Avvenire Giovedì 14 Dicembre 2017
Gli studi dello storico Guiducci su un graffito scoperto nei recenti restauri sembrano smentire la vulgata secondo cui nel celebre anfiteatro non furono uccisi cristiani
di Roberto I Zanini
Ci fu martirio di cristiani nel Colosseo? La questione si trascina da tempo. Gli storici moderni hanno avanzato teorie che nei fatti lo escludono, sostenendo che i cristiani a Roma venivano uccisi in altri contesti come nelle carceri, nel Circo di Nerone (o nelle vicinanze) o addirittura nel Circo Massimo, per non dire lungo le strade o in contesti periferici. E da anni, ormai, è questa la versione ufficiale.
Esiste però una traditio che riferisce di un elevato numero di martiri uccisi nel Colosseo e non è un caso che, il venerdì Santo, la Chiesa celebri la Via Crucis alla presenza del Papa in questo luogo, inteso come simbolo delle uccisioni di fedeli in Cristo avvenute a Roma come in tutto il mondo. Un simbolo che a-desso, però, sembra avvalorato dagli studi storici sul ritrovamento del disegno di una croce su un tratto di intonaco risalente al terzo secolo.
Il ritrovamento di questo intonaco e dei graffiti su di esso segnati, risale ai recenti restauri dell’Anfiteatro Flavio. In un primo momento la presenza della croce è stata trascurata, anche perché inserita in un contesto di parole, numeri e segni sovrapposti e risalenti a varie epoche.
Quando però Pier Luigi Guiducci, docente di Storia della Chiesa alla Lateranense, si è imbattuto per caso in una fotografia di questo “lacerto” di muro, è scattata una molla. «Ho visto subito la croce in basso a sinistra. Ho notato che era di un colore rosso diverso dal resto delle scritte e ho deciso di approfondire», afferma lo storico, che il giorno 16 dicembre (ore 10) presenterà i risultati dei suoi studi nel teatro del Centro polivalente Il Girasole a Roma in via Donato 48.
Ma cosa ha di diverso la croce trovata al terzo livello? Intanto il colore. Il rosso che è stato usato per segnarla sul muro è tipico del III secolo e molti ritrovamenti testimoniano che lo stesso pigmento è stato utilizzato proprio nel Colosseo per la decorazione degli intonaci interni. Inoltre la croce è disegnata, in piccolo, fra due grandi lettere “T” e “S”, ed è posta, in posizione lievemente sopraelevata, sulla linea grafica che le congiunge alla base. Il suo significato è quindi strettamente collegato a quello delle due lettere che la inscrivono.
Conclusione alla quale Guiducci è giunto lavorando con tecniche digitali di elaborazione delle immagini per isolare perfettamente la struttura grafica del disegno dal resto dei graffiti presenti sulla parete.
A questo punto non restava che comprendere il rapporto fra le due lettere e la croce. Prima si è pensato all’ipotesi che si trattasse della prima e dell’ultima lettera di un nome romano, come Tarcisius o Theseus. Ma da varie risultanze di graffiti di epoca latina si sa per certo che i romani non avevano l’abitudine di segnare i nomi propri sui muri con la prima e l’ultima lettera, ma li scrivevano per esteso.
Vagliate altre ipotesi, Guiducci ha pensato di contestualizzare le due lettere nell’ambiente degli spettacoli che si tenevano nell’arena e nel contesto sociale relativo al suo terzo livello. Cosi è giunto alla conclusione che con “T” ed “S” si sia voluta indicare la parola Taurus.
Fra la seconda metà del secondo secolo e tutto il terzo secolo i tori erano fra gli animali più usati nelle arene. Avevano un valore simbolico di forza e di coraggio riconosciuto in tutta l’antichità. Inoltre sul colle Palatino, a fianco del Colosseo, c’era un tempio dedicato a Cibele, dea per il cui culto era necessario il sacrificio di tori. Nei circhi i tori venivano usati per i combattimenti con gladiatori, per i combattimenti fra animali, ma anche per uccidere i condannati a morte (damnatio ad bestias).
L’ingresso nel toro nell’arena era particolarmente atteso dagli spettatori e nel Colo’sseo, che poteva contenere 70 mila persone, il grido «Taurus, taurus, taurus» si alzava spesso quando questi animali tardavano a essere immessi sull’arena o quando, fatti entrare i condannati a morte, la consuetudine dello spettacolo prevedeva la crudele incitazione della folla all’ingresso dei tori.
Ora, come spiega Guiducci, da numerose attestazioni sappiamo che anche tanti cristiani, condannati a morte perché non abiuravano, venivano condotti nelle arene per subire la stessa sorte di tanti criminali. Ignazio di Antiochia, per esempio, subì questa sorte nel 107 e proprio nell’anfiteatro Flavio. In alcune particolare occasioni, come per la celebrazione di importanti vittorie militari, al Colosseo si indicevano “giochi” di festeggiamento che duravano mesi e gli “spettacoli” erano anche tre al giorno, con l’impiego di migliaia di animali e di uomini: per la vittoria sui Daci, l’imperatore Traiano organizzò 123 giorni di combattimenti.
Come nel caso di Ignazio, i condannati venivano “importati” per l’occorrenza da varie parti dell’impero. E per condannare dei cristiani a morte ci voleva davvero poco. Tertulliano alla fine del secondo secolo scrive che qualunque cosa accadesse nell’impero, «che tracimasse il Tevere o vennise a piovere», subito si alzava il grido «Christianos ad konem».
Ecco allora che la croce inscritta nella parola “taurus” disegnata col rosso nel buio corridoio che conduceva al terzo anello del Colosseo, destinato al popolo urlante, acquista il tono di una chiara invocazione alla misericordia, una affidamento al Cristo che salva, per il cristiano che ha appena trovato, o sta trovando la morte lacerato da un toro, nella sottostante arena.
Insomma, quella croce posta a congiunzione fra le lettere “T” e “S” è in qualche modo una sorta di attestazione storica che nel Colosseo, fra secondo e terzo secolo, c’è stato chi ha avuto piena coscienza che un cristiano era morto ad bestias fra sanguinari incitamenti «taurus, taurus», e ne ha avuto pietà.
Tutto questo ragionamento, dicevamo, sarà accuratamente documentato nel convegno del 16 dicembre da Pier Luigi Guiducci, che sui martiri cristiani ha fatto – molti studi e che nell’occasione parlerà anche di un’altra recente scoperta. Si tratta della presenza di alcuni “Chrismon” (il monogramma di Cristo composto dalla lettere greche Chi e Rho) nel criptoportico rinvenuto negli scavi sotto l’ambasciata americana a Roma. Struttura degli antichi Horti Sallustiani, pertinenza del potere politico, a conferma che i cristiani erano anche fra le classi agiate e avevano bisogno di indicare la loro presenza.