Un creato senza Creatore?

da Il Corriere del Sud 17 Marzo 2011

di Cosimo Galasso

Lo scorso 2 Settembre 2010, l’Agenzia Reuters, seguita, a ruota, dalle altre Agenzie internazionali pubblicava, un comunicato stampa destinato a stupire ed immediatamente diffuso in tempo reale, in tutto il mondo, dai media più importanti. La lettura del testo, già dalle prime righe, in effetti, giustificava l’enorme risonanza originatasi: «La creazione dell’universo si può spiegare anche senza l’intervento di Dio, poiché le ultime scoperte scientifiche hanno dimostrato che esistono alternative all’idea che esso sia nato dalla mano divina. Lo sostiene lo scienziato britannico Stephen Hawking nel suo ultimo libro The Grand Design…ect.»

Naturalmente, la sensazione che si tratti di una discutibile strategia di marketing, per vendere più copie del libro appena uscito, è fortissima e probabilmente esatta. A mio avviso, lo confermano queste parole dell’astronomo reale sir Martin Rees, – scritte nel suo libro Prima dell’inizio. Il nostro universo e gli altri – amico e già compagno di studi di Hawking, ai tempi del College, dunque uno che lo conosce molto bene: «Il mio amico e collega di Cambridge, Stephen Hawking, diceva nel suo Dal Big Bang ai buchi neri che ogni equazione avrebbe fatto dimezzare le vendite del libro. Ha seguito quest’ingiunzione, e così ho fatto anch’io. Ma Stephen (o forse il suo editore) pensava anche che ogni menzione di Dio avrebbe raddoppiato le vendite…»

Queste dichiarazioni sono del 1998, ma sicuramente sono validissime ancora oggi; tuttavia, non possiamo ridurre tutto ad una mera questione di soldi e le affermazioni di Hawking – data, la diffusione e l’impatto che hanno avuto presso il grande pubblico – meritano una risposta vasta e articolata, pur nei limiti insiti in un articolo divulgativo. Di seguito, vedremo cosa ha detto Hawking; poi analizzeremo alcune delle risposte di natura sia filosofica sia scientifica, che si possono dare alle sue obiezioni: infine, trarremo le conclusioni.

Tesi di Hawking

Stephen Hawking

Riprendiamo a leggere la seconda parte del comunicato stampa prima menzionato: «La creazione dell’universo, afferma Hawking, è stata semplicemente una conseguenza inevitabile delle leggi della fisica. Tra le conferme trovate dalla scienza a sostegno dell’origine scientifica dell’universo, Hawking ricorda la scoperta nel 1992 di un altro pianeta che orbita intorno a una stella, in condizioni simili a quelle della terra che orbita intorno al sole, rendendo quindi il caso terrestre non unico. Considerando che è altamente improbabile che esistano non solo altri pianeti simili alla terra, ma addirittura altri universi, Hawking sostiene che se Dio avesse voluto creare l’universo allo scopo di creare l’uomo, non avrebbe avuto senso aggiungere tutto il resto».

Il pensiero di Hawking non è né originale, né nuovo; è una delle tante varianti delle cosiddette Teorie del Tutto ossia teorie incorporanti una forma definitiva di matematica, dunque teorie vere sulla base della consistenza interna dei propri postulati. Tali teorie sono un’estremizzazione – accettata e acritica – di una delle domande ricorrenti di Albert Einstein(1879-1955): quanto fu ampia la libertà di Dio nel costruire l’Universo? È chiaro che un Dio condizionato, necessitato dalle stesse leggi fisiche, non sarebbe più Dio…

Il premio Nobel per la fisica Murray Gell-Mann assicurò, in una conferenza pubblica nel 1976, che entro tre anni avrebbe sviluppato una teoria di particelle fondamentali che avrebbe mostrato come l’universo è necessariamente quello che è e non può essere altrimenti. Il fisico e filosofo benedettino p. Stanley Jaki (1924-2009) così commentò questa affermazione, tendente ad escludere un Creatore: «Un tale sistema, grazie all’identità della ricerca sulle primissime fasi dell’universo e di quella sulle particelle fondamentali, implicherebbe, naturalmente, un sistema cosmologico in base a cui si potrebbero fare le più audaci previsioni. La verità di queste asserzioni equivarrebbe alla verità di una derivazione a priori della sola forma in cui l’universo può esistere».

