In libreria dal 7 novembre 2006 il secondo volume di seguito la presentazione del secondo volume pubblicata sulla rivista 21mo secolo-Scienza e tecnologia e la prefazione al primo e al secondo volume
A spiegare cosa c’è dietro all’industria dell’allarmismo arriva in libreria dal 7 novembre “Le Bugie degli Ambientalisti – 2” (edizioni Piemme – euro 12.90), scritto ancora una volta da Riccardo Cascioli e Antonio Gaspari, che così completano il lavoro del primo volume uscito nel 2004, che ha riscosso un notevole interesse.
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La presentazione del libro pubblicata sull’ultimo numero della rivista “21mo secolo-Scienza e tecnologia”. “E’ fondamentale il recupero dell’antropologia cristiana, per promuovere quello sviluppo e innovazione tecnologica necessarie per migliorare la qualità dell’ambiente. E’ la tesi sostenuta ne Le bugie degli ambientalisti – 2 (edizioni Piemme), il libro di Riccardo Cascioli e Antonio Gaspari che esce a due anni di distanza dal successo del primo volume.
Il nuovo lavoro si concentra proprio sul rapporto tra sviluppo e ambiente, così spesso mistificato dall’ideologia ambientalista secondo cui il primo è causa del degrado del secondo. La realtà però dimostra esattamente il contrario e, dopo aver corretto una serie di percezioni sbagliate riguardo alla natura (viene dimostrato come questa inquini e consumi più dell’uomo), i due autori affrontano il tema chiave dell’impronta ecologica – assurta a sistema di misura universale della sostenibilità – smascherandone la truffa ideologica e l’obiettivo vero: guidare il mondo verso la povertà generalizzata.
Una notevole documentazione – che include una breve rassegna dei “pensatori” economici che sostengono la necessità della decrescita economica – fa da supporto alla tesi di Cascioli e Gaspari, i quali dimostrano anche come l’Unione Europea sia ormai nelle mani della lobby ecologista con direttive – dalla casa ai voli aerei fino alla chimicofobia – che portano dritte al suicidio del nostro continente.
Molto interessante la parte sulla “Diplomazia verde” della UE dove viene anche svelato il poco edificante retroscena che sta dietro la firma del Protocollo di Kyoto da parte della Russia.
In realtà soltanto uno sviluppo equilibrato può garantire il miglioramento delle condizioni ambientali: non è dunque il ritorno a un ideale passato (che peraltro non è mai esistito) la strada da percorrere, ma è l’andare avanti ponendo l’uomo al centro degli obiettivi di sviluppo. Lo dimostrano le possibilità che le nuove tecnologie permettono proprio in chiave ambientale, e dei capitoli appositi vengono infatti dedica ti all’energia nucleare e allo smaltimento dei rifiuti attraverso i termovalorizzatori.
Interessante, al proposito, anche la breve storia dei rifiuti riportata che dimostra come un problema che ha sempre accompagnato la vita sulla terra, venga oggi affrontato in modo più razionale ed ecologico malgrado la popolazione mondiale sia molto cresciuta.
Tutto però ruota attorno alla concezione del rapporto tra uomo e ambiente ed è per questo che è necessario – dicono Cascioli e Gaspari – affrancarsi da questa ondata di neo-paganesimo (penetrata fin dentro la Chiesa cattolica e qui si fanno nomi e cognomi) per ritornare all’antropologia cristiana, che non a caso parla di Creato, concetto molto più ampio di ambiente.
L’ultima parte del libro è quindi dedicata ai princìpi su cui deve fondarsi una vera ecologia umana, una strada segnata perché possa fiorire un nuovo movimento ambientalista di cui gi à si vedono i primi germogli. Da non perdere poi l’appendice, dove gli autori ci regalano un altro interessante album di famiglia, brevi biografie dei padri dell’ecologismo (anche italiano) da cui emerge un inquietante vicinanza tra questi e il nazismo. Meditate gente, meditate”.
INTRODUZIONE al primo volume
NOVECENTO: IL SECOLO BUIO
“L’uomo cancro del Pianeta”. Come è possibile che all’inizio del Terzo Millennio tale affermazione sia diventata così diffusa e accettata dal senso comune? E come è possibile che venga considerato autorevole il teorico dell’animalismo, il filosofo Peter Singer, che sostiene apertamente la necessità dell’infanticidio quando i bambini sono affetti da gravi malattie?
