Ogni anno, con l’autunno, assistiamo all’infinita discussione sulla manovra finanziaria, discussione che potrebbe sembrare poco abbia a che fare con l’etica. Così è probabilmente nella mente di molti legislatori, anche di partiti moderati. In altre parole, nell’uomo politico italiano medio, sembra manchi la cognizione del collegamento tra provvedimenti economici e una visione del mondo piuttosto che un’altra.
Su questi temi, Papa Giovanni Paolo II ricordava che: “Intervenendo direttamente e deresponsabilizzando la società, lo Stato assistenziale provoca la perdita di energie umane e l’aumento esagerato degli apparati pubblici, dominati da logiche burocratiche più che dalla preoccupazione di servire gli utenti, con enorme crescita delle spese” (Enciclica, Enciclica Centesimus annus, n. 48).
Infatti, lo Stato assistenziale dilata la spesa pubblica e, per sostenere questa, aumenta la pressione fiscale. Ma violando il principio di sussidiarietà finisce prima o poi con il praticare un’autentica persecuzione fiscale, oltrepassando i propri compiti naturali e comprimendo le libertà concrete delle famiglie.
Tuttavia la pressione fiscale non è solo finalizzata a sostenere l’abnorme spesa pubblica bensì, in particolare per le ideologie socialiste, è uno strumento subordinato ad un’ideologia e inteso ad annientare la proprietà privata. Lo ricordava già Papa Pio XII: “I bisogni finanziari di ogni nazione, grande o piccola, sono enormemente cresciuti. La colpa non va attribuita solamente alle complicazioni o tensioni internazionali; ma anche, e forse più ancora, all’estensione smisurata dell’attività dello Stato, attività che, dettata troppo spesso da ideologie false o malsane, fa della politica finanziaria, e in modo particolare della politica fiscale, uno strumento al servizio di preoccupazioni di un ordine assolutamente diverso” (Discorso ai partecipanti al Congresso dell’Istituto Internazionale di Finanze Pubbliche, 2-10-1948).
Così, i socialisti presentano artatamente la proprietà e la ricchezza come fossero un mero “dono di natura” che, pertanto, provocherebbe ingiuste disegueglianze. Questa tesi, chiave della propaganda di tale ideologia millenaria, è un grossolano errore. La realtà – e non solo la nostra esperienza personale – ci insegnano invece che perché l’uomo esca dallo stato indolente e selvaggio in cui il peccato l’ha gettato per raggiungere una condizione di benessere materiale, egli è dapprima obbligato a lavorare più di quanto il bisogno esiga. Questo però non basta; è poi necessaria la temperanza, cioè il freno imposto alla concupiscenza che pretende di usare e godere tutto e subito.
Il più importante documento magisteriale degli ultimi quaranta anni riconosce implicitamente questa verità quando insegna che: “La comunità politica ha il dovere di onorare la famiglia, di assisterla, e di assicurarle in particolare… il diritto alla proprietà privata” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n° 2211).
Un provvedimento fiscale in particolare è indicativo dell’intenzione di annientare la proprietà privata: ci riferiamo alla tassa di successione, cioè l’imposta che i figli sono costretti a pagare per entrare in possesso dei beni dei loro genitori.Come tutti sanno, su tali proprietà i genitori hanno già pagato gravose tasse al momento del loro acquisto e, nel corso di tutta la loro vita, altrettante e ingiuste tasse per mantenerli in loro possesso. Si tratta di imposte dirette (come ad es. la tassa di registro), ma anche indirette (come ad es. l’imposta di bollo su un conto corrente bancario). Diciamo che queste imposte sono ingiuste in quanto troppo numerose e pesanti, ma non solo.
Alla scuola di Mons. Delassus, ripercorriamo brevemente la dinamica che porta alla formazione della proprietà.L’uomo decaduto è naturalmente pigro, e la sua pigrizia lo rende tanto più ribelle al lavoro quanto più trova la natura ingrata ai suoi sforzi.
E’ la fame che lo fa uscire dalla sua inerzia: ma, appagata questa fame, se egli da’ ascolto alla sua natura, ricade nella sua indolenza. Se avesse ascoltato se stesso, l’uomo si troverebbe nell’indigenza dei primi giorni. Infatti, il primo capitale è stato creato da colui che facendo tacere la propria fame, ha messo in riserva una coppia di animali che la sua caccia gli procacciava, ne ha prodotto un gregge, e per mezzo di esso ha potuto ingrassare l’angolo di terra sul quale si trovava. A poco a poco, i roveti di cui il suolo era coperto, si sono trasformati ed hanno dato i frutti più saporiti; le greggi si sono accresciute, le specie domestiche si sono moltiplicate, la terra coltivata si è estesa… e così via, fino all’industriale contemporanea.
In questa prospettiva, la moltitudine di imposte sulla proprietà (e specialmente la tassa di successione) si rivelano ingiuste perché sono tasse sullo sforzo, sulla virtù della temperanza, sui sacrifici delle famiglie: sono un segno di lotta contro la massima: “Contine, abstine; impara a contenerti e ad astenerti”. In definitiva, contengono un implicito incoraggiamento al ritorno alla condizione dell’uomo decaduto, pigro e indolente; del vivere secondo la massima edonistica del “cogli, consuma, riposa e non pensare ad altri che a te stesso”.
Ma vi una prospettiva più profonda, che fa riferimento a Dio come Creatore della natura umana e dei beni della terra, necessari al sostentamento della famiglia.Mons. Delassus fa notare come i beni necessari alla vita umana non si possano ottenere se non per mezzo del lavoro; il lavoro non produca se non in proporzione del capitale posto a sua disposizione; il capitale non si sostinga se non per il vigore dello spirito; il vigore dello spirito derivi dalla virtù e la virtù dalla fede: sono cinque punti che non devono mai essere persi di vista da quanti si occupano del miglioramento dei destini del popolo.
In quest’ottica, la tassa di successione può essere considerata non solo una forma di attacco alla famiglia, allo spirito di sacrificio e alla virtù della temperanza, ma forse anche un segno di odio al Dio della fede, al Creatore della natura umana.