Da allora, di anni ne sono trascorsi ormai 35, ma la teoria, necessaria, vera a priori, la stiamo ancora aspettando e…l’aspetteremo per tutta l’eternità: in seguito capiremo il perché. Questi anni, però, non sono trascorsi invano; la ricerca ha fatto grossi passi in avanti e oggi abbiamo due importanti teorie fisiche generali che spiegano in modo adeguato, ma non completo, una buona parte dei fenomeni del micro e del macrocosmo.

Il mondo subatomico è ben descritto dal cosiddetto Modello Standard basato su tre Colonne, famiglie di quark e leptoni, e tre forze, elettrodebole, nucleare forte e gravitazionale; il macrocosmo è ben descritto dal modello dell’universo in espansione, meglio conosciuto come Big bang. Per colmare alcune lacune della teoria del Big Bang diversi cosmologi hanno ipotizzato un processo inflattivo, che nei primissimi istanti di vita avrebbe gonfiato in maniera abnorme l’universo neonato.

Ai giorni nostri la teoria più generale è la cosiddetta M – Teoria, sintesi della supergravità – supersimmetrica e delle stringhe, perciò si parla di superstringhe. Esse sarebbero corde inconcepibilmente piccole – lunghezza di Planck, la più piccola dimensione esistente in natura –, la cui vibrazione produrrebbe tutte le particelle e le interazioni della natura. Un ulteriore sviluppo ha portato a ridurre le corde a membrane oscillanti piccolissime, le “brane”.

Il giornalista scientifico Piero Bianucci, così ha sintetizzato la posizione di Hawking: «Il Modello Standard permetteva già di concepire la nascita dell’universo come una fluttuazione quantistica del vuoto. La M-Teoria non solo include questa possibilità ma consente di immaginare un numero immenso di soluzioni corrispondenti ad altrettanti universi. Noi saremmo quindi gli abitanti di un qualsiasi universo tra i moltissimi (non comunicanti fra loro e retti da leggi fisiche diverse) che compongono un babelico Multiverso. A questo punto l’esistenza di un Dio creatore diviene quasi un particolare marginale. Hawking dopo alcune iniziali perplessità ha dunque sposato la M-Teoria.»

Obiezioni filosofiche

Le affermazioni di Hawking, così come riportate, prestano il fianco a diverse obiezioni di natura filosofica; appaiono incongruenti e sconnesse sotto diversi aspetti: logico, metodologico, epistemologico e semantico. Proposizioni iniziali, dichiarate scientifiche, sono giustificate da presunte osservazioni e considerazioni senza, tuttavia, manifestare, logicamente, il legame che unirebbe le seconde alle prime, giustificandole.

Vari concetti – Dio, creazione, universo – sono utilizzati in modo arbitrario e legati fra loro in modo semplicistico; la conclusione non discende assolutamente, come in ogni processo deduttivo corretto, dalle premesse. Infine, forse è l’errore più grosso, si commette una metabasis eis allo genos, in altre parole una confusione di piani tra, il livello scientifico, quantitativo –peso, lunghezza, velocità, in pratica il “come” – e quello filosofico, qualitativo, vale a dire il “perché”.

Tommaso Maccacaro

Un filosofo, non certo sospettabile di simpatie clericali o affetto da manie apologetiche, come Massimo Cacciari – sul Corriere della Sera del 3.09.2010 – ha, forse, meglio di tutti, colto e stigmatizzato questo errore in maniera icastica: «Nulla è più assurdo e antiscientifico di pretendere che un linguaggio specialistico fornisca risposte universali. È una contraddizione logica, quella di Hawking, che ha qualcosa di comico e non va nemmeno presa in considerazione. Meglio avrebbe fatto a leggersi la “Dialettica trascendentale” di Kant».

Non dissimile, sempre nello stesso articolo, il parere di uno scienziato, il prof. Tommaso Maccacaro, presidente dell’Istituto nazionale di astrofisica, che dopo aver analizzato i punti principali della teoria di Hawking (presenza di altri sistemi solari simili al nostro, di altri possibili universi, l’idea che si possa raggiungere un equilibrio fra la teoria quantistica del mondo subatomico e quella della gravità) ha concluso: «Nessuno di questi punti può servire come base per una discussione su Dio, perché le cose sono totalmente disgiunte. Mi sembrano affermazioni talmente irrazionali da far sì che qualsiasi teologo ne possa fare un solo boccone».