E come si è arrivati a un radicalismo così perverso da considerare normale l’attività di un Movimento per l’Estinzione Umana Volontaria, che propugna la totale estinzione della specie umana al fine di salvare piante e animali?
In realtà quando in futuro se ne occuperanno gli storici, il Novecento con tutta probabilità verrà contraddistinto come il secolo anti-umano, come l’epoca dell’odio dell’uomo per il proprio genere. In effetti mai prima nella storia l’uomo si è dedicato con tanta scientificità e crudeltà all’eliminazione dei propri simili.
Non vogliamo qui riferirci anzitutto alle due guerre mondiali, i cui effetti tutti conoscono, ma ad una guerra che ha attraversato tutto il secolo e di cui i due conflitti mondiali costituiscono solo gli aspetti più visibili. In realtà le vittime umane nel ‘900 sono state centinaia di milioni tra aborti, embrioni sacrificati per esperimenti medici, popolazione dei Paesi in via di sviluppo usata come cavia, malattie legate alla malnutrizione e alla fame.
In quest’ultimo caso si potrebbe obiettare che la fame e le malattie colpivano maggiormente in secoli passati, almeno percentualmente, ed è vero. Ma nel ‘900 per la prima volta si acquisiscono la tecnologia e i mezzi necessari per poter far fronte alle emergenze alimentari e mediche, eppure ciò non avviene; entra perciò in gioco la responsabilità di chi poteva provvedere e non ha provveduto.
Anche perché – come dimostreremo in questo volume – i sacrifici umani di questa epoca non sono frutto di impotenza o malasorte, piuttosto sono l’esito dell’affermarsi di una ideologia che ha radici nei secoli precedenti – nell’illuminismo e nel darwinismo – ma che nel ‘900 si impone in tutto l’Occidente, identificandosi nel sogno di una umanità sempre più perfetta e autodeterminata, finalmente libera dal “bisogno” di Dio.
Il secolo si apre quindi con l’affermarsi dell’eugenetica (dal greco eu, buona, e gen, razza) che via via trova come compagni di strada il femminismo radicale, il movimento per il controllo delle nascite, l’ambientalismo. Tutti movimenti che hanno come caratteristica comune – tra le altre – la fiducia in alcune élite illuminate in grado di capire i mali del mondo e porvi rimedio.
Elite che ad un certo punto scelgono il “catastrofismo” per convincere il resto della popolazione a seguirli sulla loro strada. I miti pseudo-scientifici che stanno guidando le scelte politiche delle nostre società – e che prenderemo in esame in questo volume per dimostrarne l’infondatezza scientifica – hanno proprio questo scopo: convincerci che sia necessario sacrificare buona parte dell’umanità per far vivere meglio quella rimanente.
Questo volume ha la pretesa di contribuire a rifondare un approccio ai problemi dell’umanità che non solo sia rispettoso della persona ma che sia per il suo bene, e quindi per il bene di ogni creatura che vive sulla Terra. Lo faremo prendendo in esame alcuni tra i più diffusi cavalli di battaglia del catastrofismo ambientale – dalla sovrappopolazione allo sviluppo sostenibile, dalla distruzione delle foreste al riscaldamento globale – per dimostrarne l’assoluta mancanza di basi scientifiche e per presentare il reale stato della situazione.
Scopriremo così che il mondo – pur con le sue contraddizioni e i suoi problemi – è in una situazione migliore di quella che ci viene normalmente descritta, ma che sono soprattutto il catastrofismo e le sue conseguenze che rischiano di non farci vedere o addirittura di peggiorare i reali problemi a cui rispondere, anzi aggiungendone di altri.
Dimostreremo inoltre che la diffusione di questi miti ambientalisti non è casuale, bensì il frutto di interessi e ideologie che vengono da lontano e che hanno come obiettivo finale la creazione di “un mondo nuovo”, tanto per citare l’opera di Aldous Huxley che nel 1932 immaginava un mondo sotto il pieno dominio dell’uomo, dove vigeva il Controllo mondiale e dove la stabilità era stata preferita alla libertà.
