Tradizione Famiglia Proprietà n. 62 Ottobre 2014
Il 28 luglio 1904, s. Pio X sciolse l’Opera dei Congressi e dei Comitati cattolici. Rimase aperto solo il Gruppo di studio per l’azione popolare e sociale facente capo al conte Stanislao Medolago Albani, di Bergamo, grande amico a collaboratore del santo Pontefice
di Julio Loredo
San Pio X è universalmente ricordato come colui che condannò il Modernismo teologico, “istigatore di gran parte della contestazione religiosa che oggi esplode in seno alla Chiesa”, come ben ricordava nel 1972 il teologo domenicano francese Albert-Marie Besnard.
Altrettanto importante, e da un certo punto di vista forse ancor di più, fu la sua condanna del nascente cattolicesimo democratico. Per quanto fosse rilevante a livello teologico, il Modernismo restò sempre un fenomeno di élite intellettuali, con scarsa presa sulla massa dei fedeli. Perfino Ernesto Buonaiuti, capofila del modernismo italiano, si lamentava: “Io stesso sono rimasto più volte vagamente sorpreso dalla disarmonia esistente fra le finalità del movimento modernistico, finalità così radicalmente rinnovatrici, e la natura della sua propaganda, così aristocraticamente intellettualistica. (…) Quel largo consenso popolare, che dovrebbe essere la principale preoccupazione di un movimento religioso, saturo di entusiasmo messianico, è fino ad oggi costantemente mancato”.
Le tendenze e le dottrine rivoluzionarie si diffondevano tra i fedeli piuttosto attraverso le deviazioni nel movimento cattolico sociale, sorto nella seconda metà del Dicianovesimo secolo.
Deriva a sinistra
Dando corpo al crescente movimento sociale cattolico, il 29 giugno 1867 si costituì la Società della gioventù cattolica italiana. Ne assunse la presidenza Giovanni Acquaderni, affiancato da Mario Fani Ciotti. Nel 1868 Pio IX approvava, con il breve pontificio Dum fìlii Belial, la costituzione della nuova associazione. Di solido orientamento “papalino”, la Società fece della difesa di Pio IX e della sua politica antiliberale il cardine della propria azione.
Nel giugno 1874 si tenne a Venezia un primo congresso cattolico nazionale. Sotto la presidenza di Acquaderni, i cinquecento delegati convennero nella missione di salvaguardare le tradizioni religiose italiane di fronte alla società liberale. Nei discorsi si attaccò fortemente “la Rivoluzione, questo serpente che avvelena, questa tigre che sbrana, questa lupa che divora, quest’arpia immonda”. Un secondo congresso, tenutosi a Firenze nel 1875, creò l’Opera dei congressi e dei Comitati cattolici, che annoverava numerosi circoli locali. La presidenza fu affidata allo stesso Acquaderni.
Purtroppo, alla stregua di quanto stava accadendo in altri paesi, infiltrate da tendenze liberali e socialiste, frange del cattolicesimo sociale italiano caddero preda di un processo di trasbordo ideologico che le fece scivolare a sinistra. Presto si palesarono due anime, in contrasto fra di loro. I settori più a destra venivano presi di mira da una propaganda negativa che cercava di annichilirli. “La Gioventù cattolica passa ore abbastanza tristi – scrive Giacomo de Antonellis – Acquaderni è figura moralmente elevata ma non sembra in grado di reagire al turbinio scatenato da più sponde“. Il 17 maggio 1878, Acquaderni fu costretto a rassegnare le proprie dimissioni.
Nel contempo si faceva largo all’interno dell’Opera la corrente “operaista”, di orientamento sinistrorso. Se tra i cattolici tradizionali si continuava a ritenere che la questione sociale si potesse risolvere con un’intesa fra le classi, i nuovi gruppi operaisti erano assertori del principio che i lavoratori dovessero adottare il criterio della resistenza nei conflitti con il padronato; in altre parole partecipare alla lotta di classe, entrando oggettivamente in convergenza con i socialisti. Inizialmente minoritari, i settori socialisti crebbero d’importanza, sino a controllare ampi settori del cattolicesimo sociale. Le correnti progressiste – che avevano assunto il nome generico di “democrazia cristiana”, in un contesto in cui “democratico” era sinonimo di sinistra – prendevano il sopravvento, sostituendosi alla vecchia guardia.
