Dopo la scomparsa del “leader” repubblicano
La morte “laica” di Ugo La Malfa. Una breve biografia per comprendere il retroterra culturale, politico e “iniziatico” di uno dei protagonisti della storia dell’Italia contemporanea. I suoi legami con il “clan supercapitalista” e la sua opera di “riforma delle strutture” fondamentali dello Stato. Un laicista illuminato e preveggente che ebbe una parte significativa nella realizzazione del centro-sinistra e in quella, ancora formalmente incompiuta, del compromesso storico.
di Roberto de Mattei
Anche nel rituale della morte, i familiari, dunque, hanno voluto suggellare la scelta di una vita. Nel loro rifiuto sembra trasparire la orgogliosa consapevolezza dell’appartenenza di Ugo La Malfa a quella ristretta cerchia di insiders, di “iniziati”, che hanno nella Chiesa cattolica l’ultimo vero, profondo e radicale nemico.
Giorgio La Malfa, tra i pochi italiani, come il padre, a partecipare regolarmente alle sessioni semiclandestine del Bilderberg Club (3), conosce perfettamente questo “clan” (4), che ha le sue articolazioni nell’alta finanza bancaria, il suo insegnamento “sociale” nel socialismo fabiano e una meno conosciuta dottrina “iniziatica” nella tradizione teosofica e occultista. Gli ultimi veli sulla “affiliazione” di Ugo La Malfa a questo “clan”, che conta in Italia prestigiosi esponenti quali Guido Carli, Enrico Cuccia e Giovanni Agnelli, sono stati del resto squarciati nelle polemiche seguite al cosiddetto “caso Sindona” (5).
Ma la testimonianza migliore ci viene offerta, nella loro cruda esposizione, dai fatti di una vita: realmente la vita di un protagonista, una biografia che ci aiuta a leggere in filigrana, tra le pieghe riposte della storia dell’Italia contemporanea.
1. Alla “scuola” di Giovanni Amendola
L'”iniziatore” di Ugo La Malfa alla vita politica fu, nel 1925, Giovanni Amendola (6). La Malfa, nato a Palermo il 16 maggio 1903, aveva allora ventidue anni e frequentava l’università veneziana di Ca’ Foscari. Fu uno dei suoi professori, l’ex-deputato Silvio Trentin, a presentarlo ad Amendola. «La prima volta che lo vidi – racconta La Malfa – mi fece un’enorme impressione. Era un uomo di statura alta, dal viso severissimo, sembrava un pastore protestante» (7).
Amendola (8) – esponente del “rinnovamento” culturale italiano dei primi anni del secolo, prima di entrare nella vita politica e divenire il virtuale “capo” della opposizione aventiniana al fascismo – era stato segnato dalla esperienza teosofica e da grandi interessi verso il mondo massonico e occultista (9). Molti autorevoli “fratelli” avevano patrocinato il Mondo, il giornale fondato dallo stesso Amendola nel 1922, e avevano aderito alla Unione Democratica Nazionale, il movimento antifascista da lui successivamente creato (10).
L’esordio pubblico di Ugo La Malfa fu, appunto, un intervento al convegno dell’Unione Democratica Nazionale, svoltosi a Roma tra il 14 e il 16 giugno 1925. «Nel mio intervento – ricorda ancora La Malfa – parlai a nome dei giovani, esprimendo la convinzione di una lunga lotta che ci avrebbe impegnati per quasi tutta la vita» (11).
Amendola lo ascoltò «con viva soddisfazione e viva commozione» (12) e fece includere il giovane nella ristretta “pentarchia”, la direzione dell’Unione Democratica, incaricata di organizzare la opposizione al fascismo. Giovanni Amendola moriva, tuttavia, nel 1926. In quello stesso anno Ugo La Malfa era espulso per antifascismo dal Corso Allievi Ufficiali di Complemento.
Nel 1928 veniva ancora arrestato e condannato a tre mesi di carcere per avere cercato di dare vita a una organizzazione illegale. Questi precedenti non impedivano a Ugo La Malfa di entrare, nel 1930, in uno dei “santuari” del regime, l’Istituto della Enciclopedia Treccani diretta da Giovanni Gentile (13).
