Andrea Bartelloni
La grancassa mediatica aveva risuonato come non mai nel maggio scorso per annunciare che finalmente era stato trovato il tanto ricercato e atteso anello di congiunzione tra i primati e l’uomo.
“L’annuncio è stato fatto in grande stile al Museo di Storia Naturale di New York. Toni trionfalistici: secondo Jorn Hurumdell’università di Oslo, che per due anni ha guidato lo studio condotto in grandissimo segreto, Ida è per i paleontologi quello che «l’arca perduta è per un archeologo», un fossile è così importante che «sarà riprodotto sui libri di testo per i prossimi cento anni».La presentazione del Darwinius masillae – questo il nome scientifico – ha coinciso con la pubblicazione di una accurata descrizione del fossile sulla rivista online Public Library Science (Plos) e l’uscita di un documentario sull’History Channel”.
Questo è quanto si poteva leggere su Il Sole 24 Ore del 20 maggio 2009, ma dopo pochi mesi su Nature si poteva leggere della scoperta, in Egitto, di un fossile datato a 37 milioni di anni fa che mette fuori dalla linea di discendenza degli umani Ida e la inserisce tra i lemuri, dove, qualsiasi occhio non rivestito dall’ideologia evoluzionista, lo aveva già collocato.
Niente di strano, gli anelli mancanti (se si chiamano così ci sarà pure un motivo) continuano a mancare; ovviamente la grancassa mediatica tace, nessuna notizia nei telegiornali, ma solo le riviste specializzate e Le Scienze (dicembre 2009, pag. 49) alla quale dobbiamo riconoscere l’onestà di riferirci questa notizia.
Notizia che ha ovviamente scatenato il dibattito tra gli esperti che non si rassegnano. Ma rimane il fatto che i media hanno dato solamente la prima notizia con clamore e del resto niente.