Il Timone n.153 maggio 2016 rubrica Vivaio
di Vittorio Messori
Come tutti sanno il Corano vieta rigorosamente il consumo di vino e, in genere, di ogni alcolico. Un divieto che per Maometto non fu difficile stabilire, visto che nella desertica e arroventata penisola arabica (la sola che gli importasse, pare che non pensasse a una espansione, dopo la morte, della sua dottrina oltre quei deserti), nella penisola arabica, dunque, la coltivazione della vite era pressoché impossibile. Il poco vino che si consumava era portato dalle carovane provenienti soprattutto dal Libano ed era dunque scarso e caro. In ogni caso, tra i tropici e l’equatore gli effetti anche negativi degli alcolici sono moltiplicati dal clima. Meglio, dunque vietare
IN VINO… IPOCRITAS
Questo divieto è tra le poche cose del Corano che piacciono in Occidente: piacciono, infatti, ai “proibizionisti”, membri soprattutto di sette protestanti, quelle che riuscirono a convincere il governo americano a imporre in tutti gli Stati Uniti – dal 1919 al 1934 – lo stop totale alla produzione, vendita, importazione delle bevande alcoliche. Come sempre, tra l’altro, si ebbe il solito effetto opposto alle attese: invece di moralizzare la società si moltiplicò la criminalità, con il contrabbando e le distillerie clandestine, favorendo lo sviluppo del fenomeno mafioso.
C’era, qui – e c’è – comunque, una insanabile contraddizione: proprio dei protestanti che dicono di obbedire fedelmente solo alla Scrittura, contrastavano (e tuttora contrastano, anche in comunità numericamente importanti, come gli Avventisti) una realtà scritturale innegabile. Sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento è deplorato, com’è ovvio, l’abuso di vino, ma questo non è certo proibito, anzi è spesso lodato come uno dei doni che Dio ha fatto all’uomo. Gesù stesso beveva, come ogni ebreo e, anzi il suo primo miracolo fu quello di Cana, quando provvide a rifornire di altra bevanda i convitati a un banchetto nuziale già un po’ brilli, visto che il loro consumo era andato al di là delle previsioni del padrone di casa.
San Paolo, pur ripetendo nelle sue lettere l’invito scontato alla moderazione, arriva ad esortare l’amico Timoteo a “bere un po’ di vino” per contrastare dolori di stomaco. Con buona pace di quei protestanti – che vorrebbero astemi non solo i loro seguaci, ma anche tutti i cristiani – nell’intera storia della Chiesa solo gruppi di fanatici settari hanno rifiutato gli alcolici. San Benedetto stesso, nella sua Regola, respinge il rigorismo di un ascetismo che non è cristiano, e fissa per i suoi monaci una quantità giornaliera del prezioso liquido. Le abbazie, tra l’altro, divennero spesso famose per la produzione, oltre che di vini pregiati, di birre e di digestivi anche con alta gradazione.
In ogni caso, non tocca a noi, cristiani, lanciare la pietra contro chi va contro le norme della sua religione. Proprio noi, cittadini di un mondo che ormai in gran parte non ignora solo i precetti del Vangelo: ignora la sua esistenza stessa. Quanto abbiamo detto sopra è per accennare a un aspetto del mondo islamico di cui ben poco si parla e che è stato di recente esplorato da Franz Rosenthal, arabista prestigioso, ben noto agli storici e con cattedra all’università di Yale. Lo studioso ha pubblicato un libro dal titolo significativo: The Herb. Hashish versus Muslin Society.
L’Erba, con la maiuscola, l’Erba per l’antonomasia è la cannabis dai cui fiori, come è noto, si estraggono varie droghe di cui l’hashish è la più ricercata. Lo storico, dopo una lunga ricerca negli archivi (ma frequentando non solo il passato bensì anche il presente del mondo musulmano, constatando la presenza se non la crescita del problema) lo storico, dunque, mostra come l’astensione dagli alcolici sia stata sostituita dal consumo di massa di hashish, fumato miscelato con tabacco o reso liquido e bevuto.
Secondo il professor Rosenthal, questo uso ed abuso di droghe è tra le ragioni principali del declino della società islamica che, a partire dal XIII secolo, diventa sempre meno creativa e finirà poi tutta sotto il dominio coloniale degli europei. Pochi sanno che nel 1789, appena sbarcato in Egitto, Napoleone scoprì la diffusione di massa della canapa indiana e ne constatò gli effetti disastrosi della popolazione. Dunque, emanò un decreto che vietava rigorosamente ai soldati francesi ogni consumo di hashish, liquido o solido. È in assoluto il primo atto – constata lo studioso di Yale – di un’autorità europea contro gli stupefacenti.
