La “comunità scientifica” dice che i feti di 24 settimane non vanno rianimati (poi si ricrede)
Francesco Agnoli
I suoi maestri sono maestri anche oggi: Nietzsche, rispolverato a sinistra, complice la traduzione edulcorata, “musicale”, di Colli e Montinari, in cui, come spiega Domenico Losurdo, la parola “casta” diventa “classe”, “allevamento” diviene “educazione” e “trattamento dei malati”, con significato eugenetico, diventa “cura dei malati”.
L’altro nume è Darwin, con l’accolita dei suoi parenti, e le sue considerazioni: “Noi uomini civilizzati facciamo di tutto per arrestare il processo di eliminazione; costruiamo asili per pazzi, storpi e malati; istituiamo leggi per i poveri e i nostri medici esercitano al massimo la loro abilità per salvare la vita di chiunque all’ultimo momento. Vi è motivo per credere che la vaccinazione abbia salvato un gran numero di quelli che per la loro debole costituzione un tempo non avrebbero retto al vaiolo. Così i membri deboli delle società civilizzate propagano il loro genere. Nessuno di quelli che si sono dedicati all’allevamento degli animali domestici dubiterà che questo può essere altamente pericoloso per la razza umana. E’ sorprendente quanto presto la mancanza di cure, o cure non appropriate, porti alla degenerazione di una razza domestica, ma eccettuando il caso dell’uomo, è raro che qualcuno sia così ignorante da permettere che i propri peggiori animali si riproducano…” (“L’origine dell’uomo”).
Effluvi di questo pensiero ci raggiungono, in questi giorni, con le dichiarazioni di un gruppo di medici, affiancati da Mauro Barni, bioeticista, ed Edoardo Boncinelli: costoro, presentatisi o presentati da Repubblica del 2 febbraio come “la comunità scientifica” per eccellenza, hanno solennemente dichiarato la loro contrarietà, sempre, a priori, e senza distinguo, a rianimare i feti di 22-23 (e spesso 24) settimane.
Come prima mossa, si sono appropriati del diritto di vita o di morte: “Il neonato – ha spiegato il Barni – ha diritto a nascere sano, o… a non nascere: la decisione spetta solo al medico, i genitori non sono padroni della vita del nuovo nato”. Poi hanno emesso il dogma: “Che la vita umana inizia alla e a partire dalla 24a settimana di gestazione è una concreta realtà, la conferma scientifica che l’embrione non è persona umana ma un piccolo numero di cellule indifferenziate, privo delle attività cerebrali necessarie per interagire con l’ambiente e pensare”.
Si chiede il profano: cosa succede di particolare alla 24a settimana? Cosa si intende per interagire con l’ambiente? Forse la capacità di scalare le montagne, o di prendere il treno? Non è ambiente quello materno, in cui l’embrione dialoga con la madre, sia biologicamente che psicologicamente?
“Lontano dall’essere un ospite inerte – scrive un insospettabile, Carlo Flamigni – il feto svolge un ruolo attivo nell’andamento della gravidanza, controlla vari aspetti del suo sviluppo ed è capace di rispondere a vari stimoli uditivi, visivi e tattili provenienti dall’ambiente esterno. Alcuni psicologi parlano di ‘personalità’ del feto prima della nascita. (…) In base quindi al presupposto che il feto possa essere cosciente, consapevole e capace di memoria, è anche stato ipotizzato che le esperienze che vive durante il periodo prenatale possano influire sullo sviluppo della sua emotività e sulla sua mente” (“Avere un bambino”, Mondadori).
Ma dove sta il “bello”? Che la sedicente “comunità scientifica” è stata in breve subissata dalle proteste di tanti genitori, e di ben 250 ostetrici, neonatologi e pediatri, e ha dovuto fare repentina retromarcia sul Corriere del 26 febbraio: “Non si devono rianimare i bambini sotto le 21-22 settimane”. Lapalissiano!
Sotto quella data, infatti, mai nessuno tenta di farlo! Il grillo parlante concluderebbe così: perché tanti prematuri in più, oggi? Si sa, a causa della fecondazione artificiale, nonostante la legge 40, che rimane, evidentemente, troppo permissiva.