La Croce quotidiano 7 dicembre 2016
Spuntano nel IV Piano Nazionale per l’infanzia e l’adolescenza del Governo, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 15 novembre scorso, le “famiglie omogenitoriali” e la solita strategia di identificare nei genitori i principali nemici dei “diritti dei bambini”. Eppure onorare i diritti dei bambini dovrebbe essere diritto-dovere dei genitori: «Per primi essi sono chiamati a rispettare la vita dei loro figli, a nutrirli, curarli, educarli»
di Giuseppe Brienza
Il 15 novembre è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, dopo l’approvazione avvenuta il 10 agosto 2016 dal Consiglio dei Ministri, il “IV Piano biennale nazionale di azioni e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva”, valido per il biennio 2016-2017 (Roma 2016, pp. 103). Frutto del lavoro coordinato del Dipartimento per le pari opportunità con l’Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile, esso prevede i seguenti quattro “obiettivi tematici” per le prossime politiche pubbliche in materia: A. contrasto della povertà dei bambini e delle famiglie; B. Servizi socio educativi per la prima infanzia e qualità del sistema scolastico; C. interventi per l’integrazione scolastica e sociale; D. sostegno alla genitorialità, sistema integrato dei servizi e sistema dell’accoglienza.
Fin qui nulla di male. Per l’individuazione delle priorità di intervento del Piano, però, si parte da un’analisi dei bisogni dell’infanzia (cfr. il cap. 3, intitolato “Il contesto di riferimento”, pp. 7-22), nella formulazione dei quali iniziano invece i problemi. Non appena comincia infatti la solita filippica sui “mutamenti morfologici della famiglia italiana”, i quali non implicherebbero «un peggioramento delle relazioni e dei legami familiari, ma certamente un loro riposizionamento alla ricerca di nuovi equilibri» (andatelo a spiegare ai 65.064 figli minorenni che sono stati affidati a uno solo dei due genitori separati nel 2012 – di cui il 54,5% sotto gli 11 anni – ed ai 22.653 bambini vittime dei divorzi nello stesso anno – 32,1% sotto gli 11 anni -), si introduce subito una valutazione ideologica filo-Lgbt.
«Nel nostro Paese – si scrive nel Piano – ha sempre più senso parlare di differenti modelli di famiglie quali soggetti delle politiche pubbliche per l’infanzia, come effetto dei processi prima accennati, della rottura dei legami di coppia, ma anche dell’emergere di nuovi modelli familiari incentrati sulla scelta volontaria della maternità single e sulla formazione di nuclei familiari con figli a partire da legami di coppia omosessuali, le cd famiglie omogenitoriali, oggi una presenza sempre meno rarefatta specialmente nei grandi centri urbani» (p. 10).
Una presenza “sempre meno rarefatta”? E come mai in un documento pieno di numeri e di tabelle questa affermazione, invece, rimane apodittica e non trova riscontri in dati precisi? Forse perché, l’unico numero reale è quello certificato dall’ISTAT: le coppie dello stesso sesso rilevate in Italia dal censimento 2011 è di 7.591 unità. Cosa sono a fronte dei 17 milioni di famiglie che, secondo i dati dello stesso censimento, esistono in Italia?
Il problema di questo IV Piano, allora, è quello di tutti (o quasi) i documenti sull’infanzia provenienti nell’ultimo ventennio da Istituzioni pubbliche nazionali e internazionali: si parla di bambini ma la famiglia non è coinvolta! In quest’ultimo “documento ufficiale” italiano, ad esempio, per trovare la prima volta in cui si menziona la parola “famiglia” non in termini problematici, o di povertà, violenza etc. bisogna arrivare alla p. 23, e di sfuggita (quando si parla di valutare le politiche minorili e per le famiglie a livello nazionale e regionale, al fine di garantire, «ai minorenni e alle famiglie», «l’unitarietà dei processi di valutazione, progettazione e intervento e la loro qualità»).
Come ribadito di recente dall’ex senatrice ed europarlamentare francese Marie-Thérèse Hermange, autrice nel 1999 di un circostanziato Rapporto approvato dal Parlamento Europeo sulla protezione della famiglia e dei bambini, sulla protezione dell’infanzia e sui “diritti dei bambini” si fronteggiano ormai due concezioni: una riconosce nei genitori i primi garanti naturali di questa protezione e dei relativi diritti (concezione oggi minoritaria nei Governi occidentali e nelle maggiori Istituzioni internazionali), l’altra «tende a privare i genitori delle loro responsabilità e mira a trasferirle a istanze pubbliche o ai delegati di queste ultime» (voce “Diritti dei bambini”, in Pontificio Consiglio per la Famiglia, Lexicon. Termini ambigui e discussi su famiglia, vita e questioni etiche, EDB, seconda edizione ampliata, Bologna 2006, p. 219).
L’ultimo Piano nazionale italiano sulla condizione e le politiche per i “soggetti in età evolutiva”, dopo aver acquisito come gli altri precedenti tre il previo parere obbligatorio della Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza, è stato approvato dal Consiglio dei ministri e, addirittura, adottato con decreto del Presidente della Repubblica. Le istituzioni pubbliche destinate, direttamente o indirettamente, ad occuparsi dei “diritti dei bambini” nel nostro Paese si sono moltiplicate nel nostro Paese.
