Tutelare la dignità della donna quale antidoto alla violenza

Centro Studi Rosario Livatino 23 Novembre 2020 

di Angelo Salvi

Nell’episodio conclusivo delle narrazioni storiche aventi ad oggetto la reconquista spagnola della penisola iberica il sultano di Granada, Boabdil, volgendo per l’ultima volta il suo sguardo alla Alhambra perduta, scoppia in un pianto che suscita la reazione della madre, ʿĀʾisha bint Muhammad al-Ḥorra, da cui viene ammonito con la celebre frase: «non piangere come una donna per quello che non hai saputo difendere da uomo».

1. Ho scelto “l’ultimo sospiro del Moro” per introdurre questa mia riflessione sulla questione femminile oggi perché offre, a mio avviso, alcuni spunti d’attualità. Le cronache dell’epoca ci descrivono ʿĀʾisha come una donna dal carattere forte e determinato, relegata tuttavia ad un ruolo di attrice non protagonista in società ad impronta maschilista.

Anche oggi i temi della rappresentanza femminile nella società e del c.d. glass ceiling (soffitto di vetro [1]) sono all’ordine del giorno nelle agende stilate dall’associazionismo al femminile, benché sia innegabile che la società occidentale post moderna sia ridisegnata anche in relazione al diverso ruolo che la donna è andata via via assumendo, soprattutto nella seconda metà del ventesimo secolo.

Per capire a che punto sia questo percorso, è interessante esaminare quanto accade in ambito giudiziario (l’ingresso delle donne in magistratura è relativamente recente [2]), ove si registra oggi una significativa presenza femminile: «analizzando i dati per genere, dei 9.250 magistrati in servizio nel 2019 il 53,7% (4.966) è donna, mentre il 46,3 (4.284) è costituito da uomini. La parità di genere in magistratura, in termini di uguale partecipazione, è stata raggiunta nel 2015 e si è modificata fino al 2019 sempre a favore del genere femminile.

Nel 2000 la situazione era diametralmente opposta, con una percentuale di donne magistrato pari solo al 34,9%. Considerando la distribuzione percentuale per sesso all’interno delle diverse classi d’età, emerge come la presenza femminile in magistratura cresca al diminuire dell’età dei magistrati: è infatti nelle classi inferiori, in particolare tra i giovani magistrati con meno di 30 anni, dai 30 ai 39 e tra quelli dai 40 ai 49 che la percentuale delle donne è significativamente superiore rispetto a quella dei colleghi maschi. Dai 50 anni in su, il rapporto, invece, si inverte, e la presenza maschile raggiunge il valore massimo (66%) nella classe 50-69 anni» [3].

2. Diverso è il discorso però per i ruoli apicali, con una presenza femminile ancor oggi ridotta, benché proprio nell’ultimo anno si sia registrata per la prima volta l’elezione di una donna, Marta Cartabria, a presidente della Corte Costituzionale e di un’altra donna, Margherita Cassano, a presidente aggiunto della Corte di Cassazione. In termini generali, la presenza ed il ruolo delle donne nella società civile si sono andati sempre più dilatando dagli anni 1960 a oggi, per quantità e qualità.

Da sempre prossimo agli ambienti della sinistra progressista, storicamente legato alla corrente socialista del femminismo dell’uguaglianza e, poi, a quella del femminismo della differenza sessuale (ove si accentua la contrapposizione maschio-femmina), il movimento femminista sembra conoscere oggi una crisi di identità, costretto a misurarsi con una società che ha visto emergere dalle ceneri del vecchio Partito Comunista un nuovo «partito radicale di massa, espressione politica del relativismo culturale» [4], non sempre in linea con le ragioni ideologiche su cui si innestano le rivendicazioni femministe.

La nuova frontiera del radical-progressismo è il pieno sostegno alle battaglie per l’affermazione dell’ideologia gender; una lotta che va «ben al di là dei “diritti” delle minoranze sessuale: l’obiettivo è quello, una volta de-costruita la sessualità, di ricostruirla secondo il desiderio di ciascuno, disincarnandola del tutto dal corpo, e facendone parte integrante di una concezione dell’uomo definitivamente sganciata da qualsiasi ordine oggettivo» [5].

3. In questi termini, l’ideologia gender appare difficilmente compatibile con la “tradizione” femminista, come è emerso in occasione della discussione parlamentare del testo unificato Zan.

In un’intervista a Repubblica del 1° luglio 2020, Francesca Izzo, storica fondatrice di “Se non ora quando” – movimento che ha lanciato un appello per fermare l’approvazione della legge -, ha così chiarito le ragioni di critica al “ddl anti-omofobia” rispondendo alla domanda «qual è il termine sotto accusa?»: «È il gender, ovvero l’espressione ‘identità di genere’ che è una questione molto controversa. Le donne in tutto il loro processo di liberazione e di uscita da una condizione di oppressione sociale hanno messo in discussione il genere che veniva loro assegnato e che le poneva in condizione di subalternità. Con questa espressione si sostituisce l’identità basata sul sesso con un’identità basata sul genere dichiarato. Come scriviamo nella lettera, attraverso ‘l’identità di genere’ la realtà dei corpi – in particolare quella dei corpi femminili – viene dissolta. Il sesso non si cancella» [6].