Nell’Enciclopedia è rappresentato un ventaglio di presenze che da “fascisti” come Ugo Spirito va a intellettuali “crociani” e comunisti. Una compresenza che non deve sorprendere, se si ammette che l’opposizione di fascismo e di antifascismo si presenta come quella di due momenti all’interno della stessa cultura immanentista, di cui Giovanni Gentile rappresenta, più dello stesso Croce, l’esponente più rigoroso e coerente (14).
Tre anni dopo, il giovane antifascista lasciava l’Istituto Treccani per entrare in uno dei gangli economici del regime: la “chiusissima” Banca Commerciale. Nel 1933, infatti, Ugo La Malfa veniva chiamato da Raffaele Mattioli all’Ufficio Studi della Comit a Milano, dove avrebbe passato gli anni decisivi della sua vita.
La Banca Commerciale si era costituita a Milano i1 10 ottobre 1894 con un capitale iniziale fissato in venti milioni, aumentabili a 50, sottoscritto e versato da un gruppo di banche internazionali (15). A capo della banca, che si era ben presto affermata in Italia per la sua potenza, il consorzio internazionale aveva messo due uomini di sua fiducia: Otto Joel e Federico Weil, cui tre anni dopo si era affiancato un giovane cugino di Joel, Giuseppe Toeplitz, ebreo proveniente dalla Polonia russa, destinato, nel 1917, a raggiungere il vertice dell’istituto.
Nel 1933, un uomo di fiducia dell'”onnipotente” (16) Giuseppe Toeplitz, Raffaele Mattioli (17), che fin dal 1925 lavorava alla segreteria della Comit, ne era diventato il successore. Fu Mattioli, dunque, ad assumere La Malfa. In quello stesso anno, Giovanni Malagodi (18), figlio di un noto esponente antifascista, diveniva condirettore centrale della Comit a Milano e riceveva in questa qualità il giovane La Malfa.
Tre anni dopo, appena ventiduenne, entrava all’Ufficio Studi della Banca Commerciale un altro giovane, destinato a rappresentare la “versione italiana della concezione keynesiana dell’economista tecnocrate“: Guido Carli. Alla Comit lavoravano, inoltre, altri due protagonisti della vita economica italiana: Enrico Cuccia e Cesare Merzagora.
Alla Comit, ricorda La Malfa, «cambiò completamente la mia vita. Cominciai a conoscere Keynes, quindi il pensiero economico americano e il New Deal, il laburismo il fabianesimo. Cominciai a valutare criticamente i problemi dell’economia italiana. Là alla Banca, c’era possibilità di conoscere quello che maturava nel mondo anglosassone» (19).
La Comit non fu solo una “Università segreta”, ma l’occasione di incontri decisivi per il giovane La Malfa, cui si aprirono gli orizzonti dell’alta finanza internazionale. In quegli stessi anni, da parte di un gruppo di discepoli di Gobetti e Amendola, era stata fondata Giustizia e Libertà.
La Malfa, tuttavia, non vi aderì. Il suo arco di contatti era più profondo e più vasto. Casa Mattioli, a Milano, ne costituiva il centro principale. «Quella casa era aperta proprio a tutti. Naturalmente erano tutti antifascisti, almeno per cultura» (20). I rapporti tra il gruppo milanese e gli antifascisti italiani che si erano rifugiati all’estero erano affidati a Enrico Cuccia, che utilizzava nei suoi viaggi la copertura delle missioni di affari (21).
2. L’inserimento nel “clan supercapitalista”
Allo scoppio della guerra il “clan” della Commerciale continua a mantenere i suoi stretti contatti con il mondo finanziario anglosassone. Al principio del 1942 il New York Times pubblicava una lunga analisi della situazione italiana, che contribuiva a pregiudicare le future sorti della monarchia.
Il documento era opera di Ugo La Malfa e Adolfo Tino, che avevano cominciato a imbastire la formazione di un nuovo “partito democratico”, il Partito d’Azione. «Nel ’42, io e Adolfo Tino – ricorda ancora La Malfa – preparammo un documento per Sforza, in cui mettevamo in guardia gli americani sul gioco della monarchia, che avrebbe tentato di salvarsi utilizzando il cosiddetto fascismo moderato e parte dell’antifascismo. Era il memoriale che noi facemmo arrivare in America via Portogallo, mandando a Lisbona un nostro amico, Enrico Cuccia, ora amministratore delegato della Mediobanca, perché lo consegnasse all’ambasciatore George Kennan. Il testo arrivò a Sforza e fu pubblicato sul New York Times » (22).
