di Marco Invernizzi
(del Comitato per la libertà dei cristiani libanesi)
Mentre i vescovi maroniti, riuniti in sessione straordinaria a Bkerke, a nord di Beirut, lanciano un appello in cui si chiede, tra l’altro, di “porre fine al proseguimento dei massacri e delle deportazioni dei cristiani nello Chouf, a Metn e Mraige, così come agli incendi delle chiese e alla demolizione dei conventi e delle case, che proseguono nonostante la proclamazione del cessate il fuoco”, Walid Jumblatt, il capo dei socialisti drusi, che sono tra i massimi responsabili dei massacri avvenuti nella battaglia dello Chouf, viene ricevuto a Roma dal presidente del Consiglio, on. Bettino Craxi.
Simbolicamente, questi due avvenimenti aiutano a mettere in evidenza i due veri problemi che, da sempre, riguardano la nazione libanese: anzitutto, la presenza di una comunità cristiana che pretende di possedere gli stessi diritti, pubblici e privati, della comunità musulmana e che, di conseguenza, rappresenta uno scandalo per il circostante mondo islamico, la cui dottrina non può tollerare una simile eccezione: e, in secondo luogo, il fatto che l’attuale governo libanese, guidato dal presidente cristiano-maronita Àmin Gemayel, si colloca nella sfera d’influenza occidentale, ostacolando cosi il tentativo dell’Unione Sovietica, tramite il disegno egemonico siriano, di ritornare ad assumere un ruolo diplomatico e politico di rilievo nel Medio Oriente.
L’appello dei vescovi maroniti, l’incontro Craxi-Jumblatt e, soprattutto la drammatica attualità che la vicenda libanese continua ad avere nonostante il “cessate il fuoco” — che è stato decretato soltanto perché la strenua resistenza dell’esercito libanese a Suk-el-Gharb ha impedito ai guerriglieri socialisti drusi di occupare completamente le alture dello Chouf e, quindi, di entrare in Beirut — mi offre l’occasione per scrivere quello che non è quasi mai stato scritto, cioè per portare l’attenzione, soprattutto dell’opinione pubblica cattolica, sui caratteri religiosi e sulla vita storia delle comunità cristiane libanesi e, in particolare, della comunità maronita.
I cattolici maroniti devono il loro nome a un monaco eremita, Marone appunto, nato nel IV secolo e vissuto a nord della regione di Apamea, in Siria, dove riunisce intorno a sé numerosi discepoli che condividono la sua regola monastica. Alla sua morte, presumibilmente avvenuta tra il 405 e il 423, lascerà già numerosi discepoli, i quali, nel 452, andranno a stabilirsi nel monastero fatto costruire dall’imperatore Marciano, nelle vicinanze di Apamea. Questo monastero dedicato a san Marone sarà la culla della Chiesa maronita.
Pochi anni dopo la morte di san Marone, veniva convocato, nel 451, il Concilio di Calcedonia, per opporre la verità cattolica all’eresia monofisita, che negava l’esistenza in Cristo di due nature uguali e distinte, la natura umana e quella divina.
Come ha scritto padre Joseph Mahfouz, segretario generale dell’Ordine libanese maronita, nella sua relazione tenuta nell’ambito del Primo Congresso maronita mondiale del 1979, che citerò ampiamente in questo articolo, senza “il concilio di Calcedonia, per la cui difesa è nato il maronitismo (…), non arriveremmo mai a comprendere l’essenza del maronitismo”.
Per la sua fedeltà all’insegnamento del Concilio di Calcedonia e per lo zelo missionario che la portò a espandersi a Cipro, in Palestina e nella Mesopotania, la Chiesa maronita deve subire le persecuzioni degli eretici e dei musulmani, fino a quando, nel X secolo, dopo la distruzione del monastero di san Manne, sarà costretta a una massiccia emigrazione nell’attuale Libano. In questa “terra dei cedri”, la comunità maronita manterrà per secoli la sua fisionomia originale imperniata sul monachesimo, i cui esponenti rimangono ancora oggi tra i principali obiettivi della persecuzione anticristiana, come dimostra, tra l’altro, il recentissimo attentato contro l’attuale superiore dei monaci maroniti, padre Boulos Niman. Ancora oggi sono dunque sempre valide le parole che padre Mahfouz riferiva alla persecuzione di allora: (essa) “Non ha assolutamente potuto distogliere i maroniti della loro fede; anzi, queste lotte li rendevano più uniti e più convinti della verità dottrinale di cui si sono eretti difensori”.
Grazie alla dottrina di Calcedonia e alla solidarietà maturata in secoli di persecuzione, la comunità cristiano-maronita dava luogo a un sistema teologico e filosofico, che presto diventava anche un sistema sociale e nazionale, cioè impregnava di sé un mondo storico dando vita così a una civiltà.
“Possiamo anche affermare che, se la Chiesa maronita ha potuto resistere e conservare la sua identità, cioè è accaduto perché si è presto trasformata da Chiesa in nazione”, scrive padre Mahfouz nella citata relazione, cosi che “i bizantini, gli arabi e i turchi od ottomani non hanno potuto strappare ai maroniti la loro autonomia né ridurre la loro identità, perché la loro Chiesa era una nazione e non assolutamente una semplice comunità religiosa”.
Dopo lo scisma di Oriente, nei 1054, i maroniti rimangono gli unici cattolici nella zona e cosi assumono un ruolo fondamentale per il mantenimento di un rapporto tra la Chiesa di Oriente e quella occidentale.
La Chiesa maronita, infatti, non soltanto aiuterà i missionari giunti dall’Occidente, ma sarà direttamente protagonista nel ritorno delle comunità orientali al cattolicesimo, offrendo loro, tra l’altro, un rifugio nella nazione maronita sulla montagna libanese, al sicuro dalle persecuzioni delle comunità rimaste non cattoliche e di certi governatori non cristiani.
A beneficiare della presenza e dell’aiuto dei maroniti saranno, soprattutto, i cattolici armeni, che nel 1749 riceveranno da uno sceicco libanese il possesso della frazione di Bzommar, dove costruiranno un convento sotto il titolo di Notre-Dame de Bzommar; poi i greco-cattolici o melchiti, che erano dovuti fuggire dalle città della Siria per rifugiarsi in Libano, dove avranno il loro primo patriarca verso la fine del XVII secolo; e, infine, i siriaci-cattolici, ritornati al cattolicesimo nel XVII secolo, il cui patriarca Michel Jaroue troverà rifugio sulla montagna libanese nel 1784, dove fonderà, a Charfé, il proprio patriarcato, che rimane ancora oggi la sede patriarcale della Chiesa siriaca cattolica.
Se si eccettua il periodo relativo all’arrivo dei crociati — in cui i maroniti conosceranno un tempo di pace e di tranquillità — la storia della comunità cristiano-maronita ha come caratteristica costante la persecuzione. Una persecuzione che non accenna a diminuire, al punto che, davanti alla sua attuale recrudescenza, mi pare opportuno porre la domanda con cui padre Mahfouz chiudeva il suo intervento nel 1979: “In una prospettiva sul futuro, ci si chiede anche se vi sarà sempre, in Oriente, un cristianesimo vivo e una civiltà occidentale fiorente il giorno in cui la nazione maronita cessi di essere ciò che era e ciò che è attualmente. Il quesito merita di essere posto, perché è di portata capitale”.