A partire dall’età moderna, con l’assunzione del metodo sperimentale, la scienza biologica non si limita a interpretare ma comincia a modificare il vivente; e questo non è più pensato nella sua interezza, ma in riferimento a quegli elementi che sono suscettibili di controllo, di modifica, di miglioramento: i geni. Quella che è stata definita la rivoluzione biologica ha aperto la strada alla convinzione che, grazie a un crescente controllo sull’organismo biologico, sia possibile raggiungere buona salute, benessere; la felicità cessa di apparire utopia.
Breve storia della biologia applicata e nascita della bioetica
MARIELLA LOMBARDI RICCI
La scienza biologica pre-moderna costituiva una forma di sapere teorico. Decenni, a volte secoli, separavano la ricerca dalla sua applicazione. Con l’espressione la scienza è neutra, s’intendeva appunto riconoscere che il momento conoscitivo era separato da quello applicativo. Lo scienziato non si distingueva di molto dall’umanista.
A partire dall’età moderna, con l’assunzione del metodo sperimentale che considera rilevanti solo quegli aspetti che si possono misurare, la scienza biologica non si limita a interpretare ma comincia a modificare il vivente; e questo non è più pensato nella sua interezza, ma in riferimento a quegli elementi che sono suscettibili di controllo, di modifica, di miglioramento: i geni.
Fuori da tale prospettiva, che fa del vivente un insieme di informazioni, non si sarebbe mai arrivati all’ingegneria genetica, alla costruzione di organismi geneticamente modificati e transgenici, alla fecondazione umana in vitro. Non solo, ma senza l’intreccio con l’informatica – strumento indispensabile alla ricerca in genetica – il Progetto Genoma Umano non sarebbe stato neppure pensabile.
Si è verificato, così, un grande mutamento nell’ambito della scienza biologica: il momento della ricerca è condizionato pesantemente dalla logica del mercato. Si finanziano le ricerche in vista di un brevetto, il che significa che l’applicazione è già compresa nel momento della ricerca cosiddetta pura. Si rileva, inoltre, un secondo mutamento: non è più il sapere accademico a validare il risultato della ricerca, ma il mercato.
Non solo, la via per raggiungere il risultato, nel modo più rapido e migliore, non può che essere indicato dal tecnico, l’esperto; ogni valutazione extra-tecnoscientifica non solo è irrilevante, rappresenta un ostacolo, è antiquata rispetto alla nuova scienza che è tutt’uno con la tecnologia, come indica il neologismo tecno-scienze.
Il progresso in biologia molecolare e genetica non costituisce solo un’evoluzione del sapere scientifico, ma una rivoluzione scientifica e culturale. Infatti, considerando il vivente un insieme d’informazioni/geni, la differenza sostanziale tra le specie, valida fino al XIX secolo, si affievolisce fino a scomparire, come è evidente nelle fecondazioni in vitro: le tecniche sono le stesse, stesso è il linguaggio che descrive la fecondazione della pecora Dolly e dell’essere umano.
La parola simbolica, mediante la quale l’uomo ha distinto il suo venire al mondo rispetto ad altre specie, non trova grande spazio nel laboratorio biologico. Nel momento in cui questo sapere scientifico, identificato nella capacità d’intervento sul vivente, è applicato alla medicina, i momenti forti della vita dell’uomo (nascere, morire, vivere la malattia e la sofferenza) da sempre sottratti all’intervento dell’uomo, sembrano ormai sottomessi al suo potere.
Si apre, pertanto, un capitolo complesso nella storia della scienza. Quella che è stata definita la rivoluzione biologica ha aperto la strada alla convinzione che, grazie a un crescente controllo sull’organismo biologico, sia possibile raggiungere buona salute, benessere; la felicità cessa di apparire utopia.
La rivoluzione, che deve portare a un miglioramento di vita, non è più attesa dalla politica, ma dalle biotecnologie, dalla genetica. Con l’affermarsi della teoria di Darwin, secondo cui, in natura, avviene una selezione naturale a favore del più forte, questa speranza sembra acquisire, anzi acquisisce, una valenza scientifica.
