di Gabriele Colombini
La mattina del 20 giugno 1459 Stefano Tomaševic, despota di Serbia, assediato dalle armate turche di Maometto II il Conquistatore dentro la città di Smederevo, scese a patti con l’invasore e consegnò la fortezza in cambio della vita. Nella memoria popolare questa data è rimasta a significare la fine simbolica dello stato medievale serbo.
Sola entità territoriale balcanica ancora formalmente indipendente in quell’anno rimase il ducato di Erzegovina, retto dal suo fondatore Stefano Vukcic-Kosaca, vojvoda di Hum e primo duca di san Sava. Al momento della sua massima estensione il confine di tale stato partiva dalla città dalmata di Omiš ad ovest, a poche miglia da Spalato, risaliva il corso della Cetina e da lì, seguendo una linea quasi retta ovest-est raggiungeva il monastero di Mileševa, luogo in cui riposavano le spoglie di san Sava, primo patriarca della Chiesa ortodossa serba. Il confine verso sud inglobava Bijelo Polje, sede dell’acivescovo erzegovino e finalmente, con un lungo arco est-ovest, si chiudeva su Heceg-Novi, alle Bocche di Cattaro.
Nonostante la sua notevole estensione ben poco poté resistere all’avanzata turca e, sebbene strenuamente difeso da Stefano prima e dai suoi figli poi, il ducato fu interamente conquistato nel 1483.
Ma la storia del ducato di Erzegovina parte da molto lontano ed importante è il suo posto nella storia dei regni serbo e bosniaco.
Il primo a darci notizie di questa terra è l’imperatore Costantino VII Porfirogenito (905-959) che, nel suo De Administrando Imperio, ricorda come i popoli Serbi e Croati giunsero all’interno dell’impero bizantino al tempo dell’imperatore Eraclio (610-641), il quale concesse loro le terre che più o meno occupano adesso. A quanto ci dice Costantino faceva parte del popolo serbo la tribù degli Zachlumi (i proto-erzegovini), stanziatasi da subito ad est del fiume Narenta, l’odierna Neretva, proprio alle spalle della città di Ragusa (Dubrovnik).
La zupa di Zachlumia (erano dette zupe, e lo sono ancora oggi, le circoscrizioni territoriali) godette sin dall’inizio di vita propria, anche alquanto bellicosa, tanto che nel IX secolo Bisanzio si avvalse dell’aiuto dei suoi abitanti quando, nell’869, liberò Bari dall’occupazione musulmana.
Intanto, grazie all’opera di Cirillo e Metodio, le popolazioni serbe vennero nuovamente cristianizzate (lo erano state superficialmente nel VII secolo), ed abbiamo notizie di una Chiesa di Zachlumia sin dall’877 quando a Stagno venne istituita la sede vescovile, per circa mezzo secolo sottoposta al metropolita di Doclea. Dal 925 passò sotto Spalato e la Chiesa latina probabilmente per volontà dello zupan Michele Visević, energico sovrano alleato della potente Bulgaria di re Simeone.
Ben presto nella storia dell’XI secolo presero il sopravvento gli župani di Zeta e di Rascia (più o meno l’odierno Montenegro e Serbia meridionale), la fusione delle cui terre e la conquista di Zachlumia e zone limitrofe dette vita, di lì a poco, allo stato medievale serbo di Stefano Nemanja.
La Zachlumia rimase parte integrante del regno di Serbia fino al XIV secolo, tornando a gravitare nell’influenza della Chiesa ortodossa dal 1198, da quando, cioè, lo zupan Miroslav ebbe dei contrasti con l’arcivescovo di Spalato: lo uccise e spostò il vescovo di Stagno a Bijelo Polje, sul Lim, dove fondò la chiesa di san Pietro e Paolo.
Intanto, sin dai primi anni dell’XI secolo, una nuova entità territoriale stava aggregandosi all’interno dello stato dei Nemanja, la Bosnia. Prima sottoposta alla corona serba, poi a quella ungherese, quindi a quella bizantina, nel 1180 iniziò il suo cammino di indipendenza, guidata dai propri bani, e tale rimase nonostante le accuse di eresia che la perseguitarono per tutto il medioevo. Nel 1377 il ban Tvrtko I, assoggettata la Zachlumia (che dal XII secolo appare nelle fonti come Hum), assunse la corona reale.
Una volta finita sotto i re di Bosnia l’Hum poté avvalersi della guida di valorosi vojvoda, come Sanko Miltenović, Vlatko Vukovic e Sandalj Hranic. In particolare quest’ultimo, uomo di eccezionale abilitŕ politica, nel 1424 fece sposare il nipote Stefano con Elena Balšic, della casata del Montenegro, cosicché, alla morte dello zio, Stefano si trovň padrone del potente stato che abbiamo descritto sopra, nel momento della sua massima espansione.
Quella di Stefano fu un’etŕ estremamente difficile, caratterizzata da un caos di popoli, politiche e religioni come mai si era avuto, nemmeno all’epoca delle migrazioni slave. Tanto per rimanere all’interno dell’Erzegovina basti notare come ad ovest della Narenta vi fosse popolazione cattolica, nelle zone del Lim e della Drina si seguiva la fede ortodossa, mentre nella zupa di Dracevica ci si sposava e divorziava secondo il costume della Chiesa di Bosnia, eretica.
