C’è una pillola killer che non viene spiegata
di Eugenia Roccella
Sono in maggioranza italiane, e più istruite delle media, le donne che scelgono la Ru486.Lo sottolinea con soddisfazione l’assessorato alla Sanità dell’Emilia Romagna, presentando la relazione annuale sull’aborto. Come a dire: chi sceglie la pillola abortiva non è una poveretta qualsiasi, magari straniera, magari munita di una semplice licenza elementare, ma una persona informata, che vuole per sé il meglio che c’è sul mercato.
Bisognerebbe però aggiungere che questa convinzione è frutto di una intensa e spregiudicata campagna propagandistica a favore dell’aborto chimico. Sul «Corriere» e su «Repubblica» nessuno ha mai raccontato di Holly Patterson, la diciottenne californiana uccisa dalla ‘kill pill’ (è da allora che negli Usa la pillola viene definita così), né della straordinaria e tenace battaglia condotta del padre, che ha permesso la scoperta di altre morti, e ha squarciato il velo di silenzio sull’orrore dell’aborto con la Ru486.
Nessuna trasmissione televisiva ha spiegato che l’aborto chimico è una procedura che richiede almeno 15 giorni, il cui esito è incerto fino alla fine, che avviene in solitudine, tra nausee e crampi dolorosi (è, in sostanza, un piccolo parto), che costringe la donna a controllare continuamente il flusso emorragico e quindi a vedere, nella maggioranza dei casi, l’embrione abortito.
Chi crede che la Ru486 sia un metodo sicuro e indolore dovrebbe leggere la stampa straniera: scoprirebbe così che il «New York Times» ha ampiamente informato sulle morti e gli eventi avversi provocati dal farmaco, mentre l’inglese «Times», solo 15 giorni fa, ha pubblicato un articolo dal titolo significativo: «La brutale verità sull’aborto chimico», in cui ha definito la Ru486 «horror-pill».
Il motivo di tante censure e bugie, qui da noi, è chiarissimo: l’obiettivo non è offrire alle donne una scelta in più, come molti sostengono. Se così fosse, dovremmo vedere schiere di assessori, governatori regionali, parlamentari che si battono strenuamente per il parto naturale e la difesa della maternità, con lo stesso accanimento e le stesse dichiarazioni infuocate spese per promuovere la pillola abortiva.
Introdurre in Italia la Ru486 – l’abbiamo detto e ripetuto – serve in realtà a taluni come strumento per smontare la legge 194 sull’interruzione di gravidanza, seguendo il percorso che è già stato sperimentato con successo in Francia. Abolire le garanzie offerte dall’assistenza sanitaria pubblica, riportare l’aborto tra le mura domestiche, in una forma legale di clandestinità, lavarsene finalmente le mani, evitando qualunque intervento di prevenzione: è questo che davvero si vuole.
Una volta diffusa l’abitudine all’aborto fai-da-te si potrà modificare la legge, come hanno fatto i francesi, e come forse faranno gli inglesi. Del resto, perché il sistema sanitario pubblico dovrebbe occuparsi delle donne che abortiscono? Perché lo Stato dovrebbe impegnare risorse per aiutare le donne che il figlio vorrebbero tenerlo, ma hanno bisogno di un minimo di sostegno economico e morale?
La Exelgyn, che produce la Ru486, ha comunicato che a novembre chiederà la registrazione del prodotto in Italia.
Ci auguriamo che il compito dell’Aifa, l’ente di controllo dei farmaci, non si limiti a un burocratico passaggio di carte, ma a un vero esame della documentazione scientifica e dei dati offerti dall’azienda. Ma soprattutto ci auguriamo che il ministro della Salute Livia Turco voglia applicare integralmente, come ha sempre affermato, la 194 e le garanzie che essa pure contiene, evitando ulteriori distorsioni e peggioramenti.
La Ru486 annichilisce infatti ogni forma di prevenzione. Dopo tante accuse ai cattolici, adesso si vedrà con chiarezza chi davvero attacca la 194, infischiandosene della salute delle donne.