In realtà, essa viene in parte stravolta dal suo pensiero originale dal cugino di Darwin, Galton, che nel 1883 conia il termine eugenica (o eugenetica): «L’eugenica è la scienza del miglioramento della razza che non si limita al controllo di unioni giudiziose, ma che, soprattutto nel caso dell’uomo, si occupa di tutte le influenze suscettibili di dare alle razze meglio dotate la possibilità di sopraffare le razze meno buone» (Inquiries into thè Human Faculty). Galton trasforma il darwinismo biologico in darwinismo sociale. Coloro che non riescono a inserirsi nella vita sociale sono meno dotati geneticamente e quindi, per il bene della società, è necessario che lo Stato contribuisca alla selezione naturale mediante una selezione razionale.
UNA BREVE STORIA DELLA BIOLOGIA APPLICATA
Gli ultimi decenni dell’Ottocento sono caratterizzati da una grave crisi economica internazionale, l’industrializzazione porta alla migrazione grandi masse di popolazioni accolte con diffidenza dalla popolazione stanziale. La paura di imbarbarimento e degrado sociali favorisce l’accreditarsi e il diffondersi dell’eugenica. Bastano alcuni accenni a date e ad eventi.
Tra il 1890 e il 1930, gli eugenisti incoraggiano l’adozione di politiche legislative di controllo sulla nascita. Nel 1906, la London University istituisce una cattedra per l’insegnamento dell’eugenica e, nel 1907, nasce la Eugenics Education Society, il cui organo ufficiale è la Eugenie Review. Negli Stati Uniti, nel 1904, viene fondato l’Istituto di Studi Sperimentali sull’Evoluzione, che qualche anno dopo avrà la sua rivista ufficiale.
Nel 1911 L’Unione Universitaria di Oxford si afferma in oltre trenta stati, in ognuno dei quali si adatta allo specifico contesto locale, approva a larga maggioranza i principi della scienza eugenetica. L’Università di Cambridge organizza incontri di eugenetica. L’undicesima edizione dell’Enciclopedia Britannica alla voce civilizzazione indicava, tra le linee da seguire per la realizzazione del futuro progresso dell’umanità, il miglioramento organico della razza attraverso una saggia applicazione delle leggi ereditarie.
Nel 1912 si inaugura il I° Congresso internazionale di eugenetica con la partecipazione di oltre 750 tra medici, scienziati, politici, giuristi, e giornalisti, che la rivista Nature indicava come i più autorevoli esponenti in materia; la Commissione di vice presidenza era costituita da personaggi come Winston Churchill, allora ministro della marina militare.
Nel 1921, sotto il patrocinio del Segretariato statunitense al commercio e i Rettori della Clark University e Carneige Institution di Washington, si svolge il II Congresso internazionale di eugenetica. Solo alcuni anni dopo, alcuni studiosi mostrano le prime perplessità e rifiutano l’invito a congressi e lezioni, tanto più che la stessa biologia stava cominciando ad evidenziare l’inaffidabilità dell’equazione «un gene – un carattere», sottesa alle convinzioni eugeniche.
Tra il 1890 e il 1930, il paese in cui il contesto storico mostrava maggiormente i segni dei pericoli, connessi alle migrazioni, sono gli Stati Uniti ed è da questi che cominciano ad essere emanate le prime leggi ispirate all’eugenica: 1907 nello Stato dell’Indiana, ma nel 1924 sono 27 gli Stati americani in cui la sterilizzazione coatta su base eugenica è regolata da leggi.
Nel 1932 a New York si svolge il III Congresso internazionale di eugenetica; l’eugenetica viene definita: «metascienza biologica che combina insieme differenti discipline come la statistica, la genetica, l’antropologia, l’analisi psicometrica, la storia e la religione in una forma di medicina preventiva che si sforza di definire e sradicare le malattie ereditarie. La ricaduta sociale dell’informazione genetica è l’igiene razziale».
Il 30 gennaio 1933 arrivano al potere Hitler e il partito nazionalsocialista che emana la prima legge per la prevenzione della nascita di individui portatori di malattie genetiche.
UN’ETICA PER LA BIOLOGIA: LA BIOETICA
I pronunciamenti delle Nazioni Unite dopo la seconda guerra mondiale (la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo che afferma il primato assoluto di ogni singolo essere umano – e non della specie umana – e, in ambito medico, il Protocollo di Norimberga, poi Dichiarazione di Helsinki, che fissa regole e limiti della ricerca clinica sull’uomo) indicano la consapevolezza di due esigenze.
