“Il fumo di Satana è entrato nel Tempio di Dio”, disse drammaticamente Paolo VI. E anche Papa Ratzinger ci mette in guardia dagli Anticristi che sono fra noi, più insidiosi di certi attacchi calunniosi dei nemici esterni (come il romanzo di Dan Brown). Per esempio sulla Resurrezione…
Antonio Socci
L’altroieri monsignor Angelo Amato, segretario della Congregazione per la dottrina della fede, ha stroncato questo libro come una storiella fatta di “calunnie, offese ed errori che se fossero stati indirizzati al Corano o alla Shoah avrebbero provocato, giustamente, una sollevazione mondiale”, ma siccome sono “rivolti alla Chiesa e ai cristiani rimangono impuniti”.
Amato ha suggerito che almeno i cattolici evitino di finanziare l’autore di questo “romanzo pervicacemente anticristiano” e gli autori del film ad esso ispirato. Ha chiesto ai cattolici il “rifiuto della menzogna e della diffamazione gratuita”, in sostanza: “spero che tutti voi boicottiate quel film”.
E’ il minimo. Ma ieri il radicale Daniele Capezzone ha subito lanciato la sua fatwa da Radio Radicale tuonando: “oscurantismo”. Cosa dovrebbero fare i cattolici? Subire questa “diffamazione gratuita” e andare pure al cinema a finanziare gli ideatori di questa aggressione mediatica? Non mi risulta che i radicali facciano così quando si sentono bersagliati da calunnie.
Anzi, contrattaccano con tutti i mezzi a loro disposizione. E fanno bene, ovviamente, ne hanno il diritto. Come qualunque altro gruppo umano. Soprattutto se perseguitato come sono oggi i cristiani nel mondo. Spero che nessuno domani accusi di “oscurantismo” le comunità ebraiche se verranno trasformati in film certi libelli calunniosi e alcuni intellettuali ebrei inviteranno a non andare al cinema.
E’ il minimo che possano fare. Ma ieri sulla prima pagina della Stampa c’era un editoriale di Gian Enrico Rusconi – noto intellettuale laico – che andava perfino oltre Capezzone. Egli ha ammesso che la storiella inventata da Dan Brown è “avventurosa e calunniosa”, ma ha spiegato che i cattolici non devono fare le “vittime”, non devono reagire alle calunnie e anzi devono unirsi al suddetto Brown per demolire anch’essi la Chiesa. Rusconi ha anche ironizzato su “l’onore offeso” dei cattolici: lo scrive fra virgolette quasi che l’onore dei cattolici non esista o comunque non meriti tutela.
Ma il suo messaggio forte è quell’invito ai cattolici all’autodemolizione. Parafrasando Marx è come se Rusconi avesse detto: cattolici di tutto il mondo, suicidatevi. Che poi è la celebre “profezia” di Antonio Gramsci: “il cattolicesimo democratico fa ciò che il socialismo non potrebbe: amalgama, ordina, vivifica e si suicida”. Praticamente una biografia di Prodi e compagnia, da Dossetti fino alle elezioni del 9 aprile scorso. Ma il problema non riguarda solo la politica: riguarda soprattutto la fede e dunque la teologia (che per la Chiesa è ben più importante).
Rusconi è così a digiuno di cattolicesimo che non sa nemmeno che proprio questo “suicidio”, da decenni, è il vero problema del mondo cattolico. Una quantità di teologi, “intellettuali cattolici” e “pastori” si sono accodati al mondo, a balorde teorie mondane e a ideologie assurde (dalla vulgata marxista della teologia della liberazione, alla fissa psicoanalitica, dalla gnosi di un certo ecumenismo conciliare, all’esegesi storico-critica di Bultmann).
Già Paolo VI lo denunciò con parole pesantissime: “da qualche parte il fumo di Satana è entrato nel Tempio di Dio… L’apertura al mondo fu una vera invasione del pensiero mondano nella Chiesa”. Ed ancora nel 1974, con dolore, il papa parlò di “coloro che tentano di abbattere la Chiesa dal di dentro”. In un famoso colloquio con Jean Guitton, Paolo VI usò toni quasi apocalittici. Ricordò la frase di Gesù nel Vangelo di Luca: “quando il Figlio dell’Uomo tornerà, troverà ancora la fede sulla terra?”.
La applicò ai giorni nostri. Disse: “Ciò che mi colpisce quando considero il mondo cattolico, è che all’interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non-cattolico, e può avvenire che questo pensiero non-cattolico all’interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa”.
Con il vigoroso pontificato di Giovanni Paolo II e il lavoro ventennale del cardinale Ratzinger è stata compiuta un’opera immane, di ritorno all’ortodossia: specialmente nella fede del popolo cristiano che oggi non appare più così subalterno a ideologie mondane. Ma il ceto intellettuale e teologico lo è.
