Marco Invernizzi
Care amiche, cari amiciQuesta più che una lettera è una supplica a leggere per intero l’intervista che papa Francesco ha rilasciato alla rivista della “sua” Compagnia di Gesù, La Civiltà Cattolica, “sua” perché interamente scritta da gesuiti come lui, ma anche perché si tratta della rivista nata nel 1850 per difendere le ragioni del Pontificato in un’epoca estremamente difficile, e le cui bozze, si sa, vengono lette in Vaticano prima di essere pubblicate.
I giornalisti e soprattutto coloro che scrivono i titoli dei giornali e dei TG stanno scrivendo che il Papa avrebbe capovolto l’insegnamento della Chiesa, avrebbe aperto ai gay, avrebbe detto di non parlare più delle nozze gay e dell’aborto. Ne esce l’immagine devastante di una Chiesa divisa fra due pontificati, quelli di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, che hanno cercato di affermare la centralità dei princìpi non negoziabili come base di un dialogo con gli uomini contemporanei proprio perché princìpi di diritto naturale comprensibili alla ragione umana, e invece un nuovo pontificato che gli stessi princìpi avrebbe messo in soffitta.
Invece il Papa Francesco fa un’altra cosa, molto più complessa, per capire la quale però bisognerebbe leggere tutta l’intervista. Il Pontefice ha chiaramente in mente una Chiesa anzitutto e soprattutto missionaria, capace di andare a parlare a tutti e soprattutto a coloro che vivono nelle “periferie dell’esistenza”, cioè coloro che non conoscono la fede o l’hanno rifiutata.
Per spiegare questo, nell’intervista riprende dal patrimonio del fondatore del suo ordine, sant’Ignazio di Loyola (1491-1556), una delle idee centrali degli Esercizi ignaziani, quella di “discernimento degli spiriti”. E attraverso il discernimento della situazione attuale della Chiesa, che vive in questo mondo storico nel quale deve essere missionaria, papa Francesco invita i cattolici a non pensare al passato o al futuro ma a concentrare la loro attenzione sul presente, dove incontrano le persone che hanno bisogno di Cristo.
E, sempre grazie al discernimento, il Papa ricorda come la prospettiva missionaria si debba concentrare sull’essenziale, cioè anzitutto sull’annuncio che Cristo vuole la salvezza di ogni uomo e la Chiesa persegue questo obiettivo prima di ogni altro. Poi viene la dottrina, per la quale rimanda al Catechismo.
Questo non significa rinunciare ai princìpi non negoziabili, ma riconoscere che oggi, nel mondo occidentale, se non si riesce ad annunciare la salvezza agli uomini disperati della nostra epoca, difficilmente sarà possibile che questi stessi uomini accettino di rispettare la sacralità della vita, la santità nel matrimonio e la centralità della famiglia.
Poi Francesco parla di molte altre cose, dalla Compagnia di Gesù al Vaticano II, dalla liturgia alla letteratura, affrontando temi di grande importanza accanto a ricordi personali e anche a sue preferenze e opinioni.
L’intervista è molto lunga e per favorirne la lettura ne ho ritagliati alcuni punti, ai quali ho fatto precedere dei titoli o brevi sommari. Le parole del Papa sono in corsivo.
L’ideale sarebbe leggerla integralmente, ma ognuno farà come può.
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Bisogna curare le ferite delle persone che incontriamo se vogliamo la loro conversione. E per fare questo bisogna stare loro vicini, accompagnandole nella vita, senza giudicare i loro atti, ma aspettando che siano loro stessi a capire se, quando e dove sbagliano.
«Io vedo con chiarezza che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite… E bisogna cominciare dal basso».
La Misericordia e la Confessione
«La Chiesa a volte si è fatta rinchiudere in piccole cose, in piccoli precetti. La cosa più importante è invece il primo annuncio: “Gesù Cristo ti ha salvato!”. E i ministri della Chiesa devono innanzitutto essere ministri di misericordia. Il confessore, ad esempio, corre sempre il pericolo di essere o troppo rigorista o troppo lasso. Nessuno dei due è misericordioso, perché nessuno dei due si fa veramente carico della persona. Il rigorista se ne lava le mani perché lo rimette al comandamento. Il lasso se ne lava le mani dicendo semplicemente “questo non è peccato” o cose simili. Le persone vanno accompagnate, le ferite vanno curate».
