l’altro che persino le fondazioni di comunità caritative, finalizzate ad esempio alla gestione di un ospedale, sono assoggettate all’imposta di società, il che costituisce indubbiamente una violazione dell’art. 41, co.3 del Trattato di Losanna. Questo problema persiste!

Divieto di trasferimento degli utili fra fondazioni

A proposito delle fondazioni di comunità, le minoranze non musulmane hanno lamentato fra l’altro il divieto di trasferimento degli utili fra fondazioni, il che costituisce un’incontestabile violazione della lettera e dello spirito del Trattato di Losanna, in particolare dell’art. 40, comma 2 e dell’art 41, co.2. Questo problema persiste!

Autorizzazione obbligatoria

Per i lavori di ristrutturazione

A proposito delle fondazioni di comunità, le minoranze non musulmane hanno lamentato fra l’altro l’obbligo di ottenere un’autorizzazione dalla «Direzione generale delle fondazioni» e ultimamente anche dal Ministero degli affari esteri, quando i costi dei lavori di ristrutturazione superano  una determinata somma.

Con la sua circolare n.2650 B del 23 dicembre 1999, la Direzione generale delle fondazioni per effettuare lavori ha abrogato gli art. 46 e 48 dell’ordinanza n.2/5042 del 17 luglio 1936, sulle fondazioni, e per ciò stesso anche l’obbligo di richiedere  un’autorizzazione per i lavori di ristrutturazione in caso di superamento della somma fissata dalla legge (5).

L’obbligo di ottenere l’autorizzazione della Direzione generale delle fondazioni per effettuare lavori di ristrutturazione che superano una somma prefissata non esiste più. Ma non si sa se questa abrogazione possa avere delle ripercussioni anche sull’obbligo di autorizzazione rilasciato dal Ministero degli affari esteri per questi lavori.

Ordinanza esecutiva del 1936

A proposito delle fondazioni di comunità, le minoranze non musulmane  hanno lamentato fra l’altro l’esistenza di un decreto di applicazione della legge sulle fondazioni del 1936 (6), in realtà benevola, che prescriveva la registrazione della proprietà delle fondazioni (7), ma che era ampiamente sconosciuto.

Nel 1974, la Corte di cassazione turca ha emesso, sulla base di questo decreto applicativo, un verdetto secondo cui lo stato poteva confiscare tutti i beni immobili acquisiti dalle fondazioni di comunità dopo il 1936 mediante acquisto, dono o lascito, poiché, in occasione dell’inventario del 1936, le minoranze musulmane  non li avevano dichiarati . In base a questo verdetto, questi beni erano stati acquistati per giunta illegalmente, poiché le minoranze non musulmane erano straniere e non avevano quindi alcuni diritto di acquisizione fondiaria in Turchia.

Le modifiche della legge  n.2762 del 5 giugno 1935 sulle fondazioni, contenute nella legge n.4771 del 3 agosto 2003 – emendate varie leggi (8) – terza legge di armonizzazione europea – o nella legge n.4778 del 2 gennaio 2003 emendate varie leggi – quarta legge di armonizzazione europea -, nonché il decreto di applicazione del 24 gennaio 2003, ormai in vigore, sull’acquisizione e il godimento di beni immobili da parte delle fondazioni di comunità e sulla registrazione dei beni a loro disposizione non hanno migliorato in modo significativo i problemi esistenti.

Il fatto che le fondazioni di comunità non possano acquisire beni immobili senza l’autorizzazione concessa dalla Direzione generale delle fondazioni costituisce un passo indietro rispetto alle regole fino ad allora in vigore e, per giunta, una violazione del principio costituzionale dell’uguaglianza e delle relative regole del  Trattato  di Losanna, poiché questa norma non vale per le fondazioni musulmane.

Va criticato il fatto che l’elenco delle fondazioni di comunità che beneficiano di queste nuove regole, allegato al decreto di applicazione sull’acquisto di beni immobili del 24 gennaio 2003, contenga solo 160 fondazioni di comunità, mentre l’elenco del 1946, stabilito dal Ministero turco della giustizia, ne comprendeva 208. Il governo deve spiegare questa riduzione e, in particolare, le sue cause (la confisca illegale dei beni della fondazione da parte del tesoro e della Direzione generale delle fondazioni, con la conseguente soppressione della stessa).