A lui e a quelli che come lui sostenevano il cammino verso questo “mondo nuovo”, nel 1935 rispose Gilbert K. Chesterton: “Nei tempi in cui Huxley, Herbert Spencer e gli agnostici vittoriani strombazzavano sulla famosa ipotesi di Darwin quasi fosse una verità definitiva, sembrò, a migliaia di persone semplici, praticamente impossibile che la religione potesse sopravvivere. Ironia della sorte fu che è sopravvissuta non solo a tutti costoro, ma che è la dimostrazione ideale (forse l’unica dimostrazione concreta) di ciò che chiamavano la sopravvivenza del più forte”.
Le parole di Chesterton sono più che mai attuali, e come il grande scrittore inglese siamo anche noi convinti che davanti ai problemi dell’umanità ci sia un punto di partenza più realistico e quindi più rispettoso dell’uomo e dell’ambiente, come vorremmo dimostrare con questo lavoro
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INTRODUZIONE al secondo volume
PER CENTRARE LA QUESTIONE
L’interesse suscitato da “Le bugie degli ambientalisti” ci ha spinto ad approfondire l’argomento a due anni di distanza, tanto più che l’ecologismo sta diventando sempre più il sistema che governa le relazioni internazionali, a cominciare dalla vita interna dell’Unione Europea.
Non c’è dubbio che ormai la nostra vita quotidiana si sta rimodellando sulla scorta degli allarmi per i cambiamenti climatici, ovvero per il riscaldamento globale, e tale questione è anche al centro delle relazioni internazionali. L’adozione del Protocollo di Kyoto con relativi impegni a ridurre drasticamente le emissioni di gas serra (1), a cominciare dall’anidride carbonica, ne è solo un esempio.
Si ricorderà anche il 7 luglio 2005, quando a Londra ebbe luogo il sanguinoso attentato terroristico nel metrò: nello stesso momento, non molto lontano, nella località scozzese di Gleneagles, i leader dei Paesi più importanti, riuniti nel vertice del G8, stavano affrontando proprio il tema dei cambiamenti climatici. E non a caso: ormai da tempo diversi gruppi ambientalisti e uomini politici amano ripetere che “i cambiamenti climatici pongono problemi di sicurezza nazionale maggiori che non il terrorismo” (2).
Come però abbiamo visto nel primo volume (3), le basi scientifiche su cui poggia questo impianto sono quanto mai discutibili, anche se viene spesso evocato “il consenso scientifico” riguardo alla responsabilità dell’uomo nei cambiamenti climatici e alle sue conseguenze catastrofiche.
In realtà, ha ricordato uno dei maggiori climatologi mondiali, Richard S. Lindzen (4), il consenso scientifico “esiste veramente (per quanto con alcune riserve)” solo su questi tre punti:
1. La temperatura media è sempre mutevole. Negli ultimi 60 anni a volte è aumentata e a volte è diminuita. Nell’ultimo secolo è aumentata probabilmente di una quantità compresa tra 0,6 e 0,15 gradi centigradi (°C). C’è stato quindi un moderato riscaldamento medio globale.
2. La CO2 è un gas serra e il suo aumento dovrebbe contribuire ad un aumento delle temperature. Un suo raddoppiamento aumenterebbe del 2% l’effetto serra (dovuto principalmente al vapore acqueo e alle nubi).
3. E’ possibile che le attività dell’uomo siano responsabili del recente aumento di CO2 sebbene altri fenomeni possano causare dei cambiamenti della CO2 (5)
Come si vede, non solo il consenso è su pochi punti di base, ma è anche pieno di condizionali. Ad esempio, precisa ancora Lindzen, affermare la possibilità di una responsabilità dell’uomo nell’aumento di CO2 non significa affatto che questo sia decisivo: “Non ci sono dubbi che l’influenza dell’uomo dovrebbe esistere, ma i livelli di questa influenza potrebbero essere impercettibili”.
