L’Istituto religioso dei Francescani dell’Immacolata, fondato nel 1970 da due sacerdoti conventuali, è, con quasi mille membri tra frati, suore e religiose clarisse, uno dei più recenti e dei più promettenti virgulti dell’immane piantagione dovuta al Serafico Padre san Francesco.
Per loro iniziativa presso il Cenacolo del Ghirlandaio a Firenze il 22 e 23 novembre 2007 è stato organizzato un importante convegno sulla figura sempre attuale e sempre controversa del teologo gesuita Karl Rahner (1904-1984), convegno presieduto da padre Serafino M. Lanzetta.
Ora che gli atti del convegno sono di pubblico dominio (AA. VV., Karl Rahner. Un’analisi critica, Cantagalli, Siena 2009, 18 €), speriamo che si apra un dibattito vasto e interessato sull’apporto alla teologia e alla filosofia del massimo teorico contemporaneo della “svolta antropologica”.
Gli autori dell’opera, teologi sicuri e saldamente fondati nel Magistero della Chiesa, si collocano in aperta continuità con le riserve che furono già espresse tanti anni fa verso il teologo badense da autori del calibro di Antonio Piolanti, Cornelio Fabro, Giuseppe Siri e Leo Scheffczyk.
Il contesto teologico in cui si inserisce l’analisi è quello della radicale secolarizzazione e parcellizzazione della teologia dogmatica e morale che ha fatto seguito al Concilio Vaticano II (1962-1965): il novum conciliare, come lo chiamò Giovanni Paolo II, sembrò ad alcuni prestigiosi e altolocati uomini di Chiesa giustificare una ripresa delle istanze dell’antico modernismo cattolico, nella versione ultima, post-heideggeriana e post-bultmaniana, della Nouvelle Théologie degli anni ’50.
Essendo impossibile ripercorrere qui la serrata critica dei validi autori alla Weltanschauung del gesuita, ci limitiamo a segnalare, come tipico tratto eterodosso, la tecnica eversiva rahneriana. Nel suo splendido saggio sulla virginitas in partu di Maria, il mariologo p. Alessandro Apollonio nota che «il metodo di Rahner andrebbe paragonato ad uno stillicidio corrosivo: corrodere la fede genuina nella Verità rivelata, instillando progressivamente, goccia dopo goccia, piccoli e insidiosi dubbi, mescolati in una massa sostanzialmente buona in sé» (p. 223).
Questa affermazione, purtroppo, potrebbe essere applicata al rinnovamento post-conciliare in genere in cui, una massa di idee e opere sostanzialmente buone in sé, è stata però non già fermentata da uno spirito cattolico puro, cristallino e scevro da compromessi, ma corrotta, ove più ove meno, dallo spirito di adattamento della Rivelazione Divina alla cultura, sempre mutevole ed effimera, dell’astratto e inconsistente “uomo di oggi”.
Prima che correggere le espressioni ambigue che compaiono qua e là in documenti episcopali, iniziative pastorali e sperimentazioni liturgiche, bisognerebbe allora correggere l’intenzione che li ha animati, rinsaldando la pastorale dell’aggiornamento alla dogmatica, l’antropologia e la sociologia semi-cattoliche alla teologia tradizionale, e insinuando nel cuore dei fedeli lo zelo per l’evangelizzazione, la meditazione, la formazione culturale, l’ascesi e la propagazione della fede.
«Per dare un’idea della mens teologica rahneriana, si potrebbe usare anche l’immagine del piano inclinato: Rahner non ha certo toccato il fondo della teologia, ma ha cominciato a inclinare il piano e a muovere i primi passi (…). Si sa, basta un millesimo di grado e la retta inclinata porterà all’infinito una distanza infinita dal piano orizzontale.
Ora, il piano inclinato è quello di una filosofia sbagliata, una filosofia che potremmo definire, parafrasando san Pio X, la sintesi di tutto l’immanentismo moderno» (p. 224).
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