Uccisi dai ragazzi di Bube

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Un prete assassinato dai partigiani

pubblicato su Avvenire del 9 marzo 2004

INCHIESTA/10-1 Lunigiana. Il caso dei preti «sacchettati»; mistero di una strage oscura

di Roberto Beretta

Il verbo usato era «sacchettare». Bastava un sacco di tela con dentro pochi pugni di sabbia e giù, tra il lusco e il brusco di un agguato in qualche strada fuori mano: il metodo non lasciava tracce sulla pelle, al contrario del manganello, e in più di un caso si rivelava letale a distanza di pochi giorni, poiché i colpi spappolavano fegato, polmoni, milza e reni del malcapitato. Quanti sono stati i preti «sacchettati» in Toscana durante la guerra? Don Luigi Grandetti è uno. Su di lui il famigerato sacchetto ha lasciato così poche tracce che egli non figura nemmeno negli elenchi ufficiali delle vittime della violenza comunista. Un po’ anche perché il suo assassinio arrivò fuori tempo, il 31 gennaio 1947.

Don Grandetti all’epoca aveva 71 anni ed era parroco alla Pieve di Offiano, frazione di Casola in Lunigiana (Ms); «Dal Pievano nessuno torna a mani vuote», si diceva la gente, riferendosi alla proverbiale generosità del sacerdote: soprattutto negli anni grami della guerra, quando anche gli sfollati da Carrara e dalla Spezia si aggiungevano alla lista dei bisognosi della zona.

Ma una sera in cui tornava dalla novena di Natale, il 17 dicembre 1946, il pievano (così dice la vecchia relazione manoscritta di un testimone) «fu assalito da tre individui che lo sacchettarono». Inoltre «gli furono infilati in bocca pezzi di vetro frantumati.

Non parlò più. Gli assassini volevano del denaro. Il 31 gennaio 1947 morì senza voler rivelare il nome di chi gli aveva fatto tanto male». Solo a un contadino fidato don Grandetti avrebbe detto chi erano i colpevoli, ma con l’impegno a non parlarne mai «per mantenere la pace in parrocchia». Sul certificato di morte il prete figura deceduto «per cancro allo stomaco»; e nota il memorialista: «Chi costrinse il medico condotto del tempo a dichiarare tale menzogna? Il medico obbedì perché erano anni tristi?

La malvagità umana non aveva limiti. La vita dell’uomo valeva quanto un fiammifero spento». Anche l’attuale parroco di Offiano, don Bernardo Marovelli, starebbe per escludere il motivo economico come causa del pestaggio mortale: «Furono dei partigiani che non gli avevano perdonato qualcosa avvenuta durante la guerra», sostiene; nello stesso tempo, però, distingue l’agguato notturno dalle cause della morte: «Don Luigi non è stato ucciso: è morto in canonica».

Anche per la nipote, che vive ancora in paese, lo zio è deceduto a causa di un tumore: miracolo dei «sacchetti», che – procrastinando il decesso – potevano far pensare a una morte naturale. Ma il metodo stesso denuncia la sua malizia, e la provenienza dei colpi. Anche a Cerignano presso Fivizzano (Ms), per esempio, don Pietro Maraglia fu «sacchettato» nell’ottobre 1947 e morì dopo parecchi mesi di agonia in ospedale.

Racconta un testimone molto lucido, che riporta le voci popolari e chiede di restare anonimo: «Quello di don Maraglia è un delitto rimasto impunito. Era la festa della parrocchia e don Maraglia aveva accompagnato il vescovo in pianura; al ritorno prese la strada più breve, attraverso un castagneto: lì lo aspettavano coloro che conoscevano bene le sue abitudini».

I micidiali sacchetti fecero il resto. «La scusa fu sempre la solita: una donna; si disse infatti che il prete era stato punito per avere mantenuto una relazione con una signora. Ma la pubblica opinione gli esecutori li ha sempre indicati nei partigiani comunisti; la ragione di quell’assassinio fu politica: anche qui si preparava il 18 aprile»