Inoltre è assolutamente certo che gli stessi modelli matematici per la previsione del clima “non riescono a simulare correttamente gli effetti del vapore acqueo”, per cui i risultati a cui giungono sono necessariamente errati “di un intero ordine di grandezza maggiore rispetto a quello di un raddoppio della CO2
Secondo Lindzen, non ci sono basi scientifiche che giustifichino i continui allarmi, che hanno allora evidenti motivazioni politiche. L’adozione del Protocollo di Kyoto ne è una clamorosa conferma: “Qui infatti esiste un accordo scientifico rigoroso sul fatto che anche un completo rispetto degli accordi di Kyoto non avrebbe alcun impatto discernibile sul clima, indipendentemente da quel che si crede sul clima”(6).
Come nota un altro famoso climatologo, Craig Bohren, docente emerito della Pennsylvania State University, è difficile non essere scettici quando si nota che i maggiori propugnatori della tesi del riscaldamento globale sono gli stessi che non molto tempo fa agitavano lo spettro del raffreddamento globale.
“Il caso più clamoroso è quello di Steven Schneider: circa 30 anni fa era in prima fila a lanciare l’allarme per una imminente età glaciale. Allora la responsabilità era di particelle immesse nell’atmosfera dalle attività umane. Non c’è dubbio che qualsiasi saranno i cambiamenti climatici lui potrà dire correttamente di averlo previsto”(7).
Schneider, peraltro, è stato anche tra i consiglieri del presidente americano Bill Clinton, ma certamente non è stato l’unico “allarmista di professione”, dal raffreddamento al riscaldamento. Ad esempio Nigel Calder, celebre divulgatore scientifico, scrivena in un suo libro nel 1977: “Il pericolo di una nuova era glaciale risulta ora più minaccioso ed incombente di quanto gli esperti non avessero temuto pochi anni or sono” (8).
Gli esempi si potrebbero moltiplicare, basterà sinteticamente citare un esemplare articolo apparso sul settimanale americano Newsweek il 28 aprile 1975, dal titolo The cooling world (il mondo in raffreddamento). Il tono dell’articolo è lo stesso cui siamo ormai abituati oggi: “C’è ormai l’evidenza di cambiamenti drammatici del clima sulla terra e che questi cambiamenti porteranno a una drastica diminuzione nella produzione di cibo, con serie implicazioni politiche per quasi ogni nazione sulla terra”.
I cambiamenti sono evidenti, le conseguenze catastrofiche. E, ovviamente, l’articolo si premura di sottolineare che nella comunità scientifica “il consenso è pressoché unanime”. Stesse identiche frasi che sembrano riprese dai giornali delle ultime settimane, solo che allora si parlava della prossima età glaciale. Identico è però l’obiettivo: convincere l’opinione pubblica che ci saranno inevitabili catastrofi – il crollo nella produzione di cibo con conseguenti carestie, milioni di morti per fame e ovviamente guerre – a meno che non si intervenga in tempo con politiche ambientali mirate.
Ecco le previsioni su cui gli scienziati nel 1975 erano “pressoché unanimi”: “Entro dieci anni ci sarà un drastico calo nella produzione di cibo… Le regioni destinate ad accusare il maggiore impatto sono le grandi aree per la produzione di grano in Canada e nell’Unione Sovietica”.
Come è andata effettivamente? Basta spulciare fra le statistiche della FAO, l’organismo dell’ONU per l’agricoltura e il cibo: ebbene dagli anni ’70 a oggi il tasso annuale di crescita nella produzione di cibo si è mantenuto a livello mondiale intorno al 2,4%, mentre la produzione pro capite ha addirittura visto un incremento del tasso annuo di crescita dallo 0,7 all’1%.
E il grano? Tra il 1970 e il 2001 la produzione complessiva è aumentata del 62,4%, anche se c’è stato un rallentamento nel tasso annuo di crescita (dal 2,3 allo 0,8%). Addirittura per il Canada l’incremento ha superato il 70%, mentre le regioni dell’ex URSS hanno visto un incremento di appena l’8% (ma il problema nasce negli anni ’90 con i problemi economici e politici legati al crollo del comunismo, niente a che vedere con i cambiamenti climatici) (9).
Nessuna catastrofe dunque e – pare – nessuna età glaciale incombente visto che oggi gli allarmi puntano sul fronte opposto. Si ha la netta percezione che i cambiamenti climatici siano in realtà un pretesto per raggiungere altri obiettivi.
