Vita e Pensiero n.2 – Aprile-Marzo 2014
Karol Wojtyla
Originariamente comparso su «Vita e Pensiero» nel 1978 (fascicolo unico 4-6, luglio-dicembre), riproponiamo qui un testo scritto dal cardinale Karol Wojtyla, arcivescovo di Cracovia, che nell’ottobre di quel medesimo anno venne eletto papa, con il nome di Giovanni Paolo II
E’ un bene se, nel contesto di tutti i contributi che «Vita e Pensiero» pubblica in questo volume, si trova anche una domanda riguardante le frontiere dell’Europa. Ciò dev’essere compreso come un tentativo di completare o piuttosto di correggere la visione che apparirà dal complesso degli importanti saggi specialistici che in queste pagine intendono offrire, appunto, un certo quadro dell’Europa, soprattutto dell’Europa contemporanea.
Senza questa domanda, tale quadro sarebbe unilaterale, cosa che d’altronde succede abbastanza spesso. L’inclinazione a pensare e parlare dell’Europa in dimensioni esclusivamente “occidentali” è una caratteristica degli uomini e degli ambienti che rappresentano proprio questa parte occidentale dell’Europa, e forse non soltanto di essi. Senza dubbio questo modo di pensare e di esprimersi ha le sue ragioni; deriva anche da certi fattori e circostanze oggettivi. Ciononostante vi è in essi una certa unilateralità, forse anche qualcosa del genere: un certo “malcontento professionale” (se il fatto dell’europeità oppure di essere europeo in senso “occidentale” si può capire come una “professione”).
Perciò accolgo con piacere l’invito della redazione di «Vita e Pensiero» a rispondere alla domanda riguardante le frontiere dell’Europa.
Sono convinto che la divisione esistente da oltre trent’anni fra l’Europa occidentale e quella orientale in un certo senso ha eliminato dal comune modo di pensare e di esprimersi il carattere particolare della Mitteleuropa.
Da trent’anni la divisione dell’Europa in occidentale e orientale corre lungo una frontiera politica e costituzionale, la quale ha diviso anche una stessa nazione in due mondi (si tratta della nazione tedesca). Invece nella prima metà del nostro secolo, soprattutto tra la Prima e la Seconda guerra mondiale, la concezione della Mitteleuropa era molto sentita. Tale concezione era in primo luogo impregnata del contenuto stesso dei popoli e delle nazioni che si erano manifestati particolarmente forti in questa parte dell’Europa, con la loro ricchezza e insieme con la loro grandissima diversità, soprattutto quando il centro dell’Europa si è spostato al sud: è noto che la più grande diversità di carattere demografico e nazionale dell’Europa si trova nella penisola balcanica.
La frontiera che corre negli uomini stessi
Quando ci poniamo la domanda «Una frontiera per l’Europa: dove?», già con la stessa formulazione di questa domanda lasciamo intendere che tale frontiera dev’essere concepita in modi molteplici, che noi la accettiamo con diversi significati. È giusto; proprio così dev’essere posto tale problema.
Se si parla della frontiera geografica dell’Europa, allora questa è già precisata: corre lungo le montagne degli Urali. A oriente di essi inizia l’enorme continente asiatico, a occidente c’è il molto più piccolo continente europeo, il quale, considerando le proporzioni meramente numeriche espresse in chilometri quadrati, si potrebbe dire una vistosa penisola di questo continente euro-asiatico. Così la frontiera geografica dell’Europa non crea problemi a occidente, a settentrione e a meridione, e neanche a oriente, dove essa sembra più concordata che naturale. Nondimeno la domanda che viene posta qui riguardo alle frontiere dell’Europa è giusta e necessaria. Si tratta, infatti, non soltanto delle frontiere che traccia la terra stessa, ma delle frontiere molto più profonde che si trovano negli uomini stessi.
Tali sono proprio le frontiere che dividono le società, soprattutto le nazioni, legandole a una determinata parte di territorio, che ha avuto un particolare significato proprio nel continente europeo. Sappiamo allora quali fattori decidono una simile divisione. La lingua, la cultura, la storia ci permettono di tracciare la linea lungo la quale corre la frontiera tra la Francia e la Germania oppure tra la Germania e la Polonia. Si può dire che la frontiera corre nello stesso modo a oriente, dove si trova l’uomo che definiamo “asiatico”, e a occidente, dove c’è l’uomo cosiddetto “europeo”?
In quale modo tale frontiera può essere considerata anche “naturale” e in quale modo “concordata”?
Tale frontiera è “naturale” in un grado molto minore che le frontiere tra le nazioni, mentre l’analogia riguardo alle frontiere statali spesso concordate è ancora più lontana. Come si sa, gli sforzi intrapresi al termine della Prima guerra mondiale per stabilire le frontiere politiche tra gli Stati secondo i criteri dell’appartenenza nazionale non hanno superato nel continente europeo le prove della Seconda guerra mondiale.