La prima: non si può considerare la scienza del XX secolo un sapere neutro, come in passato; la seconda: il primato dell’uomo, sintetizzato nell’espressione dignità umana, non può mai essere violato, costituisce un crimine contro l’umanità. Tale condanna è riconosciuta anche ai 22 protocolli di ricerca scientifica – corretta dal punto di vista del rilevamento dei dati oggettivi, ma irrispettosa del fondamento della relazione medico-paziente basata su fiducia e rispetto – oggetto del processo di Norimberga. Da questo momento è palese, da un lato, l’esigenza di difendere la libertà di ricerca, dall’altro il riconoscimento che tale libertà non è assoluta.
Tra gli anni ’60-70, l’ingegneria genetica mostra la realizzabilità di manipolazioni genetiche e fecondazioni in vitro. Nel 1973 i genetisti, nell’annunciare al mondo la nuove possibilità di questo settore della biologia, ne denunciano insieme rischi e ambiguità, che propongono di analizzare in un congresso specifico: Nel febbraio 1975, in occasione della Conferenza internazionale di Asilomar, i ricercatori evidenziano le buone prospettive per il futuro dell’uomo, ma manifestano la richiesta di bloccare certi filoni di sperimentazioni e ricerche, e chiedono di istituire un Comitato ad hoc per la formulazione di linee-guida relative alla ricerca genetica. La comunità scientifica riconosce, così, l’insufficienza di un’etica intra-professionale, intra-scientifica di fronte alle nuove possibilità.
Non è un caso, quindi, tra gli anni ’60-70, nasce la nuova disciplina che – secondo l’oncologo Potter che, per primo, conia il termine bioetica – deve avere due caratteristiche. Essere sapienza, cioè capacità di cogliere tutta la complessità della questione in esame (cosa emersa ad Asilomar) e ponte, cioè capacità di valutazione sia tecnico-scientifica sia antropologica.
Una scienza capace di completare lo stadio descrittivo, proprio delle scienze sperimentali, con una riflessione sul senso dell’atto che si compie in laboratorio. Cosa fare per ottenere una Fiv si sa, ma cosa significa costruire (o dar vita, generare) un embrione umano in laboratorio? Il significato dell’agire non è oggetto delle scienze sperimentali. La riflessione, non interna alla ragione strumentale della tecnica ma propria del pensiero riflettente, è indispensabile se si vuole che la società tecnologica dell’Occidente si colleghi alla cultura umanista che ne ha caratterizzato il cammino storico.
La Risoluzione 7 settembre 2000 del parlamento europeo sulla clonazione umana, come tutti i pronunciamenti che l’hanno preceduta, va in questa direzione, indica la strada da seguire, sollecitando il divieto universale all’uso dell’embrione in vitro e il rispetto di ogni essere umano a qualsiasi stadio di sviluppo (1).
La bioetica è nata come ponte, come articolazione tra orizzonti diversi di sapere, scientifico-tecnologico e antropologico. Se, analizzando una questione, non si procede così, non si fa questo o quel tipo di bioetica (laica, cattolica, utilitarista, contrattualistica…), semplicemente non si fa bioetica. Questo è il significato della multidisciplinarietà che caratterizza la bioetica.
Se si affronta una questione di bioetica, ad es., la procreazione assistita, non si può non interrogarsi anche sul senso del nascere dell’uomo. In altre parole, la scienza biologica e genetica, nella sua autonomia, non può non collegarsi alla filosofia, all’antropologia e all’etica.
Esemplare è la testimonianza di J. Testart che, scrutando nel suo laboratorio il processo della fecondazione che da vita ad Amandine, di fronte all’ovulo appena fecondato, scrive: «Solo, con questa cosa viva, nella notte prossima all’alba, ho spesso sognato che là [nel vetrino] c’era, forse, il nostro primo bambino e che m quel momento vedeva la luce (2) per la prima volta»
Note
Mariella Lombardi Ricci, docente a contratto di bioetica all’Università cattolica del Sacro Cuore di Roma (sede parallela di Torino) e alla Facoltà teologica di Torino
1) Dalla Risoluzione del Parlamento europeo sulla clonazione umana approvata il 7 settembre 2001, «B. considerando che l’indiscutibile esigenza di ricerca medica derivante dai progressi realizzati nella conoscenza della genetica umana deve essere controbilanciata da rigorose limitazioni etiche e sociali, 6. ribadisce il suo appoggio alla ricerca scientifica biotecnologica in campo medico, a condizione che essa sia controbilanciata da rigorose limitazioni etiche e sociali; 7. reitera la sua richiesta di tecniche di inseminazione artificiale umana che non producano un numero eccessivo di embrioni, al fine di evitare di generare embrioni superflui;»