Ancora La Malfa e Tino sono gli autori dell’articolo di fondo del primo numero dell’Italia libera, uscito clandestinamente alla fine del 1942. «La scrivemmo io e Tino, per spiegare come confluiscono insieme tante componenti diverse: Giustizia e Libertà, una corrente repubblicana, i crociani-amendoliani, i sardisti e liberalsocialisti“. “Era enorme fatica metterli insieme. Comunque durante il periodo clandestino unificammo tutte queste correnti» (23). Al di là della confusione delle correnti, sta la chiarezza del programma per la “nuova Italia”, redatto da La Malfa e Tino. Si tratta di sette punti programmatici che il biografo di La Malfa così riassume:
«1) Regime democratico e repubblicano.
All’inizio del 1943, La Malfa è costretto a fuggire per sottrarsi all’arresto, che già ha colpito molti suoi collaboratori nel Partito d’Azione. A Bergamo, dove si è rifugiato, riceve l’invito di recarsi a Berna, dove lo aspetta un incontro decisivo. Il suo interlocutore è Allen Dulles, responsabile dell’Office of Strategic Services e insider di vecchia data (25).
«Ora La Malfa capisce tutto, sa chi tira i fili e dà gli ordini di movimento. Il colloquio con Dulles è lunghissimo. Situazione italiana, prospettive politiche immediate e remote. Dulles chiede a La Malfa quali siano i suoi piani immediati, dove intende recarsi. Si decide per Londra. L’operazione sarà preparata in pochi giorni: l’ingresso clandestino nella Francia occupata; là un aereo speciale lo avrebbe prelevato per portarlo in Inghilterra» (26).
Dopo il 25 luglio, La Malfa torna in Italia dall’Inghilterra con l’autorevole appoggio del “clan” al suo programma. A Roma vive in casa del principe Filippo Caracciolo (poi suocero di Giovanni Agnelli), che già lo ha ospitato clandestinamente in Svizzera.
L’8 giugno del 1944, quattro giorni dopo la liberazione di Roma, partecipa alla prima riunione non clandestina del CLN, al Grand Hotel. Accanto a Badoglio, affiancato da due suoi ministri, Croce e Togliatti, sedevano quel giorno, nel salone del Grand Hotel, tutti i protagonisti del CLN: La Malfa, Bonomi, Ruini, Nenni, Scoccimarro, Casati, De Gasperi, e il segretario Fenoaltea.
Il primo grande frutto di quell’esperienza fu, nel 1946, la caduta della monarchia. «Fare la rivoluzione istituzionale in Italia, con la presenza delle truppe alleate, con tanti guai – ha scritto la Malfa –, è stata, forse, la nostra più bella pagina di storia» (27) «Ma noi – aggiunge – non possiamo restare a queste nobili pagine. La repubblica presupponeva che si modificassero le strutture fondamentali dello Stato: politiche, economiche e sociali. Da democratico sincero, debbo dire che quel grande passo avanti fu fatto, ma gli altri devono essere iniziati o portati a compimento. Ed ecco le ragioni e il significato della nostra attuale battaglia» (28).
Una battaglia per modificare le strutture fondamentali dello Stato: questo il senso dell’operato di Ugo La Malfa nel trentennio repubblicano che seguirà. Nel 1946 si conclude la breve vita del Partito d’Azione. La sua “diaspora” produrrà fermenti pressoché in tutti i partiti rappresentati in parlamento. Ugo La Malfa sceglie di entrare nel Partito Repubblicano, in cui percorrerà una agitata carriera fino a divenirne, dopo il violento scontro con Pacciardi al congresso di Bologna del 1960, il segretario politico e il vero “dittatore carismatico”. La Malfa ha abbandonato la Banca Commerciale per dedicarsi completamente all’attività pubblica, e tuttavia il suo itinerario politico non può essere compreso senza tenere continuamente presente la fitta trama di relazioni culturali ed economiche che continuano a tenerlo legato al “clan supercapitalista”.
