“Affascinante e sconfortante”, mostra l’odissea dei non nati
di Giulio Meotti
Niente colore, né musica, nessuna celebrità, né facile risposta. E’ la più cruda pellicola sull’aborto mai girata negli Stati Uniti. “Lake of fire”, l’ultimo lavoro dell’inglese Tony Kaye, il New York Times lo definisce “affascinante e sconfortante”.
Liberal è il regista e lo sono coloro che hanno concepito e realizzato il film insieme a lui, in sedici anni di lavoro. Ma visto che il film racconta l’aborto senza trucchi, sono i pro life ad averlo adottato. Il regista di “American History X” ha letteralmente messo in scena la più feroce guerra culturale che attraversa la storia americana. Due ore e mezzo di interviste a militanti e intellettuali, riprese di picchetti davanti a quelle cliniche abortiste parte inscindibile della geografia di questo conflitto, quindi marce di protesta (“no church no state”) e omicidi di medici abortisti.
Il quotidiano conservatore New York Sun ha esaltato il film di Kaye: “I contemporanei faranno bene a prendere nota”. Protagonista assoluta è la marea umana del movimento per la vita che in questi anni ha scandito, fuori dai tribunali, davanti al Congresso e per le strade di New York, una guerra che spacca in due il paese.
Kaye ha parlato con Randall Terry, l’uomo che acquista terreni e case intorno alle cliniche per gridare “mummy mummy” alle donne che entrano per una consulenza o un aborto. Non è un film politico, ma un affresco di questa ferita di massa (40 milioni di aborti dal 1973, anno della legalizzazione in tutto il paese).
Nessun regista liberal aveva ancora dato la possibilità di parlare a Norma McCorvey, la cui richiesta di avere un aborto legale sfociò nella storica sentenza Roe vs. Wade, ma che poi sarebbe diventata la prima paladina del fronte della vita. Come ha scritto Naomi Wolf nel suo storico saggio sull’aborto, i liberal avevano liquidato il suo ripensamento affermando che aveva a che fare con motivazioni infantili di insicurezza, instabilità e bisogno di attenzione, e che non aveva niente a che vedere con la vera forza morale.
“Norma Mc-Corvey è l’esempio della donna americana qualunque” scrive Naomi Wolf. “E’ l’anello mancante della catena del dibattito sull’aborto, la donna della quale trascuriamo le argomentazioni perché rifiutiamo di usare una retorica morale più austera e onesta. Quel che la McCorvey e altri americani vogliono, e meritano, è un movimento per la difesa del diritto all’aborto che sia pronto a piangere pubblicamente il male, tutto il male necessario, che è l’aborto”.
Kaye ha questo grande merito, non edulcora né riscrive in chiave ideologica la vocazione al conflitto sulla vita del paese occidentale che registra la più vasta opposizione popolare alla trasformazione dell’aborto in un “diritto”. Nessun regista prima di lui aveva consentito al settantenne Nat Hentoff di spiegare a milioni di americani le sue ragioni di nemico dell’aborto ma anche di storico difensore dei diritti civili.
Hentoff è l’uomo che ha forgiato le inchieste sulle libertà costituzionali, per oltre cinquant’anni ha scritto per il New Yorker, oggi lavora al Village Voice, il più radicale giornale di New York. Veterano degli anni Sessanta, assolutista della libertà di parola, Hentoff abbandonò l’American Civil Liberties Union, di cui era stato trascinatore, a causa del sostegno alla “morte dolce”.
Per le elezioni del 2004, Hentoff rispose per le rime ai democratici che accusavano Bush di rincorrere il voto evangelico: “Milioni e milioni di americani mai nati quest’anno non voteranno”. I colleghi di un tempo lo hanno accusato di essersi convertito al cattolicesimo, “l’unica spiegazione che possono darsi per la mia apostasia”. E’ perché disturba i loro stereotipi. Come ha fatto Kaye, che ha filmato l’odissea dei non nati.
(A.C. Valdera)