Formiche, n.32 dicembre 2008
Guardare alle ragioni della recessione globale attraverso la chiave dell’economia sociale di mercato, implica la capacità di incrociare due visioni differenti, con il vantaggio di coglierne tutta la complessità: quella economica e quella sociale. E dare valore alla dimensione antropologica della crisi finanziaria in atto
di Flavio Felice
(Docente presso la Pontificia Università Lateranense e la Luiss Guido Carli. È presidente del Centro Studi Tocquevillé-Acton)
“Oltre il mercato: dal marxismo alla dottrina sociale della Chiesa” è il tema sul quale la direzione di Formiche mi ha chiesto di sviluppare una breve riflessione. Ebbene, il solo immaginare che si possa andare oltre il mercato per approdare tra le braccia del marxismo ovvero della dottrina sociale della Chiesa appare sintomatico di come si abbia una distorta idea del mercato, del marxismo e della dottrina sociale della Chiesa.
Il “mercato” è una categoria logica e non storica — lo stesso discorso vale per il “capitale” —, ne consegue che l’eventuale superamento dovrebbe avvenire nel campo della logica e non della storia, il “marxismo” offre un’interpretazione parziale e falsata dell’agire economico e la “dottrina sociale della Chiesa” non è una terza via tra il capitalismo ed il comunismo, ma un’autonoma prospettiva antropologica: essa non invita affatto ad andare oltre il mercato, quanto lo qualifica attraverso la cifra morale del rispetto della dignità della persona.
Nel brano della Weil sono oltremodo chiari alcuni elementi cruciali del pensiero di Marx: dalla teoria dell’accumulazione, alla teoria del plusvalore, dalla teoria dell’alienazione a quella del crollo del capitalismo, il tutto nel contesto di una concezione storicistica. Una concezione in forza della quale l’agire umano sarebbe ingabbiato nel regno della necessità, una storia dominata da forze impersonali o meta-personali al cui dominio la persona non potrebbe sottrarsi, pena l’accusa di operare contro “il divenire” e la conseguente condanna che meritano tutti coloro che si rifiutano di spingere il “carro” della storia nella “giusta” direzione.
L’attuale crisi finanziaria ha spinto alcuni opinionisti a formulare tesi sulla fine dell’economia di mercato e la rivincita del marxismo sul capitalismo. Il che significa che la crisi finanziaria darebbe ragione al comunismo e condannerebbe il sistema di libero mercato ad una crisi irreversibile. Il tema centrale dell’opera di Marx può essere sintetizzato nell’espressione: critica dell’economia politica.
La critica di Marx all’economia politica ha inizio allorquando il nostro autore fa coincidere l’economia politica “l’anatomia della società civile”: così come l’anatomia è la scienza che studia le singole parti del corpo umano e ci mostra il modo in cui esse si relazionano e funzionano, l’economia politica ci consente di guardare in modo analitico i fenomeni che caratterizzano la società civile.
La posizione di Marx è che l’economia politica mostra gli aspetti della società civile, ma non li spiega. Spiegarli significherebbe porsi delle domande, come ad esempio il perché della proprietà privata, il perché del mercato ed il perché del capitale. Tali domande sono, in un certo senso, le voci del paradigma economico di Marx.
Egli nega alla proprietà privata, al mercato ed al capitale i caratteri di categoria logica, indipendentemente dal sistema di organizzazione sociale. Al contrario per Marx proprietà privata, mercato e capitale appartengono a categorie storielle e vengono considerati in relazione ad un tipo particolare di rapporti sociali. La critica del nostro autore all’economia borghese è data dalla pretesa di quest’ultima di considerare la società civile, ossia la rete di relazioni sociali mediate dal mercato, la società naturale ed universale, mentre la sua opinione è che essa sia tutt’altro che naturale.