Le asserzioni di Hawking sembrano costruite ad hoc per un pubblico generale, non abituato alle sottigliezze del ragionamento logico ed anche scarsamente informato sulle reali scoperte scientifiche di questi anni, pertanto sarà forse utile ricordare cos’è la scienza e come si costruisce un ragionamento.

Uno dei padri fondatori della nostra civiltà, Aristotele (384 a.C.-322 a.C), negli Analitici secondi, scrisse: «Sapere è conoscere le cause», dunque noi abbiamo scienza – conoscenza perfetta –, quando, scoprendone le cause, raggiungiamo la piena verità sulle cose.

Come ha scritto mons. Antonio Livi, commentando Aristotele: «Quando si scopre la causa di una determinata cosa, la mente passa dalla pura constatazione del fatto che è così (to oti o quod est) al perché quel dato fatto è così (to dioti o propter quid)». Passare dal come al perché, tuttavia, richiede uno sforzo ulteriore; richiede il passaggio da una conoscenza immediata, che desta in noi meraviglia, ad una conoscenza mediata, che risalga dal fenomeno al fondamento.

Qual è la facoltà che coglie il perché? La ragione; essa è indicata – in latino – dalla medesima parola: “Dimmi perché sei venuto (?)”, infatti, equivale perfettamente a dire “dimmi la ragione per la quale sei venuto” (?) o la causa, il motivo ect.

Contro ogni riduzionismo scientista, è perfettamente evidente che il perché, o causa ect non è per niente esprimibile in termini di centimetri, grammi e secondi: sarebbe ridicolo! La Ragione può, dunque, cogliere il perché, non nei termini di una percezione sensitiva, bensì nei termini di una percezione puramente intellettiva totalmente al di fuori del campo della scienza galileiana, fatta necessariamente di numeri.

In altre parole, la Ragione cogliendo i nessi causali fra le cose, può essere definita anche come la facoltà delle relazioni; l’insieme di tutte le relazioni costituisce l’Ordine. L’Ordine, dunque, è l’Oggetto della Ragione, ma la Ragione a sua volta è l’elemento costitutivo dell’uomo, ciò che più lo caratterizza rispetto agli animali.

L’uomo, infatti, mediante la Ragione – per dirla con S. Tommaso (1225-1274) – indaga l’Ordine che lo circonda e vi scopre, che esso è una disposizione coordinata delle parti in funzione del bene di altre e subordinate al bene del Tutto, in un insieme organico di relazioni: scoprire quali sono queste relazioni, è compito altissimo proprio dell’uomo. Con un esempio sarà tutto più chiaro.

Se mi affaccio in un’aula con cattedra, microfono, sedie disposte di fronte alla cattedra etc, capisco che in quel luogo si terrà una conferenza; se, invece, vedo un luogo pieno di quadri appesi alle pareti, coperti da un vetro, illuminati in un certo modo, etc, capisco che sono in una pinacoteca e così via; in pratica, dalla disposizione, o se preferite, dalle relazioni delle varie parti tra loro, colgo, mediante la Ragione, un tipo di Ordine: sala conferenze, pinacoteca, aula scolastica etc.

Adesso attenzione: l’Ordine è nelle cose, ma non lo “vedo” con gli occhi, con la facoltà visiva, bensì il collegamento, il nesso fra queste cose lo colgo soltanto mediante la Ragione. Dipendesse solo dall’acutezza visiva, un’aquila lo coglierebbe prima e molto meglio di me (!): invece, un’aquila che si affacciasse, ad es, alle soglie di un’aula scolastica, coglierebbe solo forme, figure, colori, ma le sfuggirebbe, perché priva di Ragione, il Tutto, lo scopo principale per il quale quell’aula è ordinata in un certo modo.

S. Tommaso

Questo legame stretto fra Ragione e Ordine – per dirla con p. Giuseppe Barzaghi – implica, che se l’Oggetto della Ragione è l’Ordine, allora la Ragione è il riflesso dell’Ordine nella nostra coscienza: la Ragione esprime poi quest’Ordine mediante enunciati, che sono tanto più rigorosi, quanto più sono scientifici. A questo punto occorre chiedersi: quando un enunciato è scientifico?

La risposta è semplice: quando è una conclusione rigorosamente dedotta dai principì e non in contrasto con essi! Quel che invece è accaduto a Hawking, in questo caso particolare, o a molti scienziati, in generale, quando cessano di essere tali e si esprimono, con l’autorità di scienziati, in campo filosofico, proferendo autentiche amenità. Ricordiamo che l’Ordine si affaccia alla Ragione in vari modi: qui è il punto nodale della questione.