Il movimento femminista – o, almeno, buona parte di esso – sembra dunque non voler rinunciare ai temi classici della differenza sessuale e dell’emancipazione dalla “tradizionale” visione della donna come sesso debole, ben sintetizzata dal «non piangere come una donna» di ʿĀʾisha. In questo senso, il femminismo oggi pare avviarsi lungo un percorso ben distinto da quello intrapreso dal radicalismo libertario, con cui tuttavia continua a condividere l’impegno per abbattere il “soffitto di cristallo”.

Un tema, quest’ultimo, che va assumendo una connotazione trasversale; lo stesso Papa Francesco, nell’omelia del 1° gennaio 2020, ha affermato che «la donna è donatrice e mediatrice di pace e va pienamente associata ai processi decisionali», che interessano la sfera domestica e la società civile [7].

4. Nella giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne – che si celebra ogni anno il 25 novembre – anche in Italia sono in programma numerosi eventi, nel corso dei quali si condurranno le prime analisi sui risultati ottenuti con l’introduzione del c.d. codice rosso, la legge 19 luglio 2019 n. 69, recante «modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere».

Disamine indispensabili nella prospettiva di eventuali nuovi interventi normativi che mirino a meglio tutelare le specifiche posizioni di debolezza che tuttora sussistono. Il tema è e resta d’attualità, come confermato dall’ISTAT: «l’emergenza generata dall’epidemia di coronavirus ha accresciuto il rischio di violenza sulle donne, poiché molto spesso la violenza avviene dentro la famiglia. Le disposizioni normative in materia di distanziamento sociale introdotte al fine di contenere il contagio si sono rivelate, inoltre, un elemento che ostacola l’accoglienza delle vittime» [8].

Anche i dati che emergono dal “Report violenza di genere e omicidi volontari con vittime donne”, predisposto dal Ministero dell’Interno con riferimento al primo semestre 2020 [9], possono essere letti in termini di moderato allarme:

  • «i reati di maltrattamenti contro familiari e conviventi e atti persecutori, diminuiti durante i mesi del confinamento, tornano ad aumentare nel mese di maggio e a presentare una leggera inflessione nel mese di giugno, pur mantenendosi sempre inferiori a quelli dello stesso periodo dell’anno precedente;
  • le violenze sessuali aumentano a maggio e ancora di più a giugno, ma restano sempre al di sotto dei valori di gennaio e febbraio 2020;
  • i reati di minaccia, lesione personale e percosse, con particolare riferimento all’ambito familiare, registrano un’importante flessione durante il periodo del lockdown, aumentando nei mesi di maggio e giugno, pur restando sempre inferiori rispetto a quelli del 2019;
  • gli omicidi si confermano in calo rispetto all’analogo periodo del 2019, ma le vittime di sesso femminile aumentano, seppur di poco; l’incidenza delle persone offese donne aumenta nel 2020, anche per gli omicidi in ambito familiare/affettivo;si registra un lieve incremento anche degli omicidi commessi da partner o ex partner».

5. Il report non fa cenno, invece, alla nuova fattispecie di reato della costrizione o induzione al matrimonio, introdotta dal citato “codice rosso”: condotte in relazione alle quali giungono preoccupanti notizie da realtà oltreconfine [10], che pongono all’attenzione del legislatore il tema, quanto mai attuale, dell’integrazione delle persone provenienti da Paesi radicalmente differenti dal nostro [11].

L’assoluta peculiarità del periodo di raccolta di tali dati, in particolare l’emergenza epidemiologica e il lockdown, suggerisce un’ulteriore fase di monitoraggio al fine di valutare quanto incida il codice rosso sulle c.d. violenze di genere. Su un piano culturale va riconsiderato e rivalutato il contributo delle donne non solo nell’ambito lavorativo, ma anche e soprattutto nell’ambito domestico, da intendersi come momento di pieno sviluppo della personalità della donna, non come pegno da pagare ad una presunta e indimostrata arretratezza.