Dalla storia della mia nazione so che alcune generazioni di polacchi han dovuto portare sulle proprie carte d’identità il timbro di un’altra appartenenza statale, nonostante vivessero sulla terra dov’erano nati. E tutto ciò accadde in conseguenza della spartizione della Polonia, cioè della Repubblica delle tre nazioni: Polonia, Lituania e Ucraina. La spartizione ha cancellato il nome della Polonia come Stato dalla carta dell’Europa per il periodo di tempo che va dal 1795 al 1918; però la nazione (o piuttosto le nazioni) hanno resistito, vivendo con una propria e autentica vita, certamente difficile.
«La nozione di “europeo”: le sue due variazioni
Naturalmente la nozione di “europeo”, corrispondente alle frontiere dell’Europa in senso geografico, non può essere ridotta soltanto alle stesse dimensioni delle frontiere. Essa non è neppure determinata dall’originaria unità delle lingue indo-europee, malgrado che la loro analogica struttura continui a proiettarsi sulla psiche dei popoli che vivono in Europa (non soltanto per ragioni genetiche, ma anche per il principio dell’accoppiamento reciproco). Così la nozione di “europeo” è una nozione divergente, almeno dal punto di vista dell’ampiezza dell’appartenenza nazionale degli abitanti dell’Europa geografica. Sembra, però, che tale spartizione non abbia un significato fondamentale e definitivo per la storia spirituale dell’Europa, per la formazione delle frontiere interne del continente, per la divisione tra Occidente e Oriente europeo e anche per la formazione della stessa Mitteleuropa (oppure del suo spostamento verso oriente o verso occidente).
In tal caso devono essere presi in considerazione i diversi criteri e gli altri elementi che si sono manifestati nella storia del nostro continente già dopo la caduta dell’impero romano e alla conclusione delle migrazioni dei popoli europei. Il processo di divisione dell’Europa in occidentale e orientale avvenuto nel secondo millennio – processo che ha concorso a formare, nell’ambito della più vasta categoria di “europeo”, due variazioni di tale concezione – si spiega con l’influsso religioso-culturale di due centri, situati sui confini meridionali dell’Europa (uno di essi si trova geograficamente dall’altra parte del Bosforo, cioè sul territorio dell’Asia). Questi centri sono Roma e Costantinopoli.
Il fatto che le frontiere dell’Europa, e piuttosto dell'”europeità”, corrano anche nell’ambito geografico dell’Europa è in stretta connessione con la formazione di questi due centri, i quali originariamente consistevano soltanto in una certa spartizione; ma già all’inizio del millennio attuale cominciarono a mostrare l’esistenza di certe contrapposizioni.
Si tratta non soltanto di spartizione e contrapposizione di due centri di potere (originariamente anche statale e sempre ecclesiale), ma anche di diversità di tradizioni culturali. Tale diversità e contrapposizione soltanto parzialmente s’identifica con la distinzione pre-cristiana tra Grecia e Roma; ha però un proprio profilo e deriva da numerose cause e circostanze, che fanno parte del complesso della storia della Chiesa e della politica dell’Europa dell’inizio del nostro millennio.
È noto quale significato abbia avuto nel corso del primo millennio per la formazione di questo centro orientale la dinamica penetrazione degli influssi greci e dell’Asia Minore. Costantinopoli, ch’è stata a suo tempo il centro di formazione della variazione orientale dell’ “europeità” ed è rimasta il suo simbolo, è essa stessa il risultato della reciproca penetrazione di queste influenze. Deve essere preso in considerazione questo breve settore del confine geografico tra l’Europa e l’Asia. Forse ancor di più perché questo lungo settore settentrionale corre lungo gli Urali fino al Mar Caspio e lungo il Caucaso fino al Mar Nero. Sembra che questa sia la frontiera lungo la quale si è formata soprattutto l’Europa orientale o piuttosto la variazione orientale dell’ “europeità”: frontiera non soltanto della contrapposizione e delle antinomie interiori, che portano con sé l’Oriente e l’Occidente europei, ma anche frontiera del reciproco complemento, della complementarità, alla cui base si trova però una sorgente comune.
Una prospettiva millenaria della storia polacca
Desidero per il momento rivolgere lo sguardo al processo di formazione di queste due variazioni dell’ “europeità” (occidentale e orientale), attraverso la storia millenaria della Polonia, della mia patria. Faccio questo con tanto più coraggio, dal momento che all’inizio della Seconda guerra mondiale la Polonia è stata chiamata chiave dell’Europa (R.L. Buell, Poland: Key to Europe, Alfred A. Knopf, New York-London 1939).