Ogni scienza particolare – matematica, fisica, astronomia, botanica ecc. – si occupa di un particolare tipo di Ordine, non sull’Ordine in quanto tale. L’errore dei vari riduzionismi è proprio questo: pretendere di dare spiegazioni universali da linguaggi particolari. L’esempio evidente è la matematica; dire, come fanno tanti, “Tutto è matematica”, infatti, è auto contradditorio, perché proprio questa proposizione, che dovrebbe essere fondativa, non è matematica.

L’Oggetto proprio della matematica sono i numeri, ma il parlare della matematica non è un numero! Questo concetto è basilare tanto, che il grande matematico e filosofo Hermann Weyl (1885-1955), dedicò ad esso una conferenza importantissima – L’Unità della conoscenza – tenuta in occasione della celebrazione del bicentenario della Columbia University nel 1951, durante la quale disse: «Per maneggiare i simboli e le formule, uno deve capire direttive date in parole».

Identico discorso, a fortiori, può essere fatto con tutte le altre scienze particolari, che sono ancor meno rigorose della matematica. Nessuna scienza particolare è capace di autoriflessione: qual è dunque la scienza autoriflessiva, capace di riflettere non su un Ordine, ma sull’Ordine? È la scienza dell’Intero, cioè la filosofia con le sue varie parti.

Aristotele

Intero – ricordiamolo – vuol dire Tutto comprese le relazioni fra le parti; parti coordinate fra loro e subordinate ad un fine. Le scienze particolari allora si occuperanno di studiare i vari tipi di relazioni: solo la filosofia è in grado di studiare l’Intero. Splendidamente, sempre padre Barzaghi, ha rilevato che la parola Intero è nascosta nella parola Integro; le scienze particolari devono, quindi, “dis-integrare’ l’Ordine nei vari ordini a loro propri per poter dire qualcosa di sensato, ma non possono pontificare sull’Intero.

Vediamo ora i vari tipi di Ordine, – così come li ha distinti con estrema precisione S. Tommaso nel suo commento all’Etica di Aristotele – per chiarire ancor meglio questo concetto, che è cruciale. In primis, come possono constatare tutti, esiste un Ordine che la Ragione trova, considera, ma non fa; è l’Ordine Reale, ontologico, dunque relativo all’essere, riguardante le cose in quanto esistenti: questo ordine appare alla Ragione, che n’è il rispecchiamento.

L’Ordine Reale può solo essere considerato dalla Ragione, ma cosa vuol dire considerare? L’etimologia della parola ci aiuta: viene dal latino cum-sidus e significa “sono in mezzo alle stelle” e, dunque, contemplo non posso far nulla! Non posso dire a Sirio – la stella più luminosa del cielo – ehi! spostati e vieni qua! Non posso mutare il corso delle Pleiadi o il sorgere di Orione: non posso dire alla magnifica costellazione della Croce del Sud, dai! sali e fatti vedere anche nei cieli italiani; se voglio vederla, devo prendere un jet e volare almeno fino alla Florida meridionale…

È  il puro “affacciarsi” dell’Ordine alla Ragione, anche l’Io deve “abbassarsi” fin quasi a scomparire: può solo contemplare le cose venute all’essere prima e senza di lui! Si capisce bene, quindi, quanto sono vane le pretese di Hawking e dei suoi epigoni, che si ritengono – lo vedremo nelle obiezioni scientifiche – in grado di creare, addirittura, interi universi dal nulla! Senza aspirare a tanto, qualcuno dovrebbe – magari alla prossima conferenza in Italia(!) – chiedere ad Hawking, molto più semplicemente, di rendere visibile la Croce del Sud dai cieli europei!

Nulla come la contemplazione dell’Ordine ontologico o Reale, – che la filosofia e la scienza rivelano contingente –, fa sorgere in noi la domanda alla quale nessun ateismo sarà mai in grado di rispondere: «Perché c’è qualcosa anziché il nulla?» Già, questo universo traboccante di “essere creato e finalisticamente ordinato” non fa altro che rimandare all’Essere assoluto, Ens subsistens, il quale – come dice S. Tommaso e come descrive stupendamente P Cornelio Fabro (1911-1995) – ha “partecipato” il Suo essere, in misura diversa, ai vari enti che compongono l’Ordine ontologico o teoretico.