Proprio alle loro fumisterie dottrinali era rivolto il messaggio del papa all’Angelus di ieri: “La risurrezione di Cristo è il dato centrale del cristianesimo, verità fondamentale da riaffermare con vigore in ogni tempo, poiché negarla come in vario modo si è tentato di fare e si continua a fare o trasformarla in un avvenimento puramente spirituale, è vanificare la stessa nostra fede. ‘Se Cristo non è risuscitato – afferma san Paolo – allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la nostra fede’ (1Cor, 15, 14) ”.
Secondo l’agenzia AsiaNews in queste parole “alcuni hanno voluto vedere un indiretto riferimento anche al ‘Codice da Vinci’ ”. Ma la mia impressione è che, oltre a quel libro, siano rivolte soprattutto al mondo ecclesiastico e teologico che – sotto fumisterie heideggeriane – continua a mettere in discussione il fondamento della fede cristiana – la resurrezione nella carne di Gesù Cristo – trasformando questa “carnalissima” vittoria sulla morte in un concetto spirituale.
Su questo la Chiesa si gioca il fondamento. Già nel 1970 Paolo VI – di fronte all’autodemolizione scatenata nel dopo Concilio – volle realizzare un grande simposio internazionale sulla resurrezione.
Il Papa sottolineò i capisaldi storici della testimonianza degli apostoli: la tomba trovata vuota e le apparizioni di Gesù risorto. Veramente risorto nella carne, come appurò san Tommaso, che era incredulo, mettendo le dita nelle grandi ferite del suo corpo. Paolo VI a questo punto volle scandire bene proprio queste parole: “Il fatto empirico e sensibile delle apparizioni pasquali”. Ed aggiunse un monito che colpì molti: “Se non manteniamo la fede in questo fatto empirico e sensibile trasformiamo il cristianesimo in una gnosi”.
Guarda caso quando nel 1974 uscirono gli Atti del Simposio, pubblicati dalla Libreria editrice vaticana, dall’allocuzione pontificia era sparita proprio quella frase. Si disse: “perché fu pronunciata a braccio…”. Ma molti ne furono colpiti. Perché era la metafora di ciò che stava accadendo nel mondo ecclesiastico. Molti anni dopo, nel 1992, per la rivista “30 Giorni”, realizzai un’inchiesta e scoprii che quasi tutto il mondo teologico più potente (compresi due teologi tedeschi che poi hanno fatto carriera) andava per la sua strada.
Rosino Gibellini, molto importante nel mondo teologico italiano, mi disse apertamente: “la critica di Rudolf Bultmann ai racconti delle apparizioni del risorto è ormai universalmente accettata da tutti i teologi moderni”.
Ecco a chi erano rivolte e come si spiegano le parole di ieri di Benedetto XVI. Il quale penso che tema molto più l’avvelenamento delle sorgenti operato dall’interno della Chiesa che non gli attacchi esterni, in fondo risibili, come quello di Dan Brown.
Una volta, quando era ancora cardinale, Ratzinger intervenne a un convegno di esegeti e con la sua voce dolce e mite esordì con una bomba atomica: “Nella ‘Storia dell’Anticristo’ di Wladimir Soloviev, il nemico escatologico del Redentore si raccomanda segnatamente ai credenti per aver ottenuto il proprio dottorato in Teologia a Tubinga e per aver scritto un’opera esegetica che gli vale il riconoscimento di pioniere in questo campo. L’Anticristo, celebre esegeta! Con questo paradosso Solovev – circa cento anni fa – ha messo in luce l’ambivalenza che caratterizza l’esegesi biblica moderna”.
Più chiaro di così non si può. L’Anticristo non è uno dei tanti diffamatori esterni, che attaccano la Chiesa da fuori. Ma un celebre teologo. La Chiesa non ha paura dei nemici esterni perché ha la promessa che mai prevarranno, ma teme solo la demolizione della fede dall’interno: “quando il Figlio dell’Uomo tornerà troverà ancora la fede sulla terra?”.
Un anno fa anche il cardinal Ratzinger, scrivendo per papa Wojtyla la Via Crucis del venerdì santo, ricordò quelle terribili parole di Gesù. E disse che Gesù trovò la risposta quando si trovò inchiodato sulla croce. Tutti i suoi se n’erano scappati. Ma era rimasta Maria: “I discepoli sono fuggiti, ella non fugge. Ella sta lì, con il coraggio della madre, con la fedeltà della madre, con la bontà della madre e con la sua fede che resiste all’oscurità…. Sì, in questo momento egli lo sa: troverà la fede. Questa, in quell’ora, è la sua grande consolazione”.
Non è un caso se dall’oscurità degli anni Settanta la fede è rinata grazie a un papa totalmente mariano, grazie ai santuari mariani (da Lourdes a Medjugorje), grazie a movimenti e opere (come Radio Maria) nati sotto la protezione della Madonna. Perciò ieri il papa, parlando del mese di maggio, dedicato alla Vergine ha chiesto di “riscoprire la funzione materna che Lei svolge nella nostra vita, affinché siamo sempre discepoli docili e testimoni coraggiosi del Signore risorto. A Maria affidiamo le necessità della Chiesa e del mondo intero, specialmente in questo momento segnato da non poche ombre”.
Non a caso Maria è così malsopportata da tutti i modernismi teologici.