Infine, bisogna deplorare il fatto che l’adozione delle disposizioni  legislative ormai in vigore in forza del diritto delle fondazioni non abbia offerto alcuna soluzione praticabile riguardo ai beni immobili in possesso delle minoranze non musulmane che non dispongono di fatto di alcuna fondazione di comunità e che, in base alle attuali disposizioni legislative, non sono abilitate a creare fondazioni del genere (si tratta in particolare, della Chiesa cattolica romana e delle Chiese protestanti).

2 Modifiche relative all’uso di altre lingue

Si tratta di vedere se, e caso mai in che misura, le modifiche della legge n.2923 del 20 settembre 2002 sull’educazione e l’insegnamento della lingua straniera (e l’apprendimento delle lingue che sono parlate nella vita quotidiana dai cittadini stranieri residenti in Turchia) e il decreto di applicazione ormai in vigore del Ministero dell’educazione nazionale sull’apprendimento di altre lingue e dialetti che i cittadini stranieri residenti in Turchia usano nella vita quotidiana, come quelle specificate nella legge n.4771 del 3 agosto 2002 emendate varie leggi (9) – la terza legge di armonizzazione europea – o nella legge 4963 – la settima legge di armonizzazione europea del 30 luglio 2003 – hanno contribuito a risolvere i problemi che incontrano attualmente le minoranze non musulmane.

L’insegnamento della lingua materna e liturgica

Alcune minoranze non musulmane, cioè i cattolici caldei, i cattolici siriani e gli ortodossi siriani, hanno lamentato la mancanza della possibilità garantita sul piano giuridico di dispensare ai loro bambini un insegnamento nelle loro lingue materne, surit e suroyo, nonché di istruire i loro futuri professori di religione ed ecclesiastici nella lingua liturgica, il suroyo.

Gli insegnanti dei corsi privati – in linea di principio ormai autorizzati – di lingue e dialetti usati nella vita quotidiana dai cittadini stranieri residenti in Turchia devono dimostrare di aver ottenuto un diploma di insegnamento conforme alle disposizioni in vigore. I succitati cristiani – cattolici caldei, cattolici siriani e ortodossi siriani – non possono soddisfare questa condizione. Infatti, essi non possono abbracciare la carriera di insegnanti perché gli insegnanti provenienti dalle minoranze non musulmane non possono aspettarsi di essere inseriti nell’insegnamento pubblico.

L’unica soluzione possibile del problema sarebbe il conferimento da parte dello stato turco della personalità giuridica alle Chiese, autorizzandole così a decidere autonomamente delle loro faccende interne, anche in materia di insegnamento della lingua ai loro giovani, nonché ai loro futuri insegnanti ed ecclesiastici. Questo problema persiste!

Reti radiofoniche e televisive

Le modifiche introdotte nella legge n.3984 sulla creazione di reti radiofoniche e televisive e sulle loro trasmissioni in base alla legge n.4771 – la terza legge di armonizzazione europea – e della legge n.4928 – la sesta legge di armonizzazione europea – permettono anche alle minoranze non musulmane – qualora dispongano di proprie stazioni radiofoniche – di trasmettere programmi nelle lingue e nei dialetti che usano nella vita quotidiana. Le trasmissioni radiofoniche e televisive sono autorizzate!

3 La costruzione di luoghi di preghiera

Molte volte si è attirata l’attenzione sul fatto che i cristiani in Turchia non avevano il diritto a costruire chiese.

Le modifiche effettuate grazie alla legge n.4928 – la sesta legge di armonizzazione europea – comprendono anche emendamenti della legge n.3194 del 3 maggio 1985 sulle costruzioni. Questi emendamenti possono/potrebbero avere delle ripercussioni dirette sulla possibilità di costruire chiese. Così, contrariamente a quanto avveniva fino ad allora, i piani regolatori possono prevedere non solo moschee, ma anche luoghi di preghiera, il che consente in linea di principio, parallelamente alla costruzione di moschee, anche la costruzione di luoghi di preghiera aleviti (cem ev), cristiani (chiese) ed ebraici (sinagoghe), precisando comunque che le autorità pubbliche dispongono di una grande libertà di giudizio.