Non basta essere accoglienti, i cattolici devono “cercare” chi è lontano dalla fede.
«Invece di essere solo una Chiesa che accoglie e che riceve tenendo le porte aperte, cerchiamo pure di essere una Chiesa che trova nuove strade, che è capace di uscire da se stessa e andare verso chi non la frequenta, chi se n’è andato o è indifferente. Chi se n’è andato, a volte lo ha fatto per ragioni che, se ben comprese e valutate, possono portare a un ritorno. Ma ci vuole audacia, coraggio».
Dobbiamo amare ogni uomo perché è una persona, non perché è omosessuale o eterosessuale. Dio non cessa di amare chi si allontana da Lui, ovunque vada e qualunque cosa faccia
«Dobbiamo annunciare il Vangelo su ogni strada, predicando la buona notizia del Regno e curando, anche con la nostra predicazione, ogni tipo di malattia e di ferita. A Buenos Aires ricevevo lettere di persone omosessuali, che sono “feriti sociali” perché mi dicono che sentono come la Chiesa li abbia sempre condannati. Ma la Chiesa non vuole fare questo. Durante il volo di ritorno da Rio de Janeiro ho detto che, se una persona omosessuale è di buona volontà ed è in cerca di Dio, io non sono nessuno per giudicarla. Dicendo questo io ho detto quel che dice il Catechismo.
La religione ha il diritto di esprimere la propria opinione a servizio della gente, ma Dio nella creazione ci ha resi liberi: l’ingerenza spirituale nella vita personale non è possibile. Una volta una persona, in maniera provocatoria, mi chiese se approvavo l’omosessualità. Io allora le risposi con un’altra domanda: “Dimmi: Dio, quando guarda a una persona omosessuale, ne approva l’esistenza con affetto o la respinge condannandola?”. Bisogna sempre considerare la persona. Qui entriamo nel mistero dell’uomo. Nella vita Dio accompagna le persone, e noi dobbiamo accompagnarle a partire dalla loro condizione. Bisogna accompagnare con misericordia. Quando questo accade, lo Spirito Santo ispira il sacerdote a dire la cosa più giusta».
Questa è la frase più strumentalizzata. Come potete leggere, si tratta invece di una modalità “classica” di fare apostolato: il Papa invita a parlare dei temi morali in un contesto, cioè dentro un discorso culturale più ampio, perché altrimenti quasi nessuno potrebbe capire
«Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Questo non è possibile. Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto. Il parere della Chiesa, del resto, lo si conosce,e io sono figlio della Chiesa, ma non è necessario parlarne in continuazione».
«Questa è anche la grandezza della Confessione: il fatto di valutare caso per caso, e di poter discernere qual è la cosa migliore da fare per una persona che cerca Dio e la sua grazia. Il confessionale non è una sala di tortura, ma il luogo della misericordia nel quale il Signore ci stimola a fare meglio che possiamo.
Ancora il Papa invita, nell’apostolato, a mettere la proposta evangelica in primo piano.
«Gli insegnamenti, tanto dogmatici quanto morali, non sono tutti equivalenti. Una pastorale missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza. L’annuncio di tipo missionario si concentra sull’essenziale, sul necessario, che è anche ciò che appassiona e attira di più, ciò che fa ardere il cuore, come ai discepoli di Emmaus. Dobbiamo quindi trovare un nuovo equilibrio, altrimenti anche l’edificio morale della Chiesa rischia di cadere come un castello di carte, di perdere la freschezza e il profumo del Vangelo. La proposta evangelica deve essere più semplice, profonda, irradiante. È da questa proposta che poi vengono le conseguenze morali».
L’importanza del ruolo della donna nella vita della Chiesa
«Il genio femminile è necessario nei luoghi in cui si prendono le decisioni importanti. La sfida oggi è proprio questa: riflettere sul posto specifico della donna anche proprio lì dove si esercita l’autorità nei vari ambiti della Chiesa».