Nell’aprile del 1947 viene così designato a rappresentare l’Italia al Fondo Monetario di Bretton Woods. L’anno successivo si trova a capo della missione italiana inviata a Mosca per negoziare il primo accordo commerciale tra Italia e Unione Sovietica; nel 1948 è nominato vicepresidente del Fondo Monetario Internazionale; nel 1949 è membro effettivo dell’Assemblea Permanente Europea a Strasburgo. Inizia la sua partecipazione al Bilderberg, il “club” che dal 1954 riunisce in periodiche riunioni semi-clandestine gli insiders dell’alta finanza internazionale. Alla riunione che si terrà a Villa d’Este, in Italia, nel 1965, parteciperanno, tra gli altri, con Ugo La Malfa, Giovanni Agnelli, Guido Carli, Giovanni Malagodi.
Fin dal dicembre del 1945, quando De Gasperi, formando il suo gabinetto, gli ha affidato il ministero del Commercio con l’Estero, è iniziata intanto l’attività governativa di La Malfa. Sotto De Gasperi sarà nuovamente, più volte, ministro di questo dicastero; ma più importante è la sua pressoché continua presidenza delle commissioni Finanze e Tesoro della Camera dei Deputati, che gli permette di por mano alle agognate “riforme di struttura”, dalla riforma agraria alla liberalizzazione degli scambi, alla nazionalizzazione dell’energia elettrica.
Ma il grande momento di La Malfa fu nel 1962, quando si realizzò quel centro-sinistra cui, come egli stesso ci confessa, pensava fin dalla guerra (29). Il “clan”, anche in questo caso, fu tutt’altro che estraneo alla operazione (30).
Ugo La Malfa fu tra i più qualificati partecipanti di quel convegno, organizzato a Bologna nell’aprile del 1961 dalla rivista Il Mulino, su La politica estera degli Stati Uniti e la responsabilità dell’Europa, che segna l’atto di nascita non ufficiale del centro-sinistra (31).
Nel giugno di quell’anno, Fanfani va a Washington, dove ottiene il placet di Kennedy per l’operazione (32). Nel febbraio 1962 Arthur Schlesinger passa a Roma mentre Fanfani si appresta a varare il primo governo. «Un pomeriggio in casa di Tullia Zevi – racconta – parlai con Nenni, con La Malfa (il brillante leader del partito repubblicano), con Ignazio Silone e altri: la conversazione veniva ripetutamente interrotta dalle telefonate di Fanfani che voleva discutere con Nenni e La Malfa la composizione del governo» (33).
Nel marzo 1962, Fanfani presiede il primo governo di centro-sinistra, con l’appoggio esterno socialista. Al nuovo ministero del Bilancio è chiamato La Malfa, che reggerà l’incarico fino al giugno 1963. «In pochi mesi Fanfani e La Malfa sfornarono progetti a ritmo sostenuto: la nazionalizzazione delle industrie elettriche (le riunioni si tennero quasi tutte al Bilancio- vi partecipavano Carli (34), Lombardi, Colombo e gli esperti dei vari partiti); l’imposta cedolare d’acconto (fu Bruno Visentini, tra gli altri, magna pars della preparazione tecnica di questa imposta); il varo della commissione della programmazione economica» (35).
3. Dal centro-sinistra al compromesso, storico
Dal centro-sinistra al compromesso storico: in questa formula si può sintetizzare l’itinerario politico di Ugo La Malfa negli anni successivi, come attestano gli stessi comunisti, nella ricostruzione della sua biografia politica. «La Malfa infatti – scrive l’Unità –, intuisce sempre quello che può e che dovrebbe avvenire dopo. E’ lui che nel ’70 a una domanda: (“E’ accettabile domani, in un governo, un Amendola del Pci che porti solo riforme di struttura?”) risponde: “Senta: se le riforme di struttura di cui si parla rispetto al sistema, coincidono con quelle che noi riteniamo le linee entro cui un sistema può essere riformato, bene: è evidente allora che non si può avanzare una pregiudiziale”» (36).