Quali? Per capirlo possiamo notare che c’è un minimo comune denominatore negli opposti allarmismi che ci martellano da oltre trenta anni: la richiesta urgente di limitare al massimo le attività umane o, per essere più precisi, limitare al massimo la presenza umana sia quantitativa sia qualitativa.
E’ questo anche il fondamento su cui poggia il concetto di sviluppo sostenibile (10). Le modalità previste per arrivare a questo scopo sono quindi due: il controllo delle nascite, essenzialmente nei Paesi poveri (limitazione quantitativa), e lo stop allo sviluppo, a partire dai paesi ricchi (limitazione qualitativa). Sono queste anche le strade maestre indicate dall’Agenda 21, la Magna Charta delle politiche ambientali approvata al primo Summit della Terra, ovvero la Conferenza Internazionale dell’ONU sull’Ambiente e lo Sviluppo tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992 (11).
La questione dei cambiamenti climatici e del Protocollo di Kyoto ha dunque molto più a che fare con la politica e l’ideologia che non con la scienza. Ma tale martellante propaganda ha anche l’effetto di falsare il nostro rapporto con la realtà.
Prima vittima è la nostra percezione della natura, facilitata anche dal fatto che il processo di urbanizzazione a livello mondiale (12) fa sì che sempre meno persone abbiano un’esperienza concreta e costante con il mondo naturale.
Per questo la prima parte del volume sarà dedicata alla comprensione della realtà della natura e dei fenomeni correlati. La seconda parte sarà invece principalmente dedicata al rapporto tra ambiente e sviluppo, dato che l’ideologia ecologista ha avuto successo nel modellare le politiche internazionali sull’assunto che lo sviluppo fa male all’ambiente.
Si tratta di un’affermazione profondamente sbagliata che potrebbe avere – questa sì – gravi conseguenze non solo per l’uomo, ma anche per l’ambiente. Proprio per questo nasce la necessità di riproporre dei criteri di fondo su cui basare la rinascita di un movimento che abbia al centro la persona – la sua unicità e la sua irriducibilità – come premessa per politiche ambientali realiste e utili. E sarà esattamente questo l’oggetto della parte finale del volume.
Note
1) I gas serra oggetto del Protocollo di Kyoto e soggetti quindi a un controllo di emissioni, sono sei: l’anidride carbonica (CO2), il metano (CH4), il protossido di azoto (N2O), i clorofuorocarburi (CFC), i perfluorocarburi (PFC) e l’esafloruro di zolfo (SF6).
2) cfr. http://www.worldwatch.org/node/77 e http://politics.guardian.co.uk/green/story/0,,1795489,00.html.
3) Cfr. R. Cascioli-A. Gaspari, Le bugie degli ambientalisti, Piemme 2004, pp. 75-86.
4) Professore di Sciente dell’Atmosfera al Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston.
5) Richard S. Lindzen, Alcune riflessioni di politica climatica, in 21mo Secolo – Scienza e Tecnologia, no.3-2005, pp. 3-
6) Ibidem, p.6
7) April Holladay, How to get to the bottom of the global warming debate, in USA Today, 7 agosto 2006, reperibile a questo indirizzo internet: http://www.usatoday.com/tech/columnist/aprilholladay/2006-08-07-global-warming-truth_x.htm
8) cfr. Nigel Calder, La macchina del tempo – Metereologia e glaciazioni, Zanichelli 1977.
9) cfr. FAO Statistical Yearbook 2004, disponibile online all’indirizzo: http://www.fao.org/statistics/yearbook/vol_1_1/index.asp.
10) cfr. R.Cascioli-A.Gaspari, Le Bugie degli ambientalisti, Piemme 2006, pp. 51-63.
11) Si leggano in particolare i paragrafi 4 e 5 dell’Agenda 21. Testo integrale a questo indirizzo internet http://www.unep.org/Documents.Multilingual/Default.asp?DocumentID=52
12) L’anno prossimo, secondo le statistiche della Divisione Popolazione delle Nazioni Unite, la popolazione urbana per la prima volta nella storia supererà quella rurale. All’inizio del 1900 solo il 10% della popolazione mondiale viveva in realtà urbane
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