Comunque, il dilagare dell’Erba in tutto il mondo musulmano è continuata a tal punto che, nel 1922, sempre i francesi – stavolta quelli che occupavano Tunisia, Algeria, Marocco – cercarono di limitare l’uso della droga vietandone la vendita libera e istituendo un monopolio di Stato. Il prezzo fu elevato di molto, per scoraggiar i clienti, e la quantità per ogni persona fu ridotta al minimo.
Nel dopoguerra, all’Incontro mondiale sugli stupefacenti, a Ginevra, i delegati musulmani chiesero che la cannabis (cui molti guardavano con indulgenza) fosse inserita nell’elenco delle sostanze da proibire e da combattere. Il delegato egiziano fece un intervento drammatico: “L’hashish è la causa principale di alienazione mentale del nostro Paese, essendo responsabile del 40 per cento dei ricoveri urgenti in ospedale e fiaccando le energie dei lavoratori, sia giovani che adulti”.
Ogni repressione legale e poliziesca, tuttavia, non ha risolto e neppure attenuato il problema che, anzi, oggi si aggrava. Questo diciamo non certo per moralistica condanna, bensì a beneficio degli ingenui che, a fronte di un Occidente postcristiano dove la droga ha la presenza che sappiamo, favoleggiano di un mondo musulmano compatto in virtù ammirevoli: niente alcol, niente stupefacenti. E, già che ci siamo, niente omosessualità. Beh, qui sotto, parleremo pure di questo.
L’ADOLESCENTE SODOMIZZATO DA MAOMETTO
Si sa che il Corano condanna severamente i rapporti sessuali tra uomini (l’omosessualità femminile, pur molto praticata negli harem e nelle saune per sole donne, è ignorata) e sancisce, addirittura la pena di morte. Il maggior numero dei moltissimi giustiziati in quella teocrazia sciita che è l’Iran è costituita da sodomiti, spesso giovanissimi. L’applicazione della pena coranica è assai meno frequente tra i sunniti: in effetti, il Nord Africa è sin dall’Ottocento un eden per gli omosessuali europei.
Tanto per citare un esempio tra mille, André Gide, il premio Nobel, ha dedicato un intero libro alle sue avventure pederastiche in Marocco e in Algeria. Anch’egli testimonia della grande tolleranza islamica, che dura tuttora, alimentando un frequentato turismo sessuale gay.
Ma c’è un motivo ignorato dai più, anche da molti musulmani, nella comprensione dei sunniti. Questi, accanto al Corano, seguono una Tradizione (la Sunna, appunto), costituita da migliaia di frammenti, detti hadith. Questi riportano, tramandati per secoli oralmente, una parola, un detto, un atto, un silenzio del Profeta. Non soltanto il suo insegnamento ma anche la sua vita, pur nella quotidianità più banale, costituisce una base per la fede.
Ebbene, c’è un hadith (il 12669, detto Musnah Amad) del quale non parlano in pubblico i dotti ma che, segretamente, ha contribuito a creare un clima di tolleranza verso l’omosessualità. Maometto, dopo i suoi successi religiosi e militari, era circondato da una corte (tutta maschile) composta anche da giovani e giovanissimi. Uno di questi, a nome Zahid, si distingueva tra la sua bellezza e la sua grazia. Avvenne così, narra il frammento entrato a far parte della Tradizione sunnita, che un giorno il Profeta prese per le spalle il discepolo, gli sollevò la tunica che portava come solo indumento e, di sorpresa, lo sodomizzò.
Zahid non gradì quella che avvertì, non a torto, come una violenza e osò protestare con Maometto: non era proprio egli stesso che rivelava ai credenti al condanna di Allah per il sesso tra i maschi? Ma il Profeta gli replicò che avrebbe dovuto, semmai, ringraziarlo: essere non solo toccato ma addirittura posseduto dall’inviato divino era un grande e santificante privilegio. Gli esperti della Legge coranica ancora discutono: l’atto era una concessione particolare del Cielo per Maometto o costituiva un esempio che anche gli altri credenti potevano imitare?
Guardando alla prassi seguita nei secoli dall’Islam sunnita, sembra che abbia finito per prevalere l’ipotesi dell’esempio che era lecito seguire. Una conferma autorevole è data dalla poesia araba, dove molto spesso è cantata la bellezza degli adolescenti e la dolcezza degli amori con loro. Si disilludano, dunque, coloro che pensano di trovare tra i musulmani un fronte compatto contro la diffusione dell’omosessualità.
Scopriranno, sì, l’orrore per quelle “mostruosità” che, per tutto l’islam, sono le unioni o addirittura i matrimoni di uomini con uomini e di donne con donne. Ma scopriranno come, da sempre, molti dei Credenti in Allah non disdegnino il “passatempo” con gli efebi. Del resto, gli hammam, i bagni turchi di Istanbul, sono celebri da sempre anche per le pratiche omosessuali che vi si tengono. Non è stato lo stesso Profeta a cedere alla tentazione?