Il Timone n.160 Febbraio 2017
Le conferenze di Hegel e molti aforismi di Nietzsche hanno influito su Hitler. Così come l’epopea di Napoleone, sdoganatore di tutti i superuomini
di Francesco Agnoli
Secondo lo storico del nazismo W. Shirer, per quanto riguarda i riferimenti culturali di Hitler, è certo che «le famose conferenze di Hegel [autore che Hitler conosceva indirettamente, attraverso suoi primi maestri; per es. Rosenberg] pronunciate all’Università di Berlino avevano attratto la sua [di Hitler] attenzione, proprio come molti aforismi di Nietzsche.
Abbiamo già accennato alla teoria hegeliana degli “eroi” e alla grande influenza che essa aveva esercitato sullo spirito tedesco. In una delle conferenze da lui [Hegel] tenute a Berlino egli spiega come la “volontà dello spirito universale” possa realizzarsi grazie a “individui di incomparabile grandezza nella storia del mondo”» (W. L. Shirer, Storia del Terzo Reich, Einaudi 1974, vol. I, p. 122). Tra questi individui Hegel cita Alessandro Magno, Cesare e Napoleone, uomini in possesso della verità vera, di quella valida per la loro epoca», «veri veggenti» al di sopra di tutti, «individui cosmico-storici» cui «tutti debbono obbedire»
Napoleone messia di se stesso
Hegel vede per la prima volta Napoleone a Jena, nel 1806, e lo descrive così: «L’imperatore – quest’anima del mondo – l’ho visto uscire a cavallo dalla città […] è davvero una sensazione singolare vedere un tale individuo che qui, concentrato in un punto, spazia sul mondo e lo domina». Siamo all’inizio dell’Ottocento e già la negazione più o meno esplicita di un Dio trascendente (cioè distinto dal mondo e dall’uomo), Creatore e Giudice, genera la tesi della manifestazione nel mondo dell’Assoluto divino, specialmente in alcuni esseri umani “superiori”.
L’uomo, almeno quello di grande successo storico, è il nuovo dio. Mentre Hegel scrive, Napoleone è, tra i candidati alla divinizzazione, il più “credibile”: si tratta di un uomo che si è fatto da sé, sparando senza scrupoli sulla folla nel 1795, invadendo e saccheggiando paesi liberi, senza altro motivo che la rapina; che si è incoronato da solo, davanti ad uno dei due pontefici da lui fatti prigionieri e ridotti, nel loro essere rappresentanti dì Dio, a spettatori di un potere autarchico e dittatoriale… Insomma, un uomo che agisce in tutto e per tutto come fosse Dio.
Così, dopo che nel mondo antico i grandi uomini erano stati gli eroi che vivevano e morivano per la loro patria, dopo che nel mondo ristiano gli eroi umili erano stati i santi, esseri umani giganti dell’amore e del sacrificio, è l’ora dei rivoluzionari; gli uomini che devono dare da sé un senso alla propria esistenza, che vogliono diventare messia di se stessi. Saranno, nel tempo, generali senza scrupoli, filosofi che vogliono rovesciare la realtà, esteti e dandy, star della politica o del cinema, scienziati stregoni che si fanno padroni della natura e dell’uomo…
Napoleone è l’archetipo, lo sdoganatore di tutti questi superuomini.
Un grande romanziere italiano, Alessandro Manzoni, vorrà dare credito, dopo la morte di Napoleone nel 1821, alla sua conversione, e lo descriverà come un semidio che si è posto «sull’altare», e che, nella sconfitta e «nella polvere», si è riconosciuto fragile e mortale, e sì è chinato, finalmente, davanti al Dio che «atterra e suscita, che affanna e che consola».
Un altro romanziere, Dostoevskij, che come tutti i russi ricorda le centinaia di migliaia di morti della folle campagna in Russia, farà di Napoleone il modello di chi (come Raskolnikov in Delitto e castigo), vuole imparare anche ad uccidere, per affermare Sé al posto di Dio («se Dio non esiste, tutto è permesso»).
L’ammirazione nietzscheana per Napoleone
Il 10 marzo 1889 (pochi anni dopo la morte di Dostoevskij), a Jena, la città in cui Hegel ha visto Napoleone a cavallo il giorno prima della sua vittoria sui prussiani, il prussiano Nietzsche è ricoverato in manicomio. «Molto affamato», scrivono i medici, «dice di essere a volte il duca di Cumberland, a volte l’imperatore».
Nulla di strano, in questa smania di grandezza: per tutta la vita il filosofo ha rifiutato i suoi limiti, i suoi insuccessi, la sua creaturalità, e ha sperato di diventare famoso, milionario, acclamato; arrivando a presentare il suo Zarathustra come «il libro di tutti i millenni», in cui «è rinchiuso il destino dell’umanità».
Tutta la vita ha giocato a fare il Napoleone della penna, uccidendo con essa non eserciti di nemici, ma, consapevolmente ed esplicitamente, molto di più: nientemeno che Dio, esistendo il quale, non può nascere il superuomo. Nietzsche, come si è ricordato, è un prussiano, figlio di un pastore luterano: nella sua terra Martin Lutero ha trovato, secoli prima, un principe pronto allo scisma, pur di rafforzare il suo potere, ai danni della Chiesa; sempre in Prussia, l’assolutismo del feroce Federico Guglielmo I ha ingrandito l’esercito prussiano, da 30 mila a 80 mila uomini, mentre suo figlio, Federico il Grande, ha condotto una aggressiva politica di guerre espansioniste e ha accolto alla sua corte Voltaire, a cui Nietzsche dedicherà una delle sue opere, ammirandone la blasfemia la miscredenza.
Qui, in Prussia, Adolf Hitler otterrà una valanga di voti, oltre il 55%, ‘ nelle decisive elezioni del 1933 (dove arriverà, in totale, al 43%). Ebbene, anche in Nietzsche, che da giovane aveva sperato dì sfondare nella carriera militare, arruolandosi come volontario nel 1867, vi è l’elogio hegeliano di Cesare e, soprattutto, di Napoleone.
Nei frammenti intitolati Volontà di potenza, Nietzsche, al punto 34, scrive: «Manca la specie superiore, cioè quella cui inesauribile fecondità e potenza tiene viva la fede dell’uomo (Si pensi quel che si deve a Napoleone: quasi tutte le speranze più alte di questo secolo)» (G. Brianese, a cura di, La Volontà di potenza di Nietzsche e il problema filosofico del superuomo, Paravia 1992, p. 63).
Ne La gaia scienza, al punto 362, Nietzsche scrive: «Si deve a Napoleone (e niente affatto alla Rivoluzione francese, che ha avuto di mira la fraternità tra i popoli, nonché universali, fioriti scambi di universali, fioriti scambi di sentimenti) il fatto che ora possono succedersi un paio di secoli bellicosi di cui non esiste l’uguale nella storia, insomma il nostro avvenuto ingresso nell’età classica della guerra, della guerra dotta e al tempo stesso polare nella più vasta scala (di mezzi, di attitudini, di disciplina), verso la quale tutti i secoli venturi i volgeranno a guardare invidiosi e veneranti, quasi fosse un frammento di perfezione […]. A costui dunque si potrà attribuire un giorno il fatto che in Europa l’uomo è divenuto ancora una volta signore del mercante e del filisteo; forse perfino della donna, che è stata blandita dal cristianesimo, dallo spirito stravagante del secolo XVIII e ancor più dalle idee moderne».
Per Nietzsche promotore non soltanto di una idea di superuomo mitica, ma anche di un superomismo politico, assai concreto, Napoleone è: «l’evento supremo dell’ultimo millennio»; «il primo e il più eminente uomo dell’epoca moderna»; la storia del suo operato è «la storia della felicità suprema che questo secolo ha prodotto con i suoi più valenti uomini e momenti»; è «uomo singolarissimo», «incarnazione dell’ideale aristocratico in sé», «sintesi di disumano e superumano».
La personalità di Napoleone, scrive ancora Nietzsche in Umano troppo umano (§164), «crebbe certo proprio grazie alla sua fede in se stesso e nella sua stella e al disprezzo degli uomini da essa derivante, fino alla possente unità che lo innalza al di sopra di tutti gli uomini moderni». Così il filosofo tedesco, che ha letto e apprezzato Dostoevskij, giunge a considerazioni opposte a quelle del romanziere russo, per il quale il male di Napoleone stava proprio là dove,-per Nietzsche, era il pregio: l’aver creduto a tal punto in se stesso, nella sua essenza di “Signore”, da trascinare l’Europa in 20 anni di guerra, scatenando dovunque il ricorso alla leva militare obbligatoria e quindi alla nascita degli immensi eserciti di massa contemporanei senza i quali non sarebbero comprensibili né il crescere veemente dei nazionalismi nell’età post napoleonica né le guerre mondiali).
Infine il Führer
Quanto a Hitler, si proclamerà discepolo di Nietzsche (dell’influsso nietzscheano sul nazismo ho già parlato in F. Agnoli, Nietzsche e il nazismo: un approdo obbligato, «il Timone», 153 [2016], pp. 44-46) e si considererà un novello Napoleone, capace però, a differenza del generale corso, di unificare l’Europa e di sconfiggere la Russia. Ma ammirerà ancor più Federico il Grande, «l’uomo più eminente del XVIII secolo», come scrive nei Discorsi a tavola.
Singolare, per l’uomo di fede, un fatto: che Napoleone, che si comportò come fosse dio, senza mai arrivare a teorizzarlo completamente, ebbe forse in dote la possibilità di sperimentare la sconfitta e la conversione.
Più difficile immaginare alcun mutamento interiore in Nietzsche, diventato folle e autore di alcuni tentati suicidi, e di Hitler, sconfitto e, nel contempo, suicida nel 1945
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Per saperne di più:
Losurdo Nietzsche, il ribelle aristocratico Biografia intellettuale e bilancio critico. Bollati Boringhierì 2002.
W.L. Shirer Storia del Terzo Reich tr. it Einaudi 1974, vol. I, pp. 108-125