2 febbraio 2014
di Marco Respinti
Terence Chimes, detto “Terry”, era un asso in “pelli e tamburi”. Cioè un campione a suonare la batteria, almeno se amate quella rottura di ogni regola musicale che è il punk (traducibile come “putrido”, “prostituta” o “di scarsa qualità”, anzi con una mescola di tutti quei significati).
Nato nel 1956 a Stepney, nell’East End di Londra, Terry mosse i primi passi nei London SS, un gruppuscolo, e poi fece il salto divenendo il primo, storico batterista di The Clash (ovvero “Scontro”), la band che, assieme ai famigerati Sex Pistols (“Pisole del sesso”), è sinonimo per antonomasia del punk. Con loro ha suonato dal luglio al novembre 1976, poi dal gennaio all’aprile 1977 e ancora dal maggio 1982 al febbraio 1983. Nel 1977, però, il genere punk era già bell’e morto, ucciso dal business e dal cinismo, e i suoi protagonisti che non avevano fatto fisicamente la medesima fine, si erano presto riciclati altrove.
Sono così diventati la bandiera, ricca e riverita, di una new wave neo-post-punk, che l’antica ribellione contro ogni conformismo l’ha sapientemente trasformata in ortodossia comunista. Fa testo il loro famoso triplo album Sandinista! del 1980, omaggio al regime marxista-leninista che in quegli anni opprimeva il Nicaragua, passeggiando a braccetto con una teologia della liberazione spesso promossa a ranghi ministeriali.
Dopo i Clash ribaldi, Terry ha girovagato un po’e nel 1985 si è unito alla band finlandese, cotonata e commerciale, Hanoi Rocks (cioè “Hanoi è roba forte”, nome nato quando il chitarrista Andy McCoy si entusiasmò per un documentario tivù su una fabbrica di droga in Vietnam). Praticamente come sputare sulle “gloriose” intemperanze antisistema del vecchio punk e sulle tombe dei suoi “eroi” che in quel pericoloso gioco ci avevano lasciato la pelle. Il gradino successivo fu passare (luglio-dicembre 1987 e maggio 1988 per un solo concerto) ai grevi Black Sabbath (“Sabba nero”), quintessenza dell’heavy metal condito di satanismo esplicito (tutto da verificare, ma tant’è).
Per chi non è del ramo, tanto vagabondare dice poco e niente, ma la questione è che Terry ha provato, nel suo mondo, tutto e il contrario di tutto, negando quanto aveva prima affermato, facendo il ribelle a tariffa e note spese, voltando le spalle come si gira pagina. E questo persino al sulfureo mondo del suo rock, dato che dal 1994, fattosi vegetariano radicale, ha aperto uno studio chiropratico nell’Essex.
Ma il bello deve ancora tutto venire,poiché Terry il gesto davvero “rivoluzionario”, quello che sul serio rompe ogni schema, lo ha compiuto dopo. Convertendosi al cattolicesimo, come racconta nell’autobiografia The Strange Case of Doctor Terry and Mr. Chimes (Crux, Londra 2013). In realtà, si tratta di una riconversione, giacché Chimes è cattolico dalla nascita; ma, essendosi nel frattempo perso per strada e avendo a lungo fatto tutt’altro, la cosa non è meno dirompente.
Da sottolineare – come rileva un pregevole articolo di Madeleine Teahan sul settimanale britannico The Catholic Herald – è che Chimes si sia convertito al cattolicesimo attraverso un anglicano. Certo, un anglicano speciale come C.S. Lewis (1898-1963), che i suoi discepoli migliori (tutti cattolici, di nascita o per conversione) descrivono da decenni come un cattolico in pectore, giunto tanto così dall’abbracciare la Chiesa di Roma, ma pur sempre uno scismatico (e, vista la storia della Chiesa d’Inghilterra, un eretico).
Nel libro Chimes ricorda quel giorno del 1998 in cui è inciampato in una copia dello smilzo e per lui allora strano Mere Christianity, pubblicato da Lewis nel 1952. La forza di quel titolo si perde o non è la medesima nelle traduzioni italiane (Scusi, qual è il suo Dio?, delle protestanti G.B.U., a Roma, nel 1981, e Il cristianesimo così come è, Adelphi, Milano 1997) perché in originale suona, lapidario ed essenziale, “Semplice cristianesimo”.
È forse il “più cattolico” dei libri di un Lewis incalzato per tutta la vita dai misteri dalla storia cristiana e dalla natura della fede. Con Mere Christianity, infatti, Lewis si sforza di presentare l’adesione a Gesù nei suoi fundamental (espressione preziosa per tutti i cristiani anglofoni non liberal) e, di sponda, insegue una “ortodossia di base” capace di accomunare non banalmente i cristiani separati attorno alla Risurrezione del vero Figlio di Dio.
Chimes è rimasto particolarmente colpito da come in esso Lewis affronta il peccato di orgoglio. D’un tratto si rese conto che quello era l’ostacolo che lo separava dalla misericordia. Fu così che cominciò a percepire accanto a sé una “presenza straordinaria” che lo “assaliva” a «forti ondate», tanto che «ogni realtà materiale e concreta sembrava nulla se paragonata alla possanza e alla maestà di quella presenza. Tutto il mio mondo sembrava venirne istantaneamente scosso […] Quella presenza sapeva tutto di me e tuttavia mi amava ancora».
Era ora di rimettere mano alla vita per intero. Il nuovo inciampo furono le Confessioni (I, 1,1) di sant’Agostino: «Ci hai fatti per Te e inquieto è il nostro cuore finché non riposa in te». L’approdo. Oggi Terry Chimes è un altro uomo, quello vero. Nel 2003 lo hanno iscritto nella “Rock and Roll Hall of Fame” per la militanza nei Clash, ma la sua militanza per Gesù ne fa il primo cattolico nella nutrita “Hall of Fame” dei rocker convertiti al cristianesimo (lo stregonesco Alice Cooper; Nicko McBrain, batterista degli Iron Maiden; l’improponibile Brian Weltch dei Korn, l’ex geovista e poi satanista Dave Mustaine; forse persino Bob Marley in punto di morte).