Infatti, i luoghi di preghiera possono essere eretti solo previa autorizzazione dell’amministrazione civile, ma non è chiaro se il verbo «erigere» riguardi solo la costruzione di nuovi luoghi di preghiera o anche la riconversione in luoghi di preghiera di edifici e di parti di edifici già esistenti. E non è affatto chiaro chi sia abilitato a chiedere l’autorizzazione per l’erezione di luoghi di preghiera, dato che le Chiese cristiane e più in generale tutte le comunità religiose in Turchia, non hanno personalità giuridica, cioè non hanno alcuna esistenza giuridica e non possono quindi avanzare realmente una domanda di autorizzazione all’«erezione» di luoghi di preghiera. Questo problema è risolto solo in apparenza!

4 la formazione del clero

Il Centro di formazione del patriarcato armeno è chiuso dal 1970, quello del Patriarcato ecumenico dal 1971, Non si intravede ancora alcuna soluzione al problema!

5 Gli ecclesiastici stranieri

Eccetto la Chiesa cattolica romana e le comunità legate alle rappresentanze diplomatiche, nessuna Chiesa operante in Turchia ha diritto di impiegare personale ecclesiastico straniero. Data la crescente difficoltà delle Chiese di rinnovare il proprio personale, le comunità più piccole potrebbero ben presto non disporre più di ecclesiastici di origine turca.

In questo campo, la legge n.4817 del 6 marzo 2003 sui permessi di lavoro per gli stranieri e il decreto di applicazione della legge sui permessi di lavoro per gli stranieri del 29 agosto 2003, promulgato dal Ministero del lavoro, inducono in qualche modo a sperare. Ma queste prescrizioni non sono applicabili agli ecclesiastici stranieri. Non s’intravede ancora alcuna soluzione del problema!

6 Lo statuto giuridico delle comunità religiose

Ancora recentemente, l’informazione sulla situazione delle minoranze religiose, in particolare delle minoranze non musulmane, in Turchia offerta dagli osservatori stranieri, e soprattutto dalle stesse minoranze e dalle loro istituzioni, era spesso parziale. Il problema centrale delle comunità religiose – la mancanza di statuto giuridico – non è mai stato oggetto di dibattito.

In una lettera aperta comune, datata 23 settembre 2003, su La questione dei bisogni religiosi delle minoranze cristiane e non islamiche in Turchia, le grandi Chiese della Turchia hanno chiesto allo stato turco di riconoscere la personalità giuridica di tutte le Chiese e di tutti i patriarcati cristiani e di eliminare così tutti gli ostacoli giuridici che le penalizzano.

Il Ministero turco degli affari esteri ha risposto alle istanze dei pro-memoria della Segreteria di stato vaticana, datati 5 luglio e 21 settembre 2002, affermando che il riconoscimento di uno statuto giuridico di una «comunità» o di un «gruppo religioso» come quello dei credenti della Chiesa cattolica era inconciliabile con il principio dello stato laico sancito dalla Costituzione e, inoltre, che la Turchia non aveva alcun obbligo contrattuale  che prevedesse il riconoscimento di uno statuto giuridico nei riguardi della Chiesa cattolica o di qualsiasi altra «comunità». In compenso, finora nessuna istanza statale ha reagito alla lettera comune delle Chiese in data 23 settembre 2003. Non s’intravede ancora alcuna soluzione del problema!

Conclusione

Volendo rispondere, alla luce dei risultati di questo studio, alla domanda se la Turchia sia in cammino verso l’Europa sul piano della libertà religiosa, è molto difficile dare una risposta positiva. Si potrebbe avere quasi l’impressione che ad Ankara la libertà religiosa rivesta un’importanza secondaria per il soddisfacimento del criterio politico e che non riguardi quindi la decisione che prenderà il Consiglio europeo nel dicembre 2004 sull’apertura di negoziati di adesione con la Turchia. Ma alcune conversazioni con membri dell’attuale governo della Turchia e con funzionari del Partito degli islamici moderati (AKP) permettono di farsi un’altra immagine.

