La Croce quotidiano 6 luglio 2016
È uscito per i tipi D’Ettoris “Hobbit Party”, un libro per rendere gli uomini «più consapevoli del monito biblico: la nostra battaglia non è solo contro la carne e il sangue, ma anche contro Principati e Potenze (Ef 6,12). Prefazione di James V. Schall, S.J.
di Giuseppe Brienza
Ogni uomo, nella sua esperienza più intima, è alla ricerca nelle modalità più varie per riconoscere e rendere culto a Dio o, in altre parole, per gioire dell’ideale e della bellezza della realtà che lo circonda. Lo scrittore, filologo, e linguista britannico John Ronald Reuel Tolkien (1892-1973), in tutte le sue opere, ha narrativamente espresso nel modo più efficace, con parole di epica e immagini e personaggi insuperati, questo concetto che, essenzialmente, riguarda il tentativo di ciascun essere creato di raggiungere la verità e, con essa, la gioia e la realizzazione di sé.
Il costante tentativo della persona umano, che è “animale sociale” come insegna la filosofia greca, di trovare un rapporto autentico con la natura e le “cose più alte”, sfocia anche nella vita comunitaria e nella politica, quando essa naturalmente è guidata dalla ragione e dal diritto naturale, non certo quando mira a sostituire o trovare in sé un’alternativa a Dio.
L’analisi tolkeniana del rapporto fra verità, bellezza e politica è svolta nell’ultimo libro uscito sul grande scrittore nel nostro Paese, scritto da due studiosi americani, Jonathan Witt e Jay W. Richards, e intitolato “Hobbit Party. Tolkien e la visione della libertà che l’Occidente ha dimenticato” (a cura di Maurizio Brunetti, D’Ettoris Editori, pp. 352, €. 23,90).
Già il titolo di questo volume, rileva James V. Schall, S. J. nella “Prefazione” (pp. 9-13), meriterebbe un commento. Il gesuita statunitense, che è un tolkeniano convinto anche se un po’ “tardivo” (ne ha scoperto le opere solo a sessant’anni), ha sempre sostenuto infatti che la filosofia, e in particolare la filosofia politica, può arrivare alla verità solo se si apre alle verità della Rivelazione offerte dalla teologia. E allora leggere Tolkien permette egregiamente di rendere gli uomini «più consapevoli del monito biblico: la nostra battaglia non è solo contro la carne e il sangue, ma anche contro Principati e Potenze (Ef 6,12). Il padre della menzogna si sente a casa in un mondo in cui mentiamo a noi stessi sulla natura delle cose per continuare a fare quello che vogliamo» (p. 10).
Padre Schall, che è professore emerito presso il Dipartimento di Diritto Pubblico della Georgetown University, addita sulla stessa scia di Witt e Richards nella “visione del mondo” di Tolkien un modo coerente di risposta ai doni divini della ragione e della volontà. «Un mondo del genere – annota il gesuita – non esclude la tragedia e la sofferenza, anche degli innocenti. Le sue radici, nondimeno, rimangono ben piantate nella gioia, che è l’esito finale della scelta del bene, anche se, nel medio termine, tale scelta può implicare sofferenze» (p. 13).
Il titolo “Hobbit Party”, quindi potrebbe far pensare a giusto titolo ad un movimento ideale, di azione civica anche se non un vero e proprio partito politico. Distributisti, ecologisti, reazionari, anti-moderni, e persino marxisti e atei, alla stregua dei cattolici e di altri credenti e pensatori, hanno provato ad arruolare Tolkien per la propria causa. Le vicende che leggiamo nei suoi libri narrano in effetti di viaggi e di lotte, di lunghe marce verso l’Alba e della scelta del Bene.
«Se molto è stato scritto sul rilievo religioso de “Il Signore degli Anelli”», attesta lo studioso Joseph Pearce nel suo “Catholic Literary Giants”, «meno è stato pubblicato su quello politico, e quel poco che c’è spesso è erroneo nelle conclusioni e all’oscuro circa le finalità che Tolkien si prefiggeva». Jonathan Witt e Jay W. Richards hanno provato con “Hobbit Party” a colmare questa lacuna. Entrambi texani, sono uomini di cultura a tutto tondo. Witt, docente di letteratura inglese e attivo nel campo del giornalismo oltre che sceneggiatore di documentari, è attualmente caporedattore dell’agenzia di stampa online “The Stream”. Richards, invece, insegna presso la “School of Business and Economics” della Catholic University of America, a Washington D.C., ed è Senior Fellow presso il “Discovery Institute”.
In un tempo in cui molti sono preoccupati che l’Occidente stia scivolando verso una bancarotta non solo economica, ma anche morale e politica, entrambi gli autori cercano di dimostrare come Tolkien – che si descriveva come uno Hobbit «in tutto tranne che nella statura» – abbia tracciato, con le sue amate storie della Terra di Mezzo, una mappa verso la libertà. A tal fine attingono alla loro combinata esperienza in letteratura, scienze politiche, economia, filosofia e teologia per descrivere la visione tolkieniana dell’uomo, creato appunto per la libertà, eppure sviabile così tanto facilmente dalla brama di potere.
L’universo fantastico de “Il Signore degli Anelli”, del resto, non è stato creato da Tolkien per fornire ai suoi lettori una via di fuga dalla realtà. Del nostro mondo, la Terra di Mezzo è piuttosto un ritratto impressionista. Uomini, Elfi, Nani e Hobbit diventano l’occasione narrativa per mettere a fuoco alcuni dei grandi temi del nostro tempo: i limiti dello Stato; il valore della proprietà privata; il libero arbitrio e la tentazione del potere; la dottrina della guerra giusta; l’ecologia; l’amore e la morte.
“Hobbit Party” è il nome della festa che celebra le virtù di Frodo e della Contea: la nobiltà d’animo, la verità e la bellezza.