Il riconoscimento della dignità della donna, a prescindere dal contesto in cui opera, è la migliore forma di prevenzione alla violenza. In questo senso, il tema della tutela della dignità della donna («se vogliamo un mondo migliore, che sia casa di pace e non cortile di guerra, ci stia a cuore la dignità di ogni donna», ha detto Papa Francesco nella citata omelia) va rilanciato in maniera forte. In questo quadro, il tema della maternità surrogata non può essere frettolosamente liquidato in termini di libero atto d’amore di una donna in favore di terzi; la questione è più complessa e i casi di cronaca – soprattutto di cronaca giudiziaria – impongono una costante attenzione al fenomeno, e il superamento della logica del “fatto compiuto” che nella sostanza consente di aggirare le prescrizioni e i divieti posti dall’art. 567 cod. pen. e dall’art. 12 della legge 19 febbraio 2004 n. 40 [12].

Si tratta di posizioni sulle quali ormai converge buona parte del mondo dell’associazionismo femminile, a conferma del fatto che la pratica della maternità surrogata è effettivamente riconosciuta come una reale minaccia per la dignità femminile [13].

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1] Termine con il quale la letteratura giuridica individua l’insieme di barriere sociali, culturali e psicologiche che si frappone come ostacolo insormontabile, ma all’apparenza invisibile, al conseguimento della parità dei diritti e alla concreta possibilità di fare carriera nel campo del lavoro per le categorie storicamente soggette a discriminazioni.

[2] V., in proposito, la Legge 9 febbraio 1963 n. 66.

[3] G.C. Blangiardo, La magistratura in Italia. Una lettura integrata nel tempo attraverso i dati statistici, in A. Mantovano (a cura di) In vece del popolo italiano, Cantagalli, 2020, pp. 39-40.

[4] D. Airoma, La legge sull’omofobia: l’olio di ricino della “dittatura del relativismo”?, in A. Mantovano (a cura di) Omofobi per legge, Cantagalli, 2020, p. 20.

[5] D. Airoma, op. cit., p. 23.

[6] Si rimanda, in proposito, al link ove è reperibile il citato articolo: https://www.repubblica.it/politica/2020/07/01/news/legge_omotransfobia_critiche_femministe_francesca_izzo-260673112/.

[7] Si rinvia, anche qui, al link ove è reperibile la menzionata omelia: http://www.vatican.va/content/francesco/it/homilies/2020/documents/papa-francesco_20200101_omelia-madredidio-pace.html. Questa posizione sembra sostanzialmente in linea con quanto affermato da Giovanni Paolo II nel discorso – di portata più generale – rivolto alle donne lavoratrici dello stabilimento tessile Uniontex di Łódź in data 13 giugno 1987«a volte si guarda il suo lavoro professionale come promozione sociale, e la totale dedizione ai problemi della famiglia e dell’educazione dei figli viene ritenuta una rinuncia allo sviluppo della propria personalità, una arretratezza. È vero che l’eguale dignità e responsabilità dell’uomo e della donna giustifica pienamente l’accesso della donna ai compiti pubblici. Tuttavia una vera promozione della donna esige dalla società un particolare riconoscimento per i compiti materni e familiari, poiché essi sono un valore superiore rispetto a tutti gli altri compiti e professioni pubbliche. Questi compiti e professioni pubbliche. Questi compiti e professioni, del resto, dovrebbero integrarsi reciprocamente, se vogliamo che lo sviluppo della società sia autenticamente e pienamente umano. Soprattutto dovrebbe essere rispettato il legame fondamentale esistente tra il lavoro e la famiglia, ed il “significato originale ed insostituibile del lavoro in casa e dell’educazione dei figli” (Ioannis Pauli PP. II, Familiaris Consortio, 23)».

[8] V., in proprosito, https://www.istat.it/it/violenza-sulle-donne/speciale-covid-19.

[9] Dati reperibili su https://www.interno.gov.it/sites/default/files/2020-07/violenza_genere_omicidi_gennaio_giugno_17072020.pdf.

[10] V., in proposito, anche quanto riportato sul sito di Aiuto alla Chiesa che soffre ONLUS: https://acs-italia.org/progetti-in-corso-ac/fondo-di-solidarieta-per-le-donne-cristiane-0.

[11] Quella deimatrimoni forzati è, infatti, «pratica diffusa in diversi Paesi del mondo, ma riscontrata anche tra le comunità straniere in Italia», secondo quanto riferisce il sito ministeriale http://www.integrazionemigranti.gov.it/Attualita/Notizie/Pagine/Codice-Rosso,-i-matrimoni-forzati-diventano-reato.aspx.

[12] Si legga, in proposito, Maternità surrogata, il ricatto del “fatto compiuto”,intervista di Caterina Giojelli al procuratore Domenico Airoma, del Centro Studi Livatino, pubblicata il 30 maggio 2018 su Tempi; per un maggiore approfondimento si rimanda anche ai numerosi contributi presenti sul sito www.centrostudilivatino.it.

[13] Si legga, in tal senso, quanto riferisce Giuliano Guzzo nell’articolo apparso su La Nuova Bussola Quotidiana il 14 ottobre 2020 : https://lanuovabq.it/it/femminista-lutero-in-affitto-un-abominio.