Recentemente, in occasione di un colloquio internazionale di esperti su «Turchia e Unione europea», uno dei vicepresidenti dell’AKP affermava con convinzione e insistenza , che si era pienamente consapevoli che occorreva fare certe cose prima dell’autunno 2004 per garantire una vera libertà religiosa in Turchia e realizzare in questo campo i criteri di Copenaghen sul piano giuridico e pratico. E aggiungeva che, se non si riusciva a realizzare le necessarie riforme, si doveva incolpare solo se stessi.

Questa posizione collima con l’immagine che osservatori di lunga data si sono fatti degli attuali sviluppi della Turchia. Mentre ancora nell’estate del 2003 una parte dei mezzi di informazione turchi dissertava sulle iniziative e sui comunicati del governo Erdogan si chiedeva se si trattasse di takkiye (10) «simulazione» o se si potesse credere al governo Erdogan, ora gli osservatori sono convinti che Erdogan e i suoi collaboratori prendano la cosa molto sul serio.

Se ciò è vero, ci si può comunque chiedere come mai si proceda così lentamente sulla questione della libertà religiosa. La risposta dei mezzi di informazione turchi e degli osservatori in loco è unanime: derin devlet, «lo stato profondo» (11). L’espressione rinvia a coloro che hanno governato il paese in passato  e cercano di continuare a governarlo contro il governo in carica: il Consiglio della sicurezza nazionale, considerato di destra, le cui competenze sono state nel frattempo ridotte, ma che continua ad essere molto potente in pratica; i servizi segreti (MIT); la burocrazia di tendenza kemalista e nazionalista.

Chi vincerà? I giochi non sono ancora fatti. Se «lo stato profondo», il vecchio regime, riuscirà a imporsi l’evoluzione democratica del paese, e quindi la libertà religiosa, finiranno nel dimenticatoio. Se riuscirà ad imporsi il governo Erdogan, la democrazia turca e la libertà di religione avranno una nuova opportunità grazie a un islamista «illuminato».

A questo punto, è poco probabile che la situazione si risolverà in un senso o nell’altro prima del Consiglio europeo del dicembre 2004. Ma a volte accadono miracoli, anche in politica, e la soluzione dei problemi fondamentali in materia di libertà religiosa  in Turchia ne sarebbe indubbiamente uno.

Ma questo è concepibile solo se non si propongono soluzioni per salvare la forma, che non resistono a un esame più approfondito, come sta facendo la burocrazia nazionale turca, ma si affrontano veramente i problemi fondamentali e si apre un vero dibattito sui principi costituzionali del «nazionalismo» e della «laicità».

Note

(1) «Decisione del Consiglio dell’8 marzo 2001 sui principi, le priorità, gli obiettivi intermedi e le condizioni del partenariato di adesione per la repubblica di Turchia» (2001/235(EG) in Journal officiel dels Communautés européennes, L 085 del 24.3.2001

(2) Ivi
(3) Pubblicata nel periodico ufficiale Resmi Gamete n.24841 del 9.8.2002
(4) Nella versione della legge di modifica 5404 del 31.5.1949
(5) http://www.tesev.org.tr/etkinlink/cemaat_02_sunum.doc(6
(6) Conosciuto sotto il nome di «1936 Beyannamesi».
(7) Cfr www.turkishdailynews.com/old_editions/02-10-01/featureshtm
(8) Pubblicata nel periodico ufficiale Resmi Gazete n.24841 del 9.8.2002
(9)
Pubblicata nel periodico ufficiale Resmi Gamete n.24841 del 9.8.2002
(10) Il potere conferito dall’Islam a un fedele di poter rinnegare la propria religione  qualora vi sia costretto.
(11) Cfr su tale questione per esempio «Derin devlet’in planlary» (I progetti dello stato profondo), in Radikal, 28.8.2003;