«Dopo il 20 giugno ’76 sarà La Malfa il primo fra i vecchi “leaders storici” di parte tradizionalmente anticomunista, a dire che “il compromesso storico in Italia è ormai ineluttabile”. Ed è con questa lucidità – per quanto riguarda il futuro, sempre, più che per quanto riguarda il presente che La Malfa aveva dichiarato due anni prima, nel ’74: “Un governo riformatore potrebbe servirsi dell’opera del Pci, se il Pci avesse il coraggio di accettare il disegno di fondo di una società giusta e libera in tutte le sue conseguenze. Ma voglio dire questo: neppure con il Pci si può arrivare a niente, se viene a mancare l’energia morale. Incidentalmente dirò che durante l’antifascismo e la resistenza di tale energia ne ebbero in forte misura gli azionisti e i comunisti…”» (37).
A trent’anni di distanza dall’esperienza ciellenistica, conclusasi nel 1948, Ugo La Malfa, con Aldo Moro sembrano volere riannodare i fili di una collaborazione interrotta solo perché prematura e che ora ha trovato nel paese le condizioni sociali idonee alla sua completa maturazione. Così, all’indomani del rapimento dell’on. Moro, il 17 marzo 1978, il quadro ciellenistico si ricompone, con l’entrata ufficiale del Partito Comunista nell’area governativa.
Anche a questa operazione La Malfa diede il suo importante contributo, come i comunisti, gli riconoscono in memoriam. «Non era soltanto il “cemento” antifascista era qualcosa di più; una sua disponibilità al confronto fra i diversi atteggiamenti della ragione che lo spingeva i cercare la scintilla “laica” dovunque la intuisse in un cervello politico, fosse quello di Togliatti o Amendola, di De Gasperi o Moro. Per questo, per decenni, anche negli anni delle divisioni più aspre, i fili invisibili della parentela politica fra ‘1aici” non si spezzarono mai. E il colloquio, anche per merito di La Malfa, non si ridusse mai a un rapporto fra conventicole ma tentò sempre la dimensione più ampia, mirò ad acquisire al ragionamento ‘laico” perfino il mondo cattolico da strappare anch’esso al suo integralismo. In questo senso, c’è una connessione non secondaria tra le intuizioni di Togliatti e quella di La Malfa. Da punti di vista radicalmente opposti, entrambi sapevano – e lo dicevano – che la partita politica italiana, la storia di domani, era affidata alla capacità di creare un rapporto tra i filoni essenziali della società nazionale, quelli stabiliti non da questo o quel risultato elettorale, non da questa o quella formula di governo, ma dalla storia stessa della società» (38).
Alle soglie dell’ultimo passaggio del compromesso storico, l’entrata del Partito Comunista nel governo, senza poter assistere agli esiti ultimi della “partita politica italiana”, della “storia di domani”, si chiude tuttavia bruscamente l’avventura terrena di Ugo La Malfa.
Lo sguardo retrospettivo con cui, nel 1977, aveva concluso la sua intervista ad Alberto Ronchey, assume l’aspetto angosciato e amaro della confessione di un fallimento: «Rivivo la mia vita come guardando un lungo film. La giovinezza difficile in un’isola deserta. L’evasione verso il Nord, Ca’ Foscari, l’antifascismo e il fascismo a Venezia. L’incontro a Roma con Giovanni Amendola. L’Enciclopedia Treccani e il gruppo degli antifascisti. L’amicizia con Cattani, Fenoaltea, Gallo Granchelli, la casa di Ruini e gli incontri con De Ruggiero, Luigi Russo, Valgimigli. Il trasferimento a Milano e casa Mattioli, la fraterna amicizia con Adolfo Tino e poi, nella Comit, con Enrico Cuccia e Corrado Franzi. L’amicizia e la frequentazione continua di Ferruccio Parri, dei Damiani, di Bruno Quarta e di Morandi, della famiglia Bauer, di Ada Rossi. I viaggi a Roma, Napoli e Parrella. Uno straordinario viaggio con Mattioli, da Milano, attraverso Torino distrutta dai bombardamenti fino a Dogliani per vedere Einaudi. La costituzione del Partito d’azione, l’uscita clandestina del primo numero dell'”Italia libera” a Milano, Albertelli alle Fosse Ardeatine. La lotta contro la monarchia nel CLN. Il governo Parri e la scissionie del Partito d’Azione. La milizia nel Partito repubblicano. I governi De Gasperi e le visite al “Mondo”, il ricordo di Mario Pannunzio, la battaglia per il centro-sinistra e le delusioni. La crisi, i comunisti e il compromesso storico. Alla fine una grande amarezza. Ora osservo che non c’è quell’Italia che avevamo in mente» (39).