Questa distinzione tra Essere assoluto ed ente partecipato consente di chiarire meglio un altro concetto nodale che Hawking ha confuso: quello di Creazione. Il fisico e filosofo spagnolo Mariano Antigas (1938-2006), gli ha risposto in modo puntuale: «Creazione in senso religioso (…) si riferisce alla dipendenza nell’essere. Dio “dà essere” continuamente a tutte le creature, sostenendole di momento in momento. Il ruolo di Dio non si riduce agli “inizi”creaturali o “confini spazio-tempo”, per usare la terminologia di Hawking.

Dio è l’unico essere “contenuto in se stesso”, non dipendente da nessun altro essere, ed è l’origine di tutti gli esseri creati. Queste importanti distinzioni chiariscono che il problema dei limiti dello spazio-tempo dell’universo non ha alcuna relazione con Dio. Affermare che l’universo è sufficiente a se stesso perché non ha confini nello spazio e nel tempo non ha senso».

S. Giovanni Damasceno

In questa sede, dopo il concetto di creazione, è altresì importante chiarire la nozione di finalismo insita in esso. Bene ha scritto, in questo senso, la prof. Congiunti, in un suo recentissimo volume: «Né si può pretendere, in sede filosofica, di negare la finalità della complessità totale, che emerge in maniera sublime, paradossalmente, man mano che si scende nella gerarchia della complessità, verso l’irrazionale, verso il non vivente, dove l’ordine si afferma da sé, non scelto, non voluto, non inteso, evidentemente già scritto nella natura delle cose».

D’altro canto, il finalismo o prova teleologica, ha costituito una via sicura a Dio, sin dall’antichità: sia cristiana sia pagana. In campo cristiano spicca San Giovanni Damasceno (676-749), che demolì il caso nell’opera De fide orthodoxa nella quale dopo aver considerato l’ordine ontologico scrisse: «Chi è mai l’artefice di queste cose? Non è forse Colui che le ha fatte e pone tali cose nell’essere? Una simile potenza può attribuirsi al caso? Anche ammettendo che il divenire sia per caso, l’ordine da chi proviene? (…) L’ordine non può essere dal caso, ma da qualche altra cosa diversa dal caso. E quale altra cosa è questa se non Dio?»

Molto arguto; fu uno dei primi ad accorgersi che un caso ordinante è una contradictio in adiecto… In campo pagano, occorre ricordare lo stoicismo, per il quale l’ordine non può mai scaturire dal caso, bensì da Dio: in questo senso è indicativo l’inno a Zeus di Cleante (ca 330 a. C.-ca 232 a. C.). Infine, non si può non menzionare il grande Cicerone (106 a. C.- 43 a. C.), che nell’opera De natura deorum spiega come, vista la bellezza e l’ordine della natura, è impossibile pensare che non siano stati progettati da una ratio divina .

Esiste poi, un ordine che la ragione, pur considerando, fa. È l’ordine pratico. A questo punto dovremmo domandarci: dove la ragione pone in essere questo ordine? Risposta: grazie alla sua capacità riflessiva, è in grado di mettere ordine in se stessa con la logica, nelle azioni volontarie con l’etica e nelle cose materiali con la tecnica. Ricapitolando, con S.Tommaso, esistono, dunque, 4 tipi di ordine: a) ontologico b) logico c) etico d) tecnico.

Le obiezioni filosofiche alle affermazioni di Hawking possono essere così sintetizzate: il grande scienziato inglese ha provato a sbarazzarsi di Dio partendo dalle leggi della fisica, il che è impossibile. Ha cercato il fondamento del sistema scientifico al suo stesso interno; come meglio vedremo nella sezione dedicata alle obiezioni scientifiche, Kurt Gödel (1906-1978) ha dimostrato che ogni sistema ha bisogno di un piano ulteriore per essere giustificato, altrimenti non può reggersi.

