“cercate ogni giorno il volto dei santi e traete conforto dai loro discorsi”
[Didaché IV, 2; CN ed., Roma 1978, pag. 32].
di Rino Cammilleri
Questo pagano, nato in una regione posta tra i celebri fiumi Tigri ed Eufrate, aveva ricevuto una raffinata educazione di stampo ellenistico. Ma era troppo intelligente e curioso per sentirsene soddisfatto. Si mise a osservare i cristiani e si accorse che i loro costumi erano nettamente superiori a quelli dei pagani. Ricordavano molto le antiche virtù stoiche che avevano fatto grande Roma e la sua civiltà.
In più, mostravano una carica di umanità e compassione inaudita. Il tutto vissuto in gioia e serenità. Ma non era, il loro, il distacco elitario dei filosofi; mi si trattava di un atteggiamento di pochi. Teofilo si mise a studiare la loro Scritture e ne fu convinto.
Battezzato ed entrato negli ordini sacri, fu eletto vescovo di Antiochia nel 169. Antiochia era la città in cui s. Pietro aveva avuto la sua prima cattedra episcopale e Teoffio ne resse le sorti al tempo di Marco Aurelio, giungendo forse fino ai primi anni di Commodo. Si servì della sua sterminata cultura per scrivere parecchie opere, molte delle quali furono dedicate al confronto con quella cultura pagana da cui egli stesso proveniva.
Alcune frasi, tratte dal suoi scritti, rivelano una profondità filosofica di tutto rispetto. «Ma se tu mi dici “mostrami il tuo Dio”, io ti dirò: «Mostrami il tuo uomo, e io ti mostrerò il mio Dio». Ancora: «Tutti hanno i loro bravi occhi, ma qualcuno li ha velati, incapaci di vedere la luce del sole. Il fatto però che i ciechi non vedono non dimostra per niente che la luce del sole non appaia». Sono argomenti, purtroppo, ancora validi, come se duemila anni fossero passati invano.
il Giornale – 13 settembre 2000