Come abbiamo già informato, il numero ora in libreria del “Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa” è dedicato al Vaticano II e al rapporto tra DSC preconciliare e postconciliare. Pubblichiamo qui di seguito l’Editoriale dell’Arcivescovo Giampaolo Crepaldi che bene inquadra l’intero fascicolo.
S.E. Mons. Giampaolo Crepaldi
(Presidente dell’Osservatorio)
Quale rapporto c’è tra gli insegnamenti sociali e politici di Pio IX, solo per fare un nome di un Pontefice che si colloca propriamente dentro il contesto preconciliare, e Benedetto XVI? Abbiamo deciso di affrontare questo tema per cercare di fare la nostra parte dentro l’Anno della Fede, indetto da Benedetto XVI e dentro l’Anno del Concilio, come anche possiamo dire, data la commemorazione dell’apertura del Vaticano II, avvenuta l’11 ottobre 1962, che si protrarrà per un anno intero .
Abbiamo progettato questo fascicolo tenendo conto soprattutto di tre indicazioni fondamentali.
La prima è quanto dice la Caritas in veritate nel capitolo primo dal titolo “Il messaggio della Populorum progressio”. Qui viene respinta la tesi secondo cui Paolo VI avrebbe inteso in modo minore l’importanza della Dottrina sociale della Chiesa. Era una tesi largamente adoperata e addirittura maggioritaria tra gli addetti ai lavori negli anni Settanta ed è diffusa molto anche oggi.
Questa tesi è sempre stata legata alla valutazione del Vaticano II. Siccome il Vaticano II avrebbe ridimensionato – o addirittura negato, secondo qualcuno – la Dottrina sociale della Chiesa, Paolo VI abbassò il livello del suo insegnamento sociale, scrivendo non una Enciclica ma una Esortazione apostolica – la Octogesima adveniens – e soprattutto scrivendo il famoso paragrafo 4 della stessa Esortazione in cui, secondo molti, toglieva la responsabilità magisteriale in materia sociale al Papa e la delegava ai Vescovi e alle comunità cristiane, riducendo così la Dottrina sociale della Chiesa da “corpus dottrinale”, come verrà ribadito in seguito da Giovanni Paolo II, a discernimento pratico sulle cose da fare in precisi contesti.
Ora, il primo capitolo della Caