La Croce 15 novembre 2017
L’auto-organizzazione sociale dei corpi intermedi dovrebbe essere la prima e fondamentale preoccupazione degli Stati contemporanei. E invece continuano e, anzi, crescono anche nel XXI secolo i tentativi di “centralismo” sia a livello degli Stati sia degli organismi sovranazionali (su tutti l’Ue) o territoriali (v. su tutti le Regioni). Ecco la sintesi dell’intervento nella trasmissione su Radio Mater dedicata a “Sussidiarietà e Dottrina sociale della Chiesa”
di Giuseppe Brienza
Tra i dieci concetti basilari che possono essere individuati alla base di tutta la riflessione della Dottrina sociale della Chiesa il principio della sussidiarietà ha una diretta relazione con la dignità umana nella quale, come insegna il Compendio DSC, «ogni altro principio e contenuto della Dottrina sociale trova fondamento» (n. 160). Aggiunge infatti questo fondamentale documento magisteriale promulgato nel 2004 da Papa Giovanni Paolo II: «una società giusta può essere realizzata soltanto nel rispetto della dignità trascendente della persona umana» (Compendio DSC, n. 132).
Cosa richiede il principio di sussidiarietà?
Anche la difesa e la promozione degli altri nove “concetti basilari” della Dottrina sociale cattolica, che sono la persona, la società, la libertà, la coscienza, l’etica, il diritto (o la giustizia), il bene comune, la solidarietà e lo Stato richiedono che le società di ordine superiore non si arroghino i compiti spettanti a quelle “di ordine inferiore” o, meglio, “di base”.
Ma è nello specifico il principio di sussidiarietà che tutela direttamente i corpi intermedi meno grandi, ad es. un Comune, una comunità scolastica o professionale e, soprattutto, la famiglia, dai tentativi degli Stati, delle Organizzazioni internazionali o delle Corporations di privarle delle loro competenze e diritti originari, “sussidiandole” appunto in caso di necessità. L’intervento dell’entità di livello superiore, in tutti i casi, dovrebbe essere però temporaneo e teso a restituire l’autonomia d’azione delle entità di livello inferiore.
La sussidiarietà in senso positivo e in senso negativo
Alla sussidiarietà intesa “in senso positivo”, come aiuto economico, istituzionale, legislativo etc. offerto alle entità sociali più piccole, corrisponde una serie di implicazioni “in senso negativo”, che impongono allo Stato, alle Organizzazioni internazionali etc. di astenersi da quanto restringerebbe, di fatto, lo spazio vitale delle cellule minori ed essenziali della “società civile”.
L’iniziativa, libertà e responsabilità di queste ultime, infatti, non dovrebbero mai essere soppiantate, magari con la scusa di prebende, sussidi o concessioni analoghe, pena la riproposizione in veste diversa dell’homo sovieticus, grigio e passivo, il quale non prende mai iniziative, non intraprende né innova ma esegue solo gli ordini dello Stato, del Partito, del Comitato centrale etc.
Testimonia a tal proposito il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa: «l’esperienza attesta che la negazione della sussidiarietà, o la sua limitazione in nome di una pretesa democratizzazione o uguaglianza di tutti nella società, limita e talvolta anche annulla lo spirito di libertà e di iniziativa» (n. 187).
Il principio di sussidiarietà può anche essere visto, dal punto di vista giuridico-istituzionale, “in senso verticale”, prevedendo che la ripartizione gerarchica delle competenze amministrative sia spostato il più possibile verso gli enti più vicini al cittadino e, quindi, più vicini ai bisogni del territorio.
Questo discorso, non di rado, ha subito però degenerazioni e strumentalizzazioni, inducendo a “centralismi” di grado inferiore a quello statale, ma che sempre centralismi sono! Il principio di sussidiarietà può essere infatti facilmente frainteso o, peggio, manipolato ideologicamente, al fine di imporre finalità di livellamento sociale e, quindi, asservimento, delle persone, delle famiglie e delle comunità allo Stato oppure ad entità sovranazionali con ambizioni totalitaria.
Se le competenze pubbliche sono spostate “in senso orizzontale”, vale a dire appannaggio del cittadino, sia come singolo sia nell’ambito delle formazioni sociali nelle quali «si svolge la sua personalità», come dice la Costituzione Italiana (art. 2), si rende possibile quella cooperazione indispensabile alle istituzioni per incidere concretamente sulle realtà sociali, economiche, territoriali. Questo però a condizione che le famiglie ed i cittadini siano “attivi” e cerchino di collaborare e associarsi innanzitutto fra di loro.
I significati del concetto di sussidiarietà “in senso negativo” e “in senso orizzontale” non sono accettati da tutte le forze politiche. Ancora oggi, a un secolo dalla Rivoluzione bolscevica, per alcuni “post-comunisti” l’auto-organizzazione sociale non sarebbe altro che «sostituzione dei privati al pubblico», oppure «tentativo di privatizzare i servizi pubblici», rivendicando, ad esempio, che «il Comune deve mantenere la gestione diretta nella maggior parte dei servizi» (questo tornando al tema dei “centralismi minori”…).
E’ significativo che quest’ultima citazione provenga dal capogruppo di un partito di sinistra che tutto opera nell’ambito di un Consiglio regionale italiano che, ironia della sorte, è stato rinviato a giudizio per “spese pazze” messe a rimborso dell’istituzione ma che sono state ad esclusivo beneficio suo e del suo gruppo politico!
