Corrispondenza Romana n.1318 del 20 novembre 2013
di Federico Catani
Ordinario di diritto pubblico alla Sapienza di Roma, ministro delle Finanze (1987) e dell’Industria (1992-’93) in quota Dc, il prof. Giuseppe Guarino, classe 1922, non è certo un populista euroscettico. Per questo il suo saggio critico verso l’euro, uscito in tre puntate sul “Foglio” (13-14-15 novembre 2013), merita un’attenta lettura. Secondo Guarino, il 1° gennaio 1999 si è consumato un vero colpo di stato, perché nei mercati è stato immesso un euro diverso da quello previsto dal Trattato dell’Unione europea (Tue). Il motivo? Un regolamento adottato in violazione alle norme stabilite.
Secondo il Tue, infatti, l’introduzione della moneta unica avrebbe garantito la sovranità degli Stati, chiamati a concorrere, autonomamente e in base alle proprie specificità, alla crescita dell’Unione. Liberi o meno di aderire all’euro, i Paesi membri avrebbero avuto la possibilità di abbandonarlo «specie ove la domanda sia motivata con la profonda insoddisfazione per il modo in cui l’Unione è stata gestita e per i danni che ne sono derivati». Tuttavia, col regolamento 1466/97 si è modificata la disciplina del Trattato.
Tale regolamento – causa prima e unica, secondo Guarino, della depressione che oggi coinvolge l’intera eurozona ‒ è stato adottato seguendo il procedimento previsto dal Tue. Peccato però che questo procedimento «non conferiva alcuna autorità a modificare il Trattato e aveva un oggetto del tutto diverso». La nuova disciplina ha quindi violato il Tue e, come afferma Guarino, gli atti che ne derivano sono inesistenti e nulli.
Il regolamento ha abrogato il diritto-potere degli Stati di concorrere alla crescita con la propria politica economica e l’ha sostituito con l’obbligo assoluto di raggiungere il pareggio di bilancio a medio termine, costi quel che costi. Il tutto per assicurare la stabilità, sul cui altare vanno sacrificati gli interessi nazionali. In tal modo si è soppresso «l’unico spazio di attività politica soggetto all’influenza dei cittadini dei singoli stati membri, lo spazio delle politiche economiche».
Gli Stati hanno così perso sempre più sovranità e ora i governi devono limitarsi a “fare i compiti” ad essi assegnati. Guarino arriva pertanto alla conclusione che «il reg. 1466/97, nell’intero ambito della politica economica e della gestione della moneta, ha soppresso il regime democratico», e ciò è avvenuto nonostante la democrazia sia il principio fondante dell’Ue. Di fatto è stato instaurato un nuovo regime, così come avvenne in Francia nel 1789 e in Russia nel 1917. I responsabili di questo golpe sono tutti coloro che hanno concorso alla formazione del regolamento (membri della Commissione, titolari degli organi dell’Unione e dei governi dei Paesi membri). Ma chi pagherà per questa decisione scellerata? Si continuerà a idolatrare ancora le «magnifiche sorti e progressive» dell’Ue?
La soluzione proposta dallo studioso, opinabile, ma preziosa perché in contrasto con l’euro-conformismo dominante, consiste nell’uscita degli Stati più colpiti dall’attuale sistema (come l’Italia) dall’area dell’euro. Infatti, poiché l’ammissione alla moneta unica è basata su una decisione volontaria, si può abbandonare l’euro in ogni momento. Per evitare pressioni esterne, secondo Guarino, ci vorrebbe l’unione di alcuni Paesi, che «potrebbero decidere di mettere in comune la loro sovranità creando una nuova entità politica, cui affidare la gestione di una moneta comune a sua volta di nuova creazione». Nulla lo vieta.
La nuova moneta circolerebbe all’interno dell’Ue così come oggi circola la sterlina e la determinazione del nuovo valore di cambio permetterebbe anche di risarcire i danni provocati ai vari Paesi dall’imposizione illegale «di una disciplina dell’euro diversa da quella pattuita all’atto della stipulazione del Trattato Ue». Un modo per non farsi stritolare dalla dittatura finanziaria di Bruxelles.