Ebbene, tanto sul concetto di proprietà privata, quanto su quello di mercato, così come sulla nozione di capitale, la tradizione della dottrina sociale della Chiesa mostra una prospettiva alquanto diversa. Per la comprensione di tali concetti la dottrina sociale della Chiesa parte dal presupposto che l’economia (dunque le sue istituzioni) sia naturaliter per la persona, perché nell’ambito di ciò che riguarda gli affari sociali non esiste che la persona.
Partito, classe, razza, corporation, nazione sono tutti concetti riducibili all’homo agens. Come ha ripetutamente evidenziato Luigi Sturzo, solo la persona agisce, solo la persona pensa, soffre, spera, gioisce, in definitiva, solo la persona sceglie; e l’economia è la scienza che tenta di risolvere i problemi relativi alle scelte allocative di persone reali, in un mondo di risorse e conoscenze scarse.
La tradizione della dottrina sociale della Chiesa tiene in seria considerazione il tema dell’antiperfettismo sociale. La contingenza che contraddistingue la costituzione fisica e morale della persona umana, il suo essere ignorante e fallibile, imperfetto, ma perfettibile, fa del mercato — ad esempio — uno strumento privilegiato di cooperazione, mediante il quale si attiva un processo di scoperta teso alla soluzione di umanissimi problemi allocativi. In tal senso, il mercato non è un incidente della storia, ma un sistema di relazioni attraverso il quale ciascuno tenta di soddisfare i propri bisogni ricorrendo alla soddisfazione dei bisogni altrui.
Sappiamo che, passando per la possibile conoscenza dei singoli piani personali, attraverso tentativi ed errori, da sempre le donne e gli uomini del nostro pianeta tentano di scoprire come allocare nel modo più razionale le risorse materiali ed immateriali necessariamente scarse. Scarse in termini di quantità disponibili e scarse in termini di conoscenza delle loro possibili allocazioni alternative.
Dunque, un’economia per l’uomo, nella prospettiva della dottrina sociale della Chiesa, presume in primo luogo una prospettiva antropologica di tipo relazionale ed una prospettiva epistemologica di tipo personalistico, mentre Marx propone un’antropologia ispirata dalla dialettica “servo-padrone” ed una epistemologia di tipo olistico: “Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere sociale, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza”.
Al contrario, dal punto di vista della dottrina sociale della Chiesa, se si esclude la persona o se si assume come meramente strumentale la sua presenza ai fini della costruzione di modelli matematici formalmente ineccepibili, se la si ignora fino a farla diventare marginale, intenzionalmente o no, le ragioni stesse della persona saranno sostituite dalle ragioni delle organizzazioni e la persona in carne ed ossa sarà sempre disarmata di fronte a chi vorrà sacrificarla sull’altare di “forze maggiori”: il destino della storia, la superiorità di una razza, la dittatura di una classe, il dominio di una nazione e multa exempla docent
La speranza è che la consapevolezza della fine di un’era non induca a confondere le multiforme patologie del sistema di mercato con la sua fisiologia e, nel contempo, formuliamo l’augurio che una tale presa di coscienza conduca le classi dirigenti economiche, politiche e culturali a livello globale, piuttosto che rifugiarsi in oscure profezie liberticide, a riconsiderare la rilevanza antropologica — personalistica – della crisi finanziaria che stiamo vivendo.
È necessario comprendere che il libero mercato non esiste al di fuori delle regole della libera concorrenza, la quale non è estranea ad una prospettiva antropologica relazionale e personalistica. Piuttosto che a Marx, dunque, le ragioni dell’attuale crisi, osservata alla luce della dottrina sociale della Chiesa (si pensi al paragrafo 42 della Centesimus annus), ci invitano a guardare con rinnovato interesse all’economia sociale di mercato, una visione economica e sociale in forza della quale il mercato è il campo di gioco, le persone sono i giocatori e lo Stato è l’arbitro.
È questo, forse, il lascito più prezioso e teoricamente più significativo che ci giunge dalla rilettura delle opere dei padri di tale teoria: da Ropke ad Adenauer, da Sturzo a Einaudi. Quanto a Marx: requescat in pacem.