Il Timone n. 189 Novembre 2019
Politologo vicino alla teologia della liberazione, oggi padre Sosa Abascal è il nuovo Generale dei gesuiti. Per lui il demonio è assimilabile a un simbolo e le parole di Gesù vanno contestualizzate perché all’epoca non c’era il registratore
di Ermes Dovico
Fino a tre anni fa, nel mondo cattolico del Vecchio Continente, il venezuelano padre Arturo Sosa Abascal, classe 1948, era sconosciuto ai più. Poi, il 14 ottobre 2016, divenne il 31° prepósito generale – il primo non europeo – nella storia della Compagnia di Gesù, fondata nella prima metà del XVI secolo da sant’Ignazio di Loyola e compagni.
Unicità del momento storico: dopo l’argentino Jorge Mario Bergoglio, primo Papa a provenire dal Nuovo Continente, ecco dall’America, in particolare l’America Latina, anche il “Papa nero”, come viene comunemente chiamato il generale dei gesuiti sia per il colore tradizionale dell’abito, sia perché la sua elezione è a vita, sia per l’influenza nella Chiesa.
Infatti, malgrado le vocazioni più che dimezzate nell’ultimo mezzo secolo, parliamo dell’ordine oggi più numeroso, con oltre 16.000 membri secondo l’Annuario Pontificio del 2018 (erano più di 36.000 al momento della massima espansione, nel 1965).
Tre anni sono già passati, dunque, dall’elezione di padre Sosa, che nel frattempo è divenuto ben noto anche nel mondo cattolico europeo per alcune sue frasi famose, da quella sul registratore che mancava ai tempi della vita pubblica di Gesù all’esplicita eresia del diavolo come figura simbolica.
Ma vediamo qual è il retroterra di questo gesuita sudamericano, poliglotta, piuttosto conosciuto e dibattuto oltreoceano, specie per i suoi scritti sul pensiero politico, che hanno portato il politologo Guillermo Aveledo Coli a definirlo «uno degli accademici più importanti della storia intellettuale del Venezuela», mentre altri commentatori ne hanno deprecato il modernismo teologico e le spinte rivoluzionarie in senso marxista.
Figlio di un economista e avvocato due volte ministro delle Finanze venezuelano, Arturo Sosa Abascal è entrato nella Compagnia di Gesù nel 1966, un anno dopo la fine del Vaticano II (a cui guarda secondo le lenti del cosiddetto “spirito del Concilio”), laureandosi in filosofia e conseguendo poi un dottorato in scienze politiche.
Che passione per Fidel!
Le idee politiche di padre Sosa, convinto della necessità di diffondere il socialismo in tutta l’America Latina, lo hanno portato a sostenere apertamente il regime di Fidel Castro, come quando, nel 1989, il sacerdote nativo di Caracas fu tra gli oltre 900 artisti e intellettuali firmatari di un manifesto a sostegno della visita del dittatore cubano in Venezuela.
Manifesto in cui i sottoscrittori esprimevano il loro «rispetto» per Castro, «come principale leader della Rivoluzione cubana», aggiungendo che «solo la cecità ideologica può negare il posto che occupa il processo che lei rappresenta nella storia della liberazione dei nostri popoli» e adulando il líder máximo come riferimento «nel profondo della nostra speranza» per un’America Latina «giusta, indipendente e solidale». Eppure, si trattava dello stesso regime che aveva oppresso la Chiesa cattolica. E non solo.
Il marxismo al posto della fede
Del resto, il pensiero di padre Sosa affonda le sue radici in quella Teologia della Liberazione (combattuta da san Giovanni Paolo II con Joseph Ratzinger al suo fianco) tanto di moda in Sudamerica negli anni in cui si formò.
Così, in un vecchio articolo intitolato «La mediación marxista de la fe cristiana», pubblicato nel 1978, l’allora giovane prete assume che la fede cristiana debba essere una fede «mediata», poiché essa non sarebbe in grado da sola di leggere i segni dei tempi, ma avrebbe bisogno di una «scienza umana» per capire la realtà, che va conosciuta – con «discernimento» – a partire «dal povero».