Il principio di sussidiarietà è stato sancito anche in sede europeista con il trattato di Maastricht (1992). Applicato al quadro dell’Unione europea, esso funge in teoria da criterio regolatore per l’esercizio delle competenze non esclusive dell’Unione ma, in pratica, è stato strumentalizzato per erodere progressivamente ulteriori pezzi di sovranità appannaggio tradizionalmente degli Stati nazionali.
Dando per scontato che l’Ue sia un “super-Stato” (mentre invece è una organizzazione internazionale, sebbene di carattere evoluto e “speciale”), il principio di sussidiarietà è stato distorto a livello europeo, valendo a escludere l’intervento di Bruxelles quando una questione può essere regolata in modo efficace dagli Stati membri a livello centrale, regionale o locale ma, allo stesso tempo, legittimando l’Unione a esercitare i suoi poteri quando gli Stati membri non sono in grado di raggiungere gli obiettivi di un’azione prevista «in misura soddisfacente».
Quando fu formulato il principio di sussidiarietà?
La sussidiarietà ha sempre ispirato l’insegnamento sociale della Chiesa ma, nell’enciclica Quadragesimo anno (1931) Papa Pio XI, ribadendo il principio che il salario deve essere proporzionato alle necessità del lavoratore e anche a quelle della sua famiglia, lo ha rivendicato nei rapporti dello Stato, allora tendente all’autoritarismo o al totalitarismo, con la società e con il settore economico-privato. D’allora il principio di sussidiarietà è divenuto un elemento permanente e centrale della DSC, che pone ai laici e agli uomini di buona volontà l’obiettivo di un ordine sociale basato sulla giustizia e sull’etica delle responsabilità.
Come si configura il corretto rapporto tra la persona e la società?
Principio, soggetto e fine di tutte le istituzioni sociali, come detto all’inizio, è o, almeno, dovrebbe essere, la persona umana. Alcune società, quali la famiglia e la comunità locale, sono ad essa necessarie come buon senso e diritto naturale impongono. Sono utili (ma non indispensabili) anche altre associazioni, tanto all’interno delle comunità politiche (ad es. le Regioni) quanto sul piano internazionale (ad es. le grandi organizzazioni come l’Onu o l’Ue), nel rispetto del principio di sussidiarietà.
Nell’ambito della Costituzione Italiana la sussidiarietà è stata introdotta solo nel 2001, con la legge costituzionale n.3, la quale prevede che «Stato, Regioni, Province, Città Metropolitane e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio della sussidiarietà». Tale principio implica che le diverse istituzioni debbano creare le condizioni necessarie per permettere alla persona e alle aggregazioni sociali di agire liberamente nello svolgimento della loro attività.
Ma è stato realizzato questo fino ad ora? Con una pressione fiscale “sovietica” come quella italiana, ad esempio, come può immaginarsi la piena sussidiarietà in campo economico e imprenditoriale?
I doveri della società politica nei confronti della famiglia
La società politica (Stato, Enti locali, organizzazioni sovranazionali etc.) avrebbero il dovere di sostenere e consolidare, nel pieno rispetto del principio di sussidiarietà, anche il matrimonio e la famiglia. I pubblici poteri, infatti, in applicazione della nostra Costituzione (artt. 29-31), dovrebbero rispettare, proteggere e favorire la vera natura del matrimonio e della comunità familiare, la morale pubblica, i diritti dei genitori e la prosperità domestica.
Come va esercitata l’autorità nei vari ambiti della società civile?
L’autorità nei vari ambiti della società civile andrebbe sempre esercitata come un servizio, rispettando i diritti e i doveri fondamentali dell’uomo, una giusta gerarchia dei valori, le leggi, la giustizia distributiva e il principio di sussidiarietà. Ognuno, nell’esercizio dell’autorità, dovrebbe pertanto ricercare l’interesse della comunità anziché il proprio, ispirando le sue decisioni alla verità su Dio, sulla natura umana e sul mondo.
Come si attua la giustizia e la solidarietà tra le nazioni?
A livello internazionale, tutte le nazioni e le istituzioni dovrebbero operare nella solidarietà e nella sussidiarietà, al fine di eliminare o almeno ridurre la miseria, la disuguaglianza delle risorse e dei mezzi economici, le ingiustizie economiche e sociali, lo sfruttamento delle persone, l’accumulo dei debiti dei paesi poveri, i meccanismi perversi che ostacolano lo sviluppo dei paesi meno progrediti.
È quanto Papa Francesco, da ultimo, ha ribadito con l’istituzione della «Giornata mondiale dei poveri» che, quest’anno, si celebrerà domenica prossima, 19 novembre. «Non si può restare inerti e tantomeno rassegnati» di fronte allo «scandalo» dell’«estendersi della povertà a grandi settori della società in tutto il mondo», ha denunciato infatti il Santo Padre nel messaggio per la prima giornata mondiale dei poveri, che è stato presentato il 13 giugno scorso nella Sala stampa della Santa Sede.
Questa attenzione privilegiata ai poveri, vale la pena sottolinearlo, non è una “novità di Bergoglio” ma, come sappiamo bene, ha rappresentato una costante nella storia cristiana ed ecclesiale. Semmai per Papa Francesco l’opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica o filosofica e, pertanto, se coniugata con una armonica organizzazione dello Stato e della società civile, renderebbe meno difficile l’esercizio singolo e associato della carità, della quale dà testimonianza tutta la tradizione dell’Occidente cristiano
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