Con questo amaro bilancio, Ugo La Malfa si presenta di fronte a quel Dio che infallibilmente giudica secondo le opere e che separa, nel tempo e nell’eternità, i due partiti che ogni giorno si offrono: quello di Cristo e quello del mondo.
«Quello dell’amabile Salvatore sta alla destra, sulla salita, su di un sentiero angusto, sempre più ristretto dalla corruzione del mondo. Lo capeggia il buon Maestro che cammina a piedi scalzi, con la corona di spine sul capo, con il corpo tutto insanguinato ed oppresso da una pesante croce […]. A sinistra c’è il partito del mondo e del demonio, ed è più numeroso, più magnifico e, almeno nell’apparenza, più splendido. Vi accorre tutto il bel mondo; vi ci si accalca, benché le strade siano ampie e più che mai allargate dalla fiumana di gente che vi passa, e cosparse come sono di fiori, costeggiate da piaceri e divertimenti, lastricate di oro e di argento” (40).
Note
(1) “Non ci sono croci, né benedizioni. Quando la bara arriva davanti al Parlamento, la banda dei carabinieri intona le note della marcia funebre di Chopin. Ci sono tre squilli di tromba dell’attenti, rotti poi da un urlo: “Ugo! Ugo!” […] Si ‘respira’ quell’aria laica che esalterà poi Valiani (“la nostra laicità non esclude la consapevolezza della natura spirituale di quel che vi è di meglio nell’uomo: la sua ragione. I pensatori dell’antichità l’avevano già insegnato: l’individuo muore dopo aver vissuto e sofferto; lo spirito, con la ragione, si tramanda di generazione in generazione, subisce delle eclissi e rinasce’)“. (Il Messaggero, 29-3-1979). La Ragione, una rivistina massonica, così si esprimeva il 31-3-1961: “Ci sembra che un uomo politico emerga, su gli altri, sul quale i liberi pensatori possono fare assegnamento: l’On. Ugo La Malfa […] Diciamo da liberi pensatori che Ugo La Malfa è una grande speranza per la rinascita nazionale e che a lui si deve guardare con piena assoluta fiducia” (cit. da ROSARIO F. ESPOSITO, La massoneria e l’Italia dal 1800 ai nostri giorni, Edizioni Paoline, Roma 1969, p. 405). Dalle pagine di tutta la stampa italiana si è levato il corale omaggio del “mondo” a Ugo La Malfa, padre, protagonista e simbolo della Repubblica italiana nata dalla Resistenza. L’apex è stato forse toccato dal Requiem per La Malfa (“l’uomo che per venticinque anni ha parlato esclusivamente in nome dell’Interesse Generale“) di Eugenio Scalfari su la Repubblica del 29-3-1979: “Nel suo “lamento” funebre in memoria di Ugo La Malfa, Amendola ha detto, parlando di sé, che si augura una morte laica, silenziosa, quasi solitaria. Ebbene quella di Ugo tutto è stato fuorché questo: è stata una morte solenne, una morte beethoveniana, una morte di Stato. E così doveva essere. La ragione è semplice da spiegare: La Malfa era lo Stato, era la Repubblica. Un funerale privato, una morte privata, per chiunque sarebbero stati concepibili tranne che per lui“.
(4)
(6) “Suo maestro ideale, suo “idolo” in quegli anni giovanili fu Giovanni Amendola” (l’Unità, 27-3-1979). “Chi volesse cercare l’ascendenza politica più autentica di La Malfa dovrebbe soffermarsi sulla personalità e sulla battaglia politica di Giovanni Amendola” (SERGIO TELMON, La Malfa, Longanesi, Milano 1971, p. 15).