Don Romolo Murri
La deriva a sinistra nel cattolicesimo sociale italiano è inscindibilmente legata alla figura del sacerdote marchigiano don Romolo Murri. Dallo studioso marxista Antonio Labriola, suo professore alla Facoltà di Lettere a Roma, Murri trasse, come egli stesso ricorda, “il senso della storia ossia dello svolgimento e, insieme, l’idea del proletariato. Sorbì anche intimamente l’interesse e la simpatia per la cultura e il mondo moderno“. Secondo il capofila della corrente democratica cristiana, il marxismo di Labriola era “un eccellente strumento allo scopo di rendersi conto delle cose del tempo e di correggere le gravi manchevolezze nella mentalità dominante negli ambienti cattolici”. Escluso l’ateismo, don Murri utilizzava dunque il marxismo come strumento di analisi della realtà sociale e politica.
Nel 1891, Murri ispirò la formazione dei Fasci democratici cristiani. Nel 1894 fondò il Circolo universitario cattolico. L’anno successivo lanciò il giornale “La Vita Nuova” che diventò l’organo dei circoli universitari, raccoltisi nel 1896 nella Federazione universitaria cattolica italiana, Fuci.
La condanna
Insensibili alle ammonizioni di Leone XIII, i democratici cristiani continuarono imperterriti la loro contestazione rivoluzionaria. Al Congresso nazionale dell’Opera a Bologna, nel novembre 1903, regnante già s. Pio X, lo scontro fra le due anime del cattolicesimo sociale italiano degenerò in guerra aperta. “La spaccatura tra le due mentalità divenne inconciliabile – commenta Giacomo de Antonellis – [toccando] il rapporto gerarchia-laicato, l’azione politica e l’azione religiosa, i modi di obbedienza e di fedeltà al Papato“. Incalzati dalla fortissima contestazione dei democratici cristiani, i leader dell’Opera abbandonarono l’aula.
Papa Sarto, che aveva seguito con attenzione lo sviluppo dei dibattiti, non gradì l’esito del congresso e inviò all’arcivescovo di Bologna, cardinale Domenico Svampa, una lettera in cui puntualizzava: “Non le nascondo le mie preoccupazioni: 1) pel dissidio sorto nell’assemblea; 2) per la poca avvedutezza onde fu costituita la presidenza; 3) per le clamorose e replicate manifestazioni in favore del reverendo don Murri“. È sintomatico che il congresso di Bologna si chiuse senza la tradizionale colletta per l’Obolo di S. Pietro in favore del Papa.
Preoccupato per l’ascesa del movimento democratico cristiano, e volendo stroncare ogni manipolazione ermeneutica dei documenti del suo predecessore, nel dicembre 1903 s. Pio X pubblicò il motu proprio Fin Dalla Prima. Si tratta di un documento assai conciso contenente un “Ordinamento fondamentale dell’azione popolare cristiana”.
Una circolare del nuovo presidente dell’Opera Giovanni Grosoli, chiaramente contrastante con le direttive pontificie, fu sconfessata dalla Santa Sede. Giunta a tal segno, la fortissima penetrazione delle tendenze democratiche cristiane nel cattolicesimo sociale non lasciò a Papa Sarto altra scelta che sciogliere l’Opera dei congressi, fatto che avvenne il 28 luglio 1904. Rimase aperto solo il Gruppo di studio per l’azione popolare e sociale facente capo al conte Stanislao Medolago Albani, di Bergamo.
Con inaudita insolenza, i democratici cristiani sfidarono il Pontefice fondando a Bologna la Lega democratica nazionale, di aperta ispirazione socialista. Nell’enciclica Pieni l’Animo, del 28 luglio 1906, s. Pio X proibì “sotto pena per i chierici di inabilità agli ordini sacri e ai sacerdoti di sospensione ipso facto a divinis, di ascriversi alla Lega democratica nazionale“. Ormai senza ritegno, Romolo Murri fu sospeso a divinis nel 1907 e scomunicato due anni dopo. Nel 1912 si sposò ed ebbe un figlio. Seguace del primo fascismo, presto se ne allontanò, criticando i Patti Lateranensi del 1929.
Pochi anni dopo, nel 1910, con la lettera apostolica Notre charge apostolique, s. Pio X fu costretto ad adottare identico procedimento nei confronti del cattolicesimo sociale francese, raccoltosi nel movimento Sillon sotto l’egida di Marc Sangnier.
Questi decisi interventi di Papa Sarto, uniti a un solido orientamento dottrinale espresso in innumerevoli documenti, impedirono in pratica che gli errori rivoluzionari si diffondessero tra il laicato, ponendo le basi per il grande risveglio che, negli anni Venti del secolo scorso, diede vita all’Azione Cattolica.