Nell’ottica di Sosa, il cristiano deve perciò scegliere, e mettere in pratica, l’analisi che in un dato momento storico meglio riflette la lotta dei poveri per una società più giusta e umana: e l’analisi migliore dei nostri tempi è, secondo lui, il marxismo. Carica rivoluzionaria inclusa.
Dal suo storicismo discende la giustificazione delle ideologie intese come «un sistema di mezzi e fini per affrontare una determinata epoca storica e condurla verso una meta» (che evidentemente non è quella eterna) e perfino dell’ateismo, come reazione alla società capitalista che usa Dio.
Padre Sosa rigetta «qualunque “ortodossia” o “dottrina” stabilita una volta per sempre», rischiando così di mettere in subordine il messaggio di salvezza del Vangelo al pensiero del mondo e riducendolo a un complesso di rivendicazioni sociali, dove la ricerca del Regno di Dio non solo può perdere il primo posto, ma addirittura scomparire dall’orizzonte. Oltre che di Castro, è stato sostenitore della “Rivoluzione bolivariana” di Chavez, di cui fu tra l’altro docente, prendendone le distanze solo dopo che il chavismo aveva già prodotto enormi danni.
Le interviste che hanno fatto scandalo
Questo, in sintesi, il suo retroterra culturale. Che permette di inquadrare meglio il personaggio assurto agli onori delle cronache cattoliche europee dopo la lunga intervista concessa al giornalista Giuseppe Rusconi, per il blog Rossoporpora, nel febbraio 2017, quando, dopo aver parlato addirittura di «fondamentalismo» cristiano, destò scandalo per la frase sul registratore.
Fu infatti allora che padre Sosa – nel rispondere a una domanda che prendeva spunto da un’intervista concessa da Gerhard Müller al Timone, in cui il cardinale tedesco citava Gesù per ribadire l’indissolubilità del matrimonio – pronunciò queste parole: «Intanto bisognerebbe incominciare una bella riflessione su che cosa ha detto veramente Gesù… a quel tempo nessuno aveva un registratore per inciderne le parole. Quello che si sa è che le parole di Gesù vanno contestualizzate».
E via a sminuire e relativizzare la Parola di Dio scritta «da esseri umani»: pazienza se lo stesso Vaticano II, altrove esaltato da padre Sosa, ribadisce solennemente, nella Dei Verbum, che tutti i libri dell’Antico e Nuovo Testamento «hanno Dio per autore» primario e gli uomini come autori secondari, ispirati dallo Spirito Santo.
Nella stessa intervista, il gesuita venezuelano affermava di nutrire «una grande devozione personale per padre Arrupe», anche lui simpatizzante della Teologia della Liberazione e suo predecessore alla guida dei gesuiti (+ 1991). Tempo tre mesi ed ecco una nuova dichiarazione clamorosa, messa nero su bianco su un supplemento del Mundo: padre Sosa arriva a dire che il diavolo fa parte delle «figure simboliche» per esprimere il male.
E ancora, ottobre 2018, parla a EWTN e afferma che «il papa non è il capo della Chiesa, è il vescovo di Roma», assimilandolo, nel prosieguo dell’intervista, a una specie di primo tra pari, senza autorità gerarchica sugli altri vescovi.
A conclusione di questa panoramica, ricordiamo un’altra intervista, nell’agosto 2019, stavolta al mensile Tempi, in cui padre Sosa torna a parlare del diavolo come «realtà simbolica», sorvolando sulle Sacre Scritture, il Magistero della Chiesa, l’esperienza quotidiana e l’insegnamento dei santi.
A proposito, chissà cosa gli direbbe sant’Ignazio. Il quale, nella meditazione detta dei Due Stendardi, spiegava che l’uomo è chiamato a scegliere il campo di battaglia: se combattere per lo stendardo di Gesù Cristo, «sommo Capitano e Signore Nostro», o per lo stendardo di Satana, «mortale nemico della natura umana». Altro che simbolo.