E’ noto che la missione dei santi Cirillo e Metodio, lasciando Costantinopoli, è giunta fino ai confini meridionali della storica Polonia, che corre lungo i Carpazi. La preistorica evangelizzazione della Polonia meridionale, cioè il battesimo dei Vislani nel secolo IX, è connessa proprio con questa missione. Il battesimo ricevuto dal primo sovrano storicamente accertato della Polonia nel 966 a Poznan oppure a Gniezno e la consapevole azione della dinastia dei Piast alla quale egli ha dato inizio hanno deciso che la nazione e lo Stato da lui creato fossero strettamente vincolati con la Santa Sede e con la cultura occidentale, proiettati da Roma. Nell’ambito di questo stesso influsso si trovò più tardi (decisamente nel secolo XIV) la Lituania, situata al nord della Polonia.
In questo confine, che è stato raggiunto dall’influsso della proiezione di Roma, si può riconoscere senza ombra di dubbio la frontiera che nell’ambito dell’Europa geografica decide della divisione tra l’Oriente e l’Occidente. Proprio in queste terre, dove si è formata la storia della Polonia – anche già come Stato di un’unica nazione nel periodo dei Piast fino al 1370 e soprattutto come “repubblica dell’unione” delle tre nazioni iniziata sin dalla fine del secolo XIV – avvenne questo incontro secolare delle influenze provenienti dall’Occidente e dall’Oriente, da Roma e da Costantinopoli.
Tale incontro merita un profondo studio proprio dal punto di vista della titolazione di questo articolo, formulato sotto forma di domanda: «Una frontiera per l’Europa: dove?». Qui siamo obbligati a limitarci soltanto alla segnalazione di tale problema, la cui importanza fondamentale non può essere coperta né da un evento di carattere politico, cioè l’unione tra la Polonia e la Lituania nel 1375, né da un evento di carattere ecclesiastico, cioè l’unione di Brest-Litowsk nel 1596.
Evidentemente tali eventi testimoniano già di per se stessi il processo di reciproca penetrazione — oppure di contrapposizione – degli influssi provenienti da due diversi centri di proiezione. Si potrebbe avanzare l’ipotesi che proprio tale processo di penetrazione oppure di contrapposizione di queste influenze dell’Occidente e dell’Oriente sia essenziale per la formazione della Mitteleuropa. Probabilmente è importante il fatto che tale processo non ebbe termine con l’assorbimento dell’Oriente da parte dell’Occidente né dell’Occidente da parte dell’Oriente, e neppure con la creazione di qualche forma di conformismo in una sola direzione. Questo è stato piuttosto un tentativo secolare di coesistenza e di cooperazione delle suddette variazioni de!T”europeità”, sviluppatesi in modo regolare.
Ciò è importante soprattutto quando si tratta di valutare l’unione ecclesiale, la quale oggi viene esposta a semplificazioni troppo precipitose in nome dell’ecumenismo del secolo XX.
Dialettica delle frontiere dell’Europa: l’Oriente.
Lo studio del problema della frontiera tra Oriente e Occidente, così importante per lo sviluppo dell’Europa, richiede l’introduzione ancora di un elemento che, benché spesso non venga preso in considerazione, non è privo di significato per la storia dell’Europa antica e odierna. Si tratta di un’azione militare sull’Europa proveniente dall’interno dell’Asia.
Questo avvenimento o il ripetersi di tali avvenimenti si differenziano sostanzialmente, dato il loro carattere, da quegli episodi di penetrazione creativa che avvenivano nel corso del primo millennio, soprattutto nel settore della frontiera che corre tra l’Asia e l’Europa: lungo il Bosforo e gli stretti dei Dardanelli. Questi ultimi hanno avuto un certo collegamento con il processo di evangelizzazione; mentre le invasioni militari provenienti dall’interno dell’Asia sono state determinate dal desiderio di conquistare e rendere schiavi dei popoli, i quali in quel periodo di tempo (secolo XIII) cominciavano ad avere un proprio profilo culturale e politico abbastanza chiaro.
Le invasioni dei tartari, i quali già nella prima metà del secolo XIII avevano sconvolto la Russia (Ucraina), hanno poi distrutto le terre polacche e hanno raso al suolo città e villaggi. I mongoli, fermati sulla pianura di Lignica dal figlio di sant’Edvige, Enrico il Pio, si sono ritirati a oriente della linea di Dniepr, stabilendosi sul territorio dell’odierna Russia.
Adamo Mickiewicz – sempre con quella simpatia che lui stesso e i polacchi hanno per il popolo russo – nelle sue lezioni parigine, tenute alla Sorbona negli anni 1840-1841, si pronunciava in un modo piuttosto cauto sull’influsso degli asiatici (tali erano i mongoli) nella formazione della mentalità dei popoli slavi, i quali rimasero per oltre duecento anni nei territori della Russia successiva, cioè degli zar (dal 1450) sotto questo influsso. Così la frontiera orientale dell’Europa è soprattutto la frontiera della penetrazione del Vangelo e, in un secondo tempo, è la frontiera delle invasioni provenienti dall’interno dell’Asia, miranti a rendere schiavi i popoli europei.
