Il Giornale dell’Umbria 19 Marzo 2025
Bangkok si arrende a Pechino, riconsegnando della povera gente che sfuggiva alla persecuzione. Ma a chi interessa?
di Marco Respinti
(Centro Studi Criminalità e Giustizia)
Il 13 marzo, lo stesso giorno in cui a Bruxelles scoppiava lo scandalo della corruzione in cui sarebbe coinvolto il già molto chiacchierato colosso cinese delle comunicazioni Huawei, il Parlamento Europeo ha approvato una mozione di condanna della Thailandia per avere proditoriamente rimpatriato con la forza, il 27 febbraio, 48 profughi uiguri ‒ la mozione dice «almeno 40» ‒ che da un decennio cercavano scampo dalla Repubblica Popolare Cinese, dove sono oggetto di una persecuzione inaudita.
La decisione è giunta piuttosto inaspettata ed è sicuramente clamorosa, ancorché le minacce di rimpatrio abbiano costantemente angustiato le esistenze di quegli infelici dal marzo 2014. Quei 48 facevano peraltro parte di un gruppo più vasto di circa 350 persone che dieci anni fa era fuggito dalla Regione Autonoma Uigura dello Xinjiang (come il regime cinese chiama la loro terra) nel tentativo di raggiungere la Turchia (vi è una storica parentela culturale fra turchi e uiguri), affrontando grandi disagi e difficoltà lungo il tragitto. In patria il loro destino è infatti il genocidio culturale, che li costringe, assieme ad altre minoranze turcofone, all’internamento nei campi di concentramento, al lavoro forzato, alla rieducazione ideologica, alla perdita di ogni diritto e a ogni sorta di sopruso.
All’arrivo in Thailandia, le autorità locali fermarono quel gruppo di profughi in cerca di scampo con l’accusa di immigrazione illegale. Nel tempo, diversi di loro sono riusciti a raggiungere la Turchia. Altri sono man mano ricaduti nella rete di Pechino e hanno dovuto tornare in Cina, dove sono stati imprigionati e, in alcuni casi, anche uccisi. Gli ultimi sono rimasti rinchiusi in un limbo assurdo fino al recente tragico epilogo. Il racconto della loro odissea resta un monito inascoltato in un articolo pubblicato da The New York Times Magazine nel novembre 2024.
Dopo oltre un anno di detenzione, nel 2015 Bangkok rimpatriò in Cina 109 di quei 350 rifugiati e a nulla valse l’ondata di indignazione internazionale. Un secondo gruppo di 173 uiguri, per lo più donne e bambini, venne alla fine mandato in Turchia. Chi non è stato rimpatriato o non è riuscito a trovare asilo alternativo è così rimasto dietro le sbarre delle prigioni thailandesi in condizioni pietose. Cinque di loro sono morti, tra cui un neonato e un bambino di 3 anni. Altri cinque stavano scontando pene detentive fino a 12 anni comminate loro per avere cercato di fuggire dalle strutture thailandesi. I restanti 43 si trovavano sottochiave nel Centro di Detenzione per Immigrati dell’Ufficio per l’Immigrazione di Bangkok, sempre in condizioni disastrose e insalubri. Ancora una volta, questo quadro inquietante, tracciato nel febbraio 2024 dai Relatori Speciali delle Nazioni Unite, non ha sortito alcun effetto, e neppure lo ha fatto l’appello pubblico lanciato sempre dall’ONU a fine gennaio, dove veniva sottolineato «che 23 di quelle 48 persone versano in gravi condizioni di salute, soffrendo tra l’altro di diabete, disfunzione renale, paralisi della parte inferiore del corpo, malattie della pelle, malattie gastrointestinali e malattie cardiache e polmonari».
Sempre e solo silenzio hanno suscitato pure le proteste di diversi Paesi, fra cui gli Stati Uniti, una volta avvenuto il rimpatrio forzato. L’unica differenza l’ha fatta la risoluzione del Parlamento Europeo, adottata il 13 marzo con 482 voti favorevoli, 57 contrari e 68 astensioni (tre categorie di voto tutte perfettamente trasversali), che non ha usato mezzi termini, giungendo persino a chiedere la sospensione di tutti i trattati di estradizione che gli Stati membri dell’Unione Europea abbiano in essere con la Cina. Ebbene, quest’unica reazione suscitata è stata… l’annuncio di una prossima visita delle autorità thailandesi in Cina per “verificare” le condizioni in cui versano gli uiguri.
Se non fosse tragico, verrebbe da ridere. Dopo avere minacciato e angariato per dieci anni della povera gente in cerca solo di una vita minimamente normale, minorenni compresi, dopo che anche la morte si è abbattuta su quegli sventurati per incuria, negligenza e connivenza, la Thailandia, che si regge in piedi con i soldi dei carnefici delle vittime, ha rimpatriato le vittime ai carnefici, salvo poi concedersi il lusso di un viaggetto a casa dei carnefici che pagano tutto onde farsi da loro mostrare come gli uiguri millantatori stiano in realtà benone. Ma di queste vergogne quotidiane nei rapporti internazionali non interessa a nessuno