Osservatore Romano 14 ottobre 2021
Ispirato dal pontificato di Francesco
di padre Marcelo Bravo Pereira (*)
Quattro anni fa ho cominciato a impartire un corso di “cosmovisione cristiana” in una università civile italiana. Dal primo momento mi sono reso conto che non avrei potuto venire a lezione con il mio apparato concettuale teologico-dogmatico imparato nelle facoltà teologiche romane. I più di sessanta ragazzi che seguivano il mio corso erano al quinto anno di psicologia.
La quasi totalità di loro erano italiani, non solo postmoderni ma anche postcristiani. Perfino quei pochi ragazzi “di chiesa” o frequentatori della pastorale universitaria avevano poco o nulla a che fare con i latinorum e i dogmi che, per contro, insegnavo alla facoltà di teologia. Un nuovo linguaggio cristiano per una società postmoderna.
Ecco uno degli aspetti del pontificato di Papa Francesco che mi servivano di ispirazione per poter comunicare con la gioventù universitaria del XXI secolo. Dal punto di vista lessicale e aforistico, Francesco è, a pieno titolo, un postmoderno. I suoi insegnamenti sono impastati dalla concretezza del vivere quotidiano di una società plurale e fluida. Già il grande teologo Marie-Dominique Chenu aveva definito la teologia come la fede in sintonia con il tempo.
Ovviamente il Papa non resta rinchiuso nello storicismo né nel relativismo religioso, ma è consapevole che il messaggio di Gesù non può restare nell’astrattezza dei primi principi e dei dogmi già conosciuti e, senz’altro, sempre validi. Esso deve arrivare fin nelle “periferie esistenziali” del nostro mondo. La concretezza porta il Pontefice a scendere dal piedistallo della superiorità culturale, per entrare in un dialogo di parità che non comprometta la propria identità cristiana — come affermato nella Fratelli tutti — ma che riconosca il dono della diversità come una “sapiente volontà divina”.
A questo proposito, la stessa espressione “la musica del vangelo”, insolita in documenti magisteriali precedenti, manifesta quanto Papa Francesco ci tenga a farsi capire dall’uomo di oggi. Espressioni quali la Chiesa come “ospedale da campo”, la sua denuncia della “cultura dello scarto”, il ricordarci che “il centro della Chiesa non è la chiesa”, oppure che “il tempo è superiore allo spazio”, e che non dobbiamo “avere paura della bontà e neanche della tenerezza”, sono tutti aforismi e modi di comunicare che hanno una matrice culturale nuova.
Si tratta di un rinnovato modo di presentare il messaggio di sempre, non in un’epoca di cambiamenti ma in un cambiamento d’epoca. L’epoca appunto della postmodernità, della rivoluzione digitale, del transumanesimo e della società fluida. Ancora un’esperienza universitaria. Dovendo parlare agli studenti della morale cristiana, ho dovuto pensare “alla Papa Francesco”.
Non è vero che i giovani di oggi sono relativisti ad oltranza, o che non possono concepire l’esistenza di valori universali e di assoluti morali. Semplicemente non capiscono il nostro linguaggio, chiaro in se stesso e sicuramente valido per un auditorio di teologi, ma poco significativi per il giovane postmoderno. Sono rimasto meravigliato, però, della loro capacità di percepire come dietro all’orrore dell’abuso di donne e bambini, oppure al valore della conservazione del creato, loro stessi riuscivano a capire che ci sono azioni che sono da rimproverare oppure doverose, a prescindere dalle circostanze o dal fine.
Certo, forse tanti comandamenti della Chiesa resteranno incomprensibili per loro, ma diventando postmoderno con loro, facendoci tutto a tutti, rinnovando il nostro linguaggio “alla Papa Francesco”, potremo aprire un varco all’azione dello Spirito che soffia dove vuole.
(*) Direttore dell’Istituto superiore di scienze religiose del Pontificio Ateneo Regina Apostolorum (Roma)