Il fondamento è sempre su un piano diverso da quello empirico, analogamente a quanto avviene in campo giuridico dove un codice non può fondarsi in se stesso, pena la tirannia. Per essere giusto, un codice deve fondarsi necessariamente su una norma morale esterna – naturale, vale a dire conoscibile da tutti mediante la ragione – che lo precede: altrimenti, come già successo, posso decidere di codificare e, dunque, legalizzare l’uccisione di tutti coloro che portano gli occhiali…

Il linguaggio utilizzato per definire il fondamento, deve essere obbligatoriamente diverso da quello che regola la norma: per questo si chiama metalinguaggio. Un qualunque sistema S non può giustificare se stesso, ma trova la sua giustificazione in S1 e così via all’infinito…

Obiezioni scientifiche

Potrà sembrare strano, ma le obiezioni scientifiche alle affermazioni di S. Hawking saranno molto meno estese di quelle filosofiche e non perché non ce ne siano: semplicemente, le idee di Hawking più che essere scientifiche sono, come abbiamo visto, soprattutto filosofiche. Ricordiamo che nulla nel pensiero di Hawking è originale: il battage pubblicitario enorme che n’è scaturito, è dovuto unicamente alla sua grande autorità – meritata – in campo scientifico e non dalla originalità e valenza delle sue idee sulle origini non divine dell’universo.

Prima di addentrarci nella disamina delle sue affermazioni, ricordiamo la definizione di scienza – ha radici aristoteliche – portata in auge dal padre Barzaghi: «E’ una conoscenza certa ed evidente di un enunciato o proposizione in forza del suo perché proprio». Ora, “il perché” può essere raggiunto attraverso la via empirica oppure per semplice ispezione delle proposizioni: il primo è il caso delle scienze sperimentali; fisica, astronomia, chimica, biologia ecc.

Nelle diverse scienze, naturalmente, si raggiungono varie gradazioni di evidenza oggettiva: il massimo si ottiene in fisica. Il secondo, invece, riguarda la matematica, dove il “perché” va controllato assolutamente in astratto. Esempio: la proposizione «il triangolo ha tre angoli» è assolutamente evidente; il soggetto e il predicato si rinviano l’uno con l’altro in modo così chiaro, che non ci si può sbagliare. Non mi occorre andare in giro col goniometro a verificare che sì, è vero, ogni triangolo ha 3 angoli!

Così non è, invece, per le proposizioni di Hawking; ascoltiamo in proposito quanto dice il prof. Marco Bersanelli, uno degli scienziati italiani più importanti. Membro dell’Istituto di Fisica cosmica del CNR, e dell’ESA, l’Agenzia Spaziale Europea, è anche il responsabile delle misure sull’universo primordiale che il satellite europeo Planck sta effettuando proprio in questi mesi.

La citazione è un po’ lunga, ma è difficile dir di meglio: «L’idea di Hawking non è nuova (…) postula l’esistenza di una moltitudine di universi, sconnessi e inaccessibili, nei quali le proprietà di base (leggi fisiche, valore delle costanti, dimensioni spazio-temporali…) assumono tutti i possibili valori, diversi da quelli che abbiamo “quaggiù”, nel nostro universo. Noi vediamo un cosmo adatto alla vita semplicemente perché tra gli innumerevoli universi (che insieme costituirebbero il cosiddetto “multiverso”) non potevamo che ritrovarci in uno di quelli compatibili con essa (…) dal punto di vista scientifico questa visione soffre di una grave malattia: essa non può essere verificata, essendo le altre regioni del “multiverso” per definizione casualmente sconnesse dalla nostra (…) Il vuoto di Hawking è in realtà un pieno di leggi fisiche. E chi se l’è inventate?»

«Ma ammettiamo per un momento, facendo leva sulla fantasia, che un domani troveremo nuovi percorsi che ci permetteranno di parlare in modo scientificamente sensato di una realtà fisica che eccede quello che oggi chiamiamo “universo”. In quel caso avremmo solo spostato più in là l’orizzonte, come quando Hubble nel 1922 mostrò che l’universo non coincide con la nostra Galassia ma è un oceano di miliardi di galassie. L’universo sarebbe ancor più vasto di quel che oggi pensiamo, ma la domanda fondamentale resterebbe intatta: da dove proviene, ultimamente, tutto ciò?»

«L’universo ha creato se stesso dal nulla, non c’è bisogno di alcun creatore», risponde Hawking, caricando l’affermazione della sua pesante autorità di scienziato. Ma che cos’è allora questo “nulla” dal quale tutto avrebbe preso le mosse? Hawking risponderà che è il “vuoto” quantistico primordiale nel quale una fluttuazione può dare origine a una particella, e in linea di principio a realtà fisiche più complesse. Ma questo significa che il “vuoto” dei fisici è radicalmente diverso dal “nulla” del filosofo e del teologo».