Significato e valore del Concilio ecumenico Vaticano II
«Il Vaticano II è stato una rilettura del Vangelo alla luce della cultura contemporanea. Ha prodotto un movimento di rinnovamento che semplicemente viene dallo stesso Vangelo. I frutti sono enormi. Basta ricordare la liturgia. Il lavoro della riforma liturgica è stato un servizio al popolo come rilettura del Vangelo a partire da una situazione storica concreta. Sì, ci sono linee di ermeneutica di continuità e di discontinuità, tuttavia una cosa è chiara: la dinamica di lettura del Vangelo attualizzata nell’oggi che è stata propria del Concilio è assolutamente irreversibile. Poi ci sono questioni particolari come la liturgia secondo il Vetus Ordo. Penso che la scelta di Papa Benedetto sia stata prudenziale, legata all’aiuto ad alcune persone che hanno questa particolare sensibilità. Considero invece preoccupante il rischio di ideologizzazione del Vetus Ordo, la sua strumentalizzazione».
Oggi, dobbiamo essere missionari
«C’è infatti la tentazione di cercare Dio nel passato o nei futuribili. Dio è certamente nel passato, perché è nelle impronte che ha lasciato. Ed è anche nel futuro come promessa. Ma il Dio “concreto”, diciamo così, è oggi. Per questo le lamentele mai ci aiutano a trovare Dio. Le lamentele di oggi su come va il mondo “barbaro” finiscono a volte per far nascere dentro la Chiesa desideri di ordine inteso come pura conservazione, difesa. No: Dio va incontrato nell’oggi»
Bisogna temere quelli che hanno una risposta per ogni cosa e la presentano come la soluzione per tutti i problemi.
«Sì, in questo cercare e trovare Dio in tutte le cose resta sempre una zona di incertezza. Deve esserci. Se una persona dice che ha incontrato Dio con certezza totale e non è sfiorata da un margine di incertezza, allora non va bene. Per me questa è una chiave importante. Se uno ha le risposte a tutte le domande, ecco che questa è la prova che Dio non è con lui. Vuol dire che è un falso profeta, che usa la religione per se stesso. Le grandi guide del popolo di Dio, come Mosè, hanno sempre lasciato spazio al dubbio. L’atteggiamento corretto è quello agostiniano: cercare Dio per trovarlo, e trovarlo per cercarlo sempre. E spesso si cerca a tentoni, come si legge nella Bibbia. È questa l’esperienza dei grandi Padri della fede, che sono il nostro modello».
La fede non è un’ideologia. Il ruolo della tradizione. La costante presenza di Dio nella vita di ogni uomo.
«Se il cristiano è restaurazionista, legalista, se vuole tutto chiaro e sicuro, allora non trova niente. La tradizione e la memoria del passato devono aiutarci ad avere il coraggio di aprire nuovi spazi a Dio. Chi oggi cerca sempre soluzioni disciplinari, chi tende in maniera esagerata alla “sicurezza” dottrinale, chi cerca ostinatamente di recuperare il passato perduto, ha una visione statica e involutiva. E in questo modo la fede diventa una ideologia tra le tante. Io ho una certezza dogmatica: Dio è nella vita di ogni persona, Dio è nella vita di ciascuno. Anche se la vita di una persona è stata un disastro, se è distrutta dai vizi, dalla droga o da qualunque altra cosa, Dio è nella sua vita».
Cresce la comprensione della verità e cambiano le sue modalità di espressione.
«San Vincenzo di Lerins fa il paragone tra lo sviluppo biologico dell’uomo e la trasmissione da un’epoca all’altra del depositum fidei, che cresce e si consolida con il passar del tempo. Ecco, la comprensione dell’uomo muta col tempo, e così anche la coscienza dell’uomo si approfondisce. Pensiamo a quando la schiavitù era ammessa o la pena di morte era ammessa senza alcun problema. Dunque si cresce nella comprensione della verità. Gli esegeti e i teologi aiutano la Chiesa a maturare il proprio giudizio. Anche le altre scienze e la loro evoluzione aiutano la Chiesa in questa crescita nella comprensione. Ci sono norme e precetti ecclesiali secondari che una volta erano efficaci, ma che adesso hanno perso di valore o significato. La visione della dottrina della Chiesa come un monolite da difendere senza sfumature è errata».
«Anche le forme di espressione della verità possono essere multiformi, e questo anzi è necessario per la trasmissione del messaggio evangelico nel suo significato immutabile».