Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân Newsletter n.661 del 8 febbraio 2016
Intervista a Chiara Mantovani, bioeticista, impegnata nell’associazionismo pro-life,
Redazione dell’Osservatorio
Può quantificare gli aborti praticati in Italia? Quante vite non rispondono all’appello?
I dati sugli aborti in Italia vengono resi noti alla presentazione annuale al Parlamento prevista dalla legge 194/78 che lo regolamenta. È interessante e importante che queste cifre siano per legge rese pubbliche, anche se non descrivono da sole in modo completo quanti esseri umani non nascono e quante donne sono a rischio di traumi fisici e/o psicologici. Le Regioni hanno comunicato i dati definitivi relativi all’anno 2013 e quelli preliminari per l’anno 2014: 97.535 IVG, 8.225 in meno rispetto ai dati definitivi del 2013. Per avere un’idea più concreta, Arezzo ha 99.434 abitanti, Cesena 96.885.
Ci sono dati sull’aborto chimico?
A titolo di esempio, nel Trentino tra il 2007 e il 2013, l’aumento delle richieste di pillole è stato del 430% nei consultori (da 246 a 1070) e del 20% per quanto riguarda gli acquisti in farmacia (da 5.940 confezioni del 2006 a 6.878 nel 2013). Sommando i dati 2013 emerge che in totale sono state acquistate o fornite 8.928 confezioni di pillole del giorno dopo, per una media di 24 utilizzatori al giorno. Naturalmente questi dati non riguardano solo gli adolescenti, ma dagli accessi al pronto soccorso del 2010 è emerso che il 45% delle utenti ha un’età compresa tra i 14 e i 19 anni. Rimane poi il fatto che il 48,7% dei concepimenti delle adolescenti terminano con un’interruzione volontaria di gravidanza e il 6,4% con un aborto spontaneo.
L’obiezione di coscienza di medici e personale sanitario regge?
L’obiezione di coscienza se la passa male. Attaccare i medici obiettori è diventato molto di moda, fino a sostenere che chi ha in mente di obiettare dovrebbe evitare di studiare medicina. Si è sentito argomentare che l’obiezione poteva avere una certa giustificazione prima dell’entrata in vigore della legge 194, ma dal 1978 in poi il dovere di assicurare un “servizio” obbligherebbe semmai all’astensione dalla pratica medica. La relazione ministeriale mostra che «non emergono criticità nei servizi di IVG».
«Il numero dei punti IVG, paragonato a quello dei punti nascita, mostra che mentre il numero di IVG è pari a circa il 20% del numero di nascite, il numero di punti IVG è pari al 74% del numero di punti nascita, superiore, cioè, a quello che sarebbe rispettando le proporzioni fra IVG e nascite. Confrontando poi punti nascita e punti IVG non in valore assoluto, ma rispetto alla popolazione femminile in età fertile, a livello nazionale, ogni 5 strutture in cui si fa un’IVG, ce ne sono 7 in cui si partorisce». E questo dovrebbe essere un dato rassicurante, anche se in verità ci assicura solo della efficienza della eliminazione programmata di vite umane.
Ma l’attacco ancor più subdolo, e che colpisce anche i farmacisti, è realizzato negando l’azione abortiva delle varie “pillole” dei variegati “giorni dopo”: cancellando con un colpo di mano decisamente antiscientifico (perché ingiustificato, dato che nulla è cambiato) nei foglietti illustrativi le frasi che pure ammettevano meccanismi antinidatori e dunque abortivi. Non è prevista l’obiezione relativamente alla contraccezione. Anche cambiare la nozione di gravidanza, spostandola temporalmente dalla fecondazione dell’ovulo all’impianto dell’embrione, ha reso complicato fare obiezione per medici, farmacisti e sperimentatori.
L’aborto da eccezione è diventato un diritto: con quali conseguenze?
Il passaggio da delitto a diritto ha causato una vera e propria assuefazione a questa terribile pratica. Un altro colpo fatale è stata la modalità chimica di abortire, la pillola RU486, che banalizza e privatizza il gesto per chi ne parla e lo promuove, ma non per chi lo compie. Se, come dicono le cifre, c’è stato un decremento del 58.1% di aborti nel 2013 rispetto al 1982, significa che anche i medici oggi praticano la metà di aborti chirurgici. E dunque che fino a qualche anno fa un medico abortista poteva arrivare a fare, pressappoco, 8 aborti a settimana, 32 al mese, 352 in poco meno di un anno lavorativo, considerando 44 settimane all’anno tra ferie e malattie. In dieci anni di professione fanno 3520 aborti. Per quanto tempo si pensa che sia sopportabile tutto questo? A mio parere queste considerazioni offrono una spiegazione, tra le altre, della diffusione dell’aborto chimico, che torna ad essere una responsabilità caricata sulle spalle delle donne, non dei medici.
Il mondo cattolico reagisce ancora o “convive” con l’aborto?
Anche i cattolici hanno perso consapevolezza del dramma dell’aborto. Non si tratta solo, si fa per dire, di giustificare il singolo comportamento, ma di una vera anestesia della ragione, della acquiescenza da un lato al “così fan tanti”, dall’altro alla implicita legittimazione derivante dalla legge. Quando mai si reputa possibile che una legge consenta un male? Ciò che è legale – e per giunta da tanti anni – come potrebbe essere illecito o sbagliato? Una malintesa pietà, una carità sganciata dalla verità, la negazione di ogni forma di conflitto, anche interiore, la mancata educazione alla responsabilità personale fanno sì che anche il cattolico cada nella trappola di giustificare quasi ogni comportamento, aborto compreso. Intorno a lui sta una società che lo ha dichiarato gesto legittimo, fino a definirlo un diritto della salute procreativa. Questo rende la percezione reale molto più difficile, non educa al vero, nasconde il bello e confonde le coscienze.