La Verità 9 Ottobre 2024
Eolico e fotovoltaico non possono esserci senza gas o carbone. Ma l’Ue sogna energia 100% da rinnovabili
di Franco Battaglia
Quanto leggo titoli del tipo: «Rivolta contro la truffa green» o «L’auto elettrica non si vende», mi vien da sorridere. Era il settembre 2000 quando Maurizio Belpietro dirigeva il Giornale, ove Giancarlo Perna pubblicava un’intervista a piena pagina il cui titolo mi bollava come «l’ammazza verdi». L’intervista nasceva dal fatto che, sempre grazie alla lungimiranza del direttore mi ero mi erano stati pubblicati in quell’anno una dozzina di articoli ove segnalavo, appunto la truffa green che, è bene precisarlo, veniva perpetrata in tutti i settori ove gli ambientalisti mettevano le proprie mani, nessuno escluso. A riflettersi ora, viene da chiedermi se per caso lo facessero apposta o quale fosse la logica di quella pazzia.
L’anno successivo, venivo nominato coordinatore del comitato scientifico dell’Agenzia nazionale protezione ambiente, incarico che accettai alla sola condizione che potessi avere la libertà di formare io stesso il comitato, cosa che mi fu concessa per il 90% dei componenti. Eravamo 20 in tutto punto rammento solo alcuni nomi che, per una ragione o per l’altra, reputo noti ai lettori: I professori Carlo Pelanda, Gianni Fochi, Umberto Tirelli, ma posso assicurare che tutti – fisici, chimici, geologi, biologi, pediatri, oncologi – erano tecnici di prim’ordine e, soprattutto, tutti disposti a lavorare con un solo ordine d’ingaggio: dire pane al pane.
Producemmo nove rapporti su nove questioni ambientali al tempo sensibili. Al rapporto sul l’inquinamento atmosferico urbano scrivemmo: «Non bisognerebbe fare troppo affidamento sullo sviluppo delle auto elettriche» e, oltre, «una soluzione interessante sembra essere quella delle auto ibride». A quel tempo non c’erano auto né elettriche né ibride: la prima auto ibrida, la Toyota Prius, che era stata lanciata in Giappone nel 1998, sarebbe giunta in Italia nel 2004; quanto alle elettriche, hanno uno sfasamento di 8 anni in avanti rispetto alle ibride. Però, mentre queste contano, all’incirca, per il 10% nel mondo, le elettriche contano per l’uno percento punto
Tutto questo non per esclamare l’antipatico «l’avevamo detto», ma per interrogare con l’ancora più antipatica domanda «perché ci si rifiuta di vedere che il re è nudo?». A differenza di quella recente ibrida, l’auto elettrica risale a decenni prima di quella a combustione interna; nonostante ciò, ha vinto questa su quella e per motivi tecnici alcuni dei quali sono insormontabili di principio. Le auto elettriche moderne sono l’evoluzione della tecnologia delle auto elettriche del 1850: batterie a litio anziché al piombo, ma la tecnologia di base è la stessa. Così come l’illuminazione dei nostri locali non è, il risultato dell’evoluzione della tecnologia della candela, lo stesso il trasporto elettrico non sembra poter essere l’evoluzione delle auto elettriche di allora o di oggi.
Il cruciale ostacolo sono i tempi per il pieno: dell’ordine di ore quello dell’auto elettrica contro i minuti di quella benzina. Finché abbiamo petrolio e gas naturale, cioè benzina e metano, nessuno vuole l’auto elettrica. a meno che non gliela regalino e, comunque, abbia anche la necessaria e insostituibile auto convenzionale.
Nel suo editoriale di martedì, Maurizio Belpietro concede la possibilità che i venditori di petrolio e gas abbiano un conflitto di interessi nel promuovere l’auto a combustione interna perché, scrive il direttore, dopotutto «sarebbe come pretendere che chi produce occhiali facesse propaganda per la chirurgia refrattiva dell’occhio, che quasi restituisce la vista ai ciechi». In realtà, senza bisogno di sollevare questioni morali sul benessere dell’umanità, chi produce occhiali non ha nulla da perdere e, anzi, tutto da guadagnare dallo sviluppo di quella chirurgia: ha tutto da guadagnare perché essi stessi potrebbero averne bisogno e non ha nulla da perdere perché la stragrande maggioranza di chi non da 10 decimi di vista vi raggiungerebbe facilmente e senza rischi con un paio di occhiali.
Quello che stanno facendo gli ambientalisti e i capataz della Ue è, per restare quasi in metafora, proibire la produzione, la vendita e l’uso degli occhiali solo perché esiste la chirurgia refrattiva dell’occhio. Dico «quasi» perché il rapporto rischi/benefici è ben più basso in oculistica che nella motorizzazione.
Nel 2007 pubblicavo un libretto intitolato L’illusione dell’energia dal sole (oggi alla seconda edizione, 21esimo Secolo editore), con prefazione di Silvio Berlusconi, che è un compendio degli articoli che Maurizio Belpietro mi aveva pubblicato negli anni precedenti. Allora non si usava la locuzione «transizione energetica» ma era in voga il «sole che ride», promessa ultradecennale dei Verdi e mai da essi mantenuta non perché sono bugiardi ma perché sono ignoranti: altrimenti quel libretto avrei potuto titolarlo: «L’illusione della transizione energetica». Il direttore conclude il suo editoriale di martedì osservando che «codesta rivoluzione sembra più che altro un fallimento» e ponendo la domanda – più speranzosa che retorica – se a Bruxelles ci sarà qualcuno con un briciolo di senno. Io temo di no.
Perché le cose che scriviamo da oltre vent’anni non sono parto del nostro genio – non del mio, comunque, che ha i suoi forti limiti – ma dei nostri occhi, che ci fanno vedere un re nudo. Chiunque altro non può non vedere la stessa cosa, ma per qualche ragione i più hanno elogiato e stanno continuando a elogiarne i sontuosi vestiti. I petrolieri non hanno bisogno di difendere i propri interessi dagli attacchi di nessuno, perché la nostra civiltà è figlia del petrolio: senza petrolio la nostra civiltà sarebbe completamente diversa. Di più, il nostro benessere è figlio del petrolio: senza petrolio, niente benessere. I petrolieri sono ricchi perché noi, grazie al petrolio, siamo ricchi.
Ne scriverò più in dettaglio un’altra volta, ma al momento basti osservare solo che nessuna pala eolica o pannello fotovoltaico potrà mai esserci senza petrolio, gas e carbone. Ebbene, pochi giorni fa, lassù in quel di Bruxelles, Mario Draghi è stato applaudito quando ha declamato che «tutti noi vogliamo che la nostra energia sial al 100% dalle rinnovabili»: ecco perché nutro poche speranze.
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