«Anzi, se le cose fossero davvero andate così, quel “vuoto” iniziale finirebbe per essere l’opposto del “nulla”: sarebbe la realtà fisica più “piena” che si possa immaginare, il seme creato dal quale sboccia il fiore dell’universo. Rinasce perciò inevitabile la domanda: questo “vuoto” primordiale, da dove viene? E le leggi della fisica, che in esso agiscono, chi se l’è inventate? Se anche ci fossero moltitudini di universi con leggi diverse, da dove verrebbe la meta-legge così ben congegnata da generare tutto ciò? L’esigenza di spiegazione della ragione umana non si arresta: nessuna “teoria del tutto” potrà mai acquietare la sete di indagare oltre».

Werner Karl Heisenberg

Ora è necessario “sciogliere” un po’ il concetto di “nulla”, che come abbiamo appena visto, è al centro di pesanti fraintendimenti non solo da parte di Hawking, ma anche di altri illustri esponenti e della cultura scientifica e della cultura umanistico – teologica.

L’idea di una creazione dal “nulla”, senza l’intervento divino, almeno nei termini moderni, ha origine dal 1927. In quell’anno, Werner Karl Heisenberg (1901-1976) formulò il principio d’indeterminazione che porta il suo nome e che, in realtà, – come suggerito da S. Jaki – avrebbe dovuto chiamarsi, più propriamente, d’imprecisione. Vediamone in maniera concisa la storia e i suoi sviluppi attuali.

Di per sé, la fisica – la regina delle scienze sperimentali – non dovrebbe avere niente a che fare con il nulla. Un’efficacissima volgarizzazione – nata negli ambienti divulgativi anglosassoni – delle tre leggi della termodinamica le spiega così: 1) Non puoi vincere 2) Non puoi nemmeno pareggiare 3) Non puoi nemmeno uscire dal gioco; in pratica, in nessuna transazione fisica possiamo avere indietro tutto quel che abbiamo impiegato.

Il sunto di questi principi, assieme a quello di conservazione della materia è, dunque, il seguente: in questo universo non puoi ottenere qualcosa in cambio di nulla! Un’altra analogia efficace per spiegare questo concetto – sempre di matrice anglosassone – attribuisce alla fisica dei registri contabili; tali registri, come in ogni sana azienda che si rispetti, devono presentare il bilancio in pareggio.

Torniamo ora a Heisenberg, al suo principio e, soprattutto, all’interpretazione che ne fece egli stesso. In sé, tale principio dice – semplicemente a livello quantitativo – che a livello subatomico è impossibile conoscere – come invece avviene nel macrocosmo – contemporaneamente la posizione e la velocità di una particella. Il perché è presto detto.

Pensiamo al controllo elettronico della velocità della nostra auto, misurato dalle forze dell’ordine tramite, ad es, il telelaser: fasci di fotoni amplificati, sparati da 500mt di distanza raggiungono la nostra auto e ne determinano la velocità istantaneamente. Ora, poiché la sproporzione tra i fotoni e l’auto è enorme, l’impatto dei fotoni sull’auto non produce alcun effetto sul moto dell’auto. Diversamente, ed è qui la grande scoperta di Heisenberg, a livello subatomico le varie particelle sono tutte omogenee tra loro, pertanto è l’atto di misurazione stesso che perturba il sistema e rende impossibile misurare simultaneamente posizione e velocità.

Questa è la scoperta scientifica; poi purtroppo vi fu l’interpretazione errata di Heisenberg che scambiò un’impossibilità di tipo operazionale con una di tipo ontologico, come se a livello subatomico non valesse più il principio di causalità. La deduzione erronea di Heisenberg fu questa: poiché la natura non si può misurare con esattezza, significa che non può agire con esattezza. Un errore enorme di metabasis che ha inficiato tutta la successiva interpretazione della meccanica quantistica dando origine alla cosiddetta interpretazione della scuola di Copenhagen; contro di essa insorse Albert Einstein (1879-1955), con la famosa frase Dio non gioca a dadi con l’universo.

Torniamo ora ai registri della fisica e al loro bilancio in pareggio; fino al 1929 nessuno mise in discussione questa regola ovvia. Quell’anno, per la prima volta, George Gamow (1904-1968) decise di applicare il principio di Heisenberg all’emissione delle particella alfa dal radio. Interpretato non come si doveva – principio d’imprecisione nella misurazione –, ma come una mancanza di causalità, si arrivò ad una conseguenza fatale, che lo stesso Gamow e le prime generazioni con lui non colsero subito.