Di pari passo con questa strana dialettica degli avvenimenti storici, sulle rovine di molte frontiere tracciate e spostate dalla storia, si deve osservare attentamente in che modo corra la frontiera negli uomini stessi. Fino a che punto arriva in loro il senso dell’uomo e della dignità umana attinti dal Vangelo? Dove comincia la passività servizievole, derivata da secolari schiavitù? È questo che dobbiamo prendere in adeguata considerazione quando ci poniamo la domanda: «Una frontiera per l’Europa: dove?».
Dialettica delle frontiere dell’Europa: l’Occidente
Quando questa domanda viene posta dagli uomini dell’Europa occidentale, bisogna immediatamente rilevare che le frontiere dell’Europa, proprio nella parte da cui viene tale domanda, cioè a occidente, sono ovvie e non suscitano nessun dubbio.
Però, quando parliamo di frontiere non soltanto in senso geografico ma anche psicologico ed etico, allora non è difficile notare che l’Europa occidentale è oggi sottoposta a un profondo sconvolgimento, che si potrebbe definire una crisi delle sue frontiere. Non si tratta di frontiere in senso statale, poiché queste sembrano essere tranquille, quanto del resto non lo erano da molto tempo. Si tratta invece di un fenomeno di post-colonialismo, che potrebbe essere caratterizzato come un ritorno dell’Occidente europeo alle frontiere originarie. L’era coloniale ha allargato queste frontiere lontano nel mondo, trasferendole sugli altri continenti.
Il fenomeno contemporaneo del cosiddetto “restringersi” delle frontiere dell’Europa occidentale non è affatto soltanto un problema etico. Esso porta in sé non soltanto una giustificazione ma, nella stessa misura, un rimorso di coscienza e un avvertimento.
Una giustificazione: poiché le nazioni e gli Stati colonizzatori dell’Europa occidentale cercano di dimostrare che, con la loro attività sui territori colonizzati, a loro prima sottoposti, hanno preparato gradualmente i popoli all’indipendenza nazionale e alla sovranità politica.
Un rimorso: poiché senza dubbio hanno sfruttato le ricchezze umane e della natura in modo tale che i loro ex sudditi, attualmente indipendenti, non cessano di far loro delle rimostranze.
Un avvertimento: poiché il colonialismo rinasce sempre in diverse forme di neo-colonialismo.
Così nel momento in cui esaminiamo la frontiera occidentale dell’Europa, concepita lungo questo duplice significato, temporale-spaziale e nello stesso tempo essenzialmente umano, cioè etico, dobbiamo guardare verso la frontiera orientale, comprendendo anche tutta la sua specificità storico-antropologica. E viceversa. Inoltre, quando ci rendiamo conto dell’esistenza di due “mondi”, soprattutto nel senso costituzionale-politico, di due blocchi, si deve vedere anche l’intera e sua profonda complessità, che viene coperta da tale divisione.
Simile complessità è enorme e molteplice, poiché gli strati storici e la storia stessa delle anime umane e delle intere nazioni non potrà essere mai coperta con la aratura di nessun trattore meccanico. Forse anche l’uomo europeo non si identificherà mai con i processi dello sfruttamento, della produzione e del consumismo, organizzati in un tale o in un tal’altro modo.
Invece può minacciare l’uomo contemporaneo – e minaccia infatti l’europeo contemporaneo – l’alienazione connessa con tali processi, il profondo malessere della consapevolezza di se stesso e dell’umanità.
Identità e libertà sono solidali
Non dobbiamo, però, allontanarci dal tema. Sembra che rispondendo alla domanda: «Una frontiera per l’Europa: dove?», possiamo – come risultato di tali riflessioni – arrivare a certe conclusioni (e nello stesso tempo esprimere tali conclusioni nella forma delle seguenti proposte).
1. Diventa più che mai necessario riconoscere queste variazioni della concezione stessa di “europeo”, che sono state plasmate mediante le diverse tradizioni, indipendentemente dall’appartenenza a certe condizioni costituzionali e di sistema.
2. Diventa più che mai necessario riconoscere che il rispetto della dignità e la vera libertà dell’uomo non può fermarsi su nessuna frontiera, soprattutto su nessuna frontiera che corra attraverso il continente europeo.
3. È più che mai necessario rendersi conto che l’Europa, nelle sue strette frontiere geografiche, con la sua eredità di cultura e di civiltà, può costruire il suo avvenire soltanto in base a forti principi etici e soltanto se la penetrazione creativa del lievito evangelico non soccomberà in essa a causa della conquista e della schiavitù degli uomini e delle nazioni.