Lo stesso Stefano apparteneva a questa confessione, ed è curioso rilevare come egli, che si serviva di ambasciatori del suo stesso credo, vassallo ad un tempo del re d’Ungheria e dei Turchi, sposato con una donna ortodossa, venne insignito da Alfonso di Napoli dell’Ordine della Vergine Maria.
Il fatto è che ogni sovrano balcanico di quel tempo doveva sopravvivere in mezzo ad equilibrismi politici incredibili ed essere capace di compiere i voltafaccia più sfrontati, tanta era la pressione che, ben dentro il ‘400, esercitavano ormai i due colossi dominanti la regione: l’Ungheria e l’impero ottomano. Tanto più che anche la vita economica dell’Erzegovina non era mai stata delle più semplici.
L’agricoltura prosperava solo all’interno dei polje, le caratteristiche depressioni fertili delle regioni calcaree ed altrove era poco più che sussistenza; le planina, i verdi altopiani balcanici, permettevano una florida attività di allevamento di bestiame e produzione casearia e conciaria, ma spesso i capi al pascolo erano di proprietà delle ricche città della costa come Ragusa; ed era sempre a Ragusa che facevano capo le enormi carovane di metalli, frutto delle miniere serbe e bosniache, che attraversavano i territori del duca di san Sava, sprovvisti di tali risorse, pagando soltanto il dazio sul transito, ma che non doveva comunque essere eccessivo, a rischio di sollecitare le proteste ragusee e, indirettamente, veneziane, dato che la città lagunare controllava attentamente tutti i traffici dall’interno verso la costa e non solo.
Fatto sta che Stefano Vukcic-Kosaca si muoveva bene nel mondo in cui viveva e, cercando di trarre vantaggi come sempre, grazie ad un avvicinamento all’imperatore Federico III, riuscì a mutuare il titolo di vojvoda, che dava sempre un’idea di qualcosa di “locale”, con quello più “universale” di duca; quindi cercò di rafforzare la discendenza facendo sposare la figlia Caterina con il re di Bosnia Stefano Tomaš nel 1445.
Contrasti economici con Ragusa lo costrinsero sulla difensiva di fronte ad una nutrita lega che coinvolse anche un suo figlio; ma ormai l’onda lunga ottomana stava arrivando e le cadute di Bosnia e Serbia, citate sopra, erano alle porte. Maometto II sfruttò finché volle Stefano Vukcic-Kosaca in chiave anti-veneziana, quindi dette il via alla conquista dell’Erzegovina.
Il 21 maggio 1466, assediato nel castello di Novi, Stefano Vukcic-Kosaca, duca di san Sava e fondatore dell’Erzegovina, ammalato, volle comporre il testamento. Il giorno dopo morì. La regina Caterina di Bosnia, figlia di Stefano e vedova del re di Bosnia Stefano Tomaš, era già fuggita l’anno precedente a Roma, dove morì nel 1478 ed in seguito beatificata.
I figli di Stefano continuarono a combattere sino al 1483, dopodiché due fuggirono a Ragusa; il terzo si convertì all’Islam con il nome di Ahmed beg Herzegovic ed il figlio, con lo stesso nome, ben meritò nella battaglia di Lepanto.
La memoria del duca di san Sava rimase comunque viva nelle popolazioni cristiane ed una leggenda ricorda che un giorno le aquile del castello di Stepanograd si trasformeranno in cavalieri, le colombe in fanciulle e dalle chiese si leveranno inni di gloria: allora torneranno i duchi di san Sava.
Bibliografia essenziale:
Cirkovic Sima, Serbi nel Medioevo, JacaBook, Milano 1992;
Ostrogorsky Georg, Storia dell’impero bizantino, Einaudi, Torino 1993;
Costantino Porfirogenito, De Administrando Imperio, Ed. Gy. Moravcisik, Trad. ingl. R.J.H. Jenkins, Washington 1985.
* * *
Di tutte le regioni che vennero popolate durante la migrazione slava del VII secolo, la Zachlumia è l’unica con la strana caratteristica di aver cambiato nome addirittura alla metà del ‘400.
Come ci informa Costantino Porfirogenito, gli abitanti di tale terra «furono chiamati Zachlumi da un cosiddetto monte Chlumos, e perciò nella lingua degli Slavi Zachlumi significa “dietro la montagna”».
Si continuò ad usare il termine Zachlumia per tutto l’alto medioevo, fino a che, nell’XI-XII secolo appare la dizione Hum (letteralmente “monte”) che rimarrà sino al XV secolo.
Nel 1448 Stefano Vukcic-Kosaca abbandonò il titolo di vojvoda ed assunse quello di duca. Una tradizione quasi leggendaria, maturata probabilmente in ambiente romantico, vuole che il titolo gli fosse conferito dall’imperatore Federico III, che Stefano riconobbe come re d’Ungheria. Più probabilmente il tutto fece parte di una mossa politica tesa a riavvicinare l’Ungheria e la Chiesa cattolica. Dato che poi, nei territori controllati dal duca, sorgeva il monastero di Mileševa, in cui erano custodite le spoglie di san Sava, aggiunse anche questa dicitura al titolo, strizzando l’occhio al mondo ortodosso.
Siccome la parola tedesca per duca è herzog, slavizzata in herceg, da allora le terre di Stefano furono dette Erzegovina