Sentiamo Jaki, che meglio di tutti ha compreso e denunciato simili abusi intellettuali: «Se il tempo e l’energia dell’emissione erano espressi in funzione della massa, l’imprecisione della misurazione voleva dire che una parte della massa era non solo non misurata, ma non misurabile (…)se si prendeva sul serio l’interpretazione data da Heisenberg -mancanza di causalità – allora la particella non misurata doveva emergere dal nulla».

In quel momento, si aprì come un vaso di Pandora: da quel primo “microfurto” di massa, che violava il perfetto bilancio dei registri della fisica di una quantità infinitesimale – appena un millesimo della massa dell’elettrone – si è arrivati, gradualmente, nel 1947 ai pochi atomi d’idrogeno per centimetro cubo necessari a Fred Hoyle (1915-2001), Hermann Bondi (1919-2005) e Thomas Gold (1920-2004) per mantenere lo stato stazionario dell’Universo, fino all’intero universo di Alan Guth negli anni 90 e al multiverso di oggi.

Alan Guth

Insomma, Hawking non ha inventato nulla, ha solo ripreso e riattualizzato teorie già esistenti, frutto della cattiva interpretazione della meccanica quantistica di Copenhagen. Da A. Guth i fisici, sol perché erano in grado di manipolare i sofisticati formalismi matematici sottostanti alla meccanica quantistica – su tutti l’algebra quaternione – si sono creduti dei ed hanno proclamato di disporre del know-how necessario per far emergere interi universi dal nulla. Intanto, possiamo chiedere a Guth, – disse Jaki –, di fare emergere dal nulla almeno un hamburger, visto che l’universo, a suo dire, sarebbe l’ultimo pasto dato gratis: ad oltre 20 anni da quella sfida, stiamo ancora aspettando l’emergenza non di interi universi, ma almeno di quell’hamburger!

Inoltre, si può osservare che l’universo o è una totalità coesiva e, dunque, uno, unico, oppure, sic et simpliciter, per la scienza non esiste in quanto non è sperimentabile. Hanno cercato di scalzare la metafisica con la fisica, asserendo di poter quasi descrivere la transizione dal non-essere all’essere!

In realtà, la scienza per rimanere tale può solo avere a che fare con numeri riscontrati nella realtà; il fisico, a differenza del matematico, al quale basta che una data teoria sia coerente, deve fare i conti con il mondo reale.

Per dirla ancora con Jaki non è possibile associare alcuna misurazione quantitativa all’esistenza di oggetti, che indichiamo col verbo è o sono, e neppure alla parola nulla. E’ per questo che la transizione dal non essere all’essere non è di competenza della scienza fisica o di qualsiasi scienza che abbia a che fare con delle misurazioni.

Infine, un’ultima obiezione scientifica – decisiva – alla M-teoria sposata da Hawking; è data dai teoremi di Kurt Godel, ne abbiamo accennato prima. Ogni Teoria del Tutto pretende di essere autoreferente, fatta in modo tale che neanche il Padre Eterno può far meglio. Diversamente, Godel dimostrò che un simile risultato era impossibile da raggiungere persino in una teoria che inglobasse soltanto una forma semplice di matematica, come l’aritmetica; figuriamoci, se ciò può valere per la M-teoria, che è corredata da un apparato matematico assolutamente complesso.

M-Theory

Naturalmente, questo non significa che la M-Teoria o, un domani, una sua discendente, non renderà conto di tutti i fenomeni fisici esistenti, dal cuore del protone ai confini del cosmo: vuol dire, “soltanto”, che non esisterà mai una superteoria incorporante una forma definitiva di matematica, autoreferente ed autosufficiente, che obblighi l’universo ad essere ciò che è e non qualcosa d’altro, rendendo superflua la presenza di un Creatore.

Anzi, in questo modo appare evidente la contingenza del cosmo – avrebbe potuto anche non esistere –, che essendo non necessitato, è frutto di una scelta specifica fra tante. Ciò implica l’esistenza di un Creatore, trascendente; l’Unico in grado di portare le cose all’esistenza, valicando quella barriera dal non essere all’essere a noi preclusa, nonostante il sofisticatissimo formalismo matematico della meccanica quantistica!

Conclusione

Alla fine di questo lungo e faticoso itinerario, condotto fra le teorie più moderne e sofisticate e la filosofia imperitura dei primi principi, riecheggia e s’impone alla nostra attenzione un’acuta riflessione di Jacques Bénigne Bossuet (1627-1704): «Credere in Dio comporta delle difficoltà, non credere comporta delle assurdità».