La legge 451 del 1997 ha istituito, oltre alla “Commissione parlamentare per l’infanzia”, anche un “Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza”, presieduto congiuntamente dai Ministri del lavoro e delle politiche sociali (attualmente Giuliano Poletti) e da quello “senza portafoglio” per le politiche della famiglia (Enrico Costa) che, appunto, fra i suoi tanti compiti più o meno di ordine burocratico, ha anche quello di predisporre il “Piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva”.
Si tratta di un “documento ufficiale” relativo alla situazione, alle esigenze ed alle politiche da rivolgere all’infanzia e all’adolescenza, elaborato ogni due anni con l’obiettivo di identificare le priorità dei programmi pubblici riferiti ai minori. Poi abbiamo ad esempio la Garante per l’infanzia e l’adolescenza, attualmente Filomena Albano, la quale ha commentato entusiasticamente il “documento ufficiale” governativo, «un provvedimento – ha scritto in una Nota – che l’Autorità garante attendeva e sollecitava da tempo, da ultimo con una nota inviata lo scorso 5 agosto a tutte le amministrazioni interessate».
A livello internazionale, pure, non mancano le varie Agenzie e organismi, a cominciare dall’Unicef, il cui rappresentante italiano, Giacomo Guerra, presidente di Unicef Italia, non a caso ha subito espresso un giudizio più che positivo sul IV Piano nazionale, «che attendevamo da tempo e che, insieme ad altre associazioni, avevamo sollecitato».
Non mancano, certo, alcuni aspetti positivi in questo documento, come ad esempio ho personalmente apprezzato molto l’attenzione per i bambini e adolescenti che, in Italia, «non hanno la possibilità di crescere attraverso lo sport, il contatto con la bellezza e la cultura» (p. 32). Ce ne sarebbero anche di altri ma, nel complesso, si tratta di elementi secondari, perché anche in questo IV Piano nazionale si sbaglia “prospettiva di lavoro”: le famiglie non sono le “nemiche” dei diritti dei bambini, ma le protagoniste, le “titolari” di questa imprescindibile missione!
Del resto si tratta di una tendenza che viene da lontano, come ha rilevato in uno splendido ed istruttivo libro la direttrice dell’Istituto interculturale “Dialogue Dynamics” di Bruxelles, Marguerite Peeters. La prof.ssa Peeters, che è tra i massimi studiosi mondiali di popolazione e famiglia, ha infatti ricordato come lo stesso termine “madre” sia «assente nella “Convenzione sull’Eliminazione di ogni Forma di Discriminazione contro le Donne” (CEDAW), adottata dall’Assemblea generale dell’ONU il 18 dicembre 1979, cioè nel trattato che avrebbe dovuto essere maggiormente incentrato sulla maternità. È presente soltanto una volta nella Convenzione sui Diritti dell’Infanzia (CDI) dello stesso anno. E la parola “padre” è assente in tutti i trattati sui diritti dell’uomo» [Il gender. Una questione politica e culturale, con Prefazione del Card. Robert Sarah, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2014, p. 66].
Insomma, come la già citata Marie-Thérèse Hermange non smette di ripetere, onorare i diritti del bambino dovrebbe innanzitutto essere diritto-dovere dei genitori: «per primi essi sono chiamati a rispettare la vita dei loro figli, a nutrirli, a curarli, educarli. Oggi, invece, si osserva una tendenza a privare i genitori della protezione che devono garantire ai figli. I figli avrebbero cioè diritto a una libertà individuale tale che dovrebbero essere protetti contro il diritto e il dovere che i genitori hanno di vigilare sulla loro educazione» (Pontificio Consiglio per la Famiglia, Lexixon…, op. cit., p. 219).
Eppure, come si legge nella nota della Presidenza del Consiglio dei Ministri pubblicata subito dopo l’approvazione del IV Piano nazionale, «la decisione del Governo ha recepito e inteso dare valore alle indicazioni derivanti dalle osservazioni conclusive all’Italia da parte del Comitato Onu sui diritti del fanciullo, agli esiti del Terzo Piano di azione e alle priorità emerse nel corso della Quarta Conferenza nazionale sull’infanzia e l’adolescenza (Bari, 27 e 28 marzo 2014)».
Anche per questo IV Piano nazionale di prevenzione e contrasto dell’abuso e dello sfruttamento sessuale dei minori 2015/2017, quindi, leggiamo il riflesso dell’obiettivo recente perseguito dai Poteri Forti, nazionali e internazionali: «decostruire le relazioni binarie che caratterizzano la natura, le relazioni umane così come sarebbero costruite, la realtà politica o il regime moderno: governante-governato, dominante-dominato, superiore-inferiore, uomo-donna, maschio-femmina, bianco-nero, professore-alunno, colonizzatore-colonizzato, Occidente-resto del mondo, ricco-povero, maggioranza-minoranza, eterosessuale-omosessuale, primogenito-ultimogenito, noi-“gli altri”, credente-ateo, colto-ignorante, uomo-ambiente, genitori-figli, nazionale-straniero, chierico-laico e così di seguito. La postmodernità, neomarxista, dice di queste relazioni binarie che incarnano altrettanti regimi di oppressione dei più forti sui più deboli. Arriva a dichiarare che qualunque “confine identitario” è oppressivo» (M. Peeters, Il gender. Una questione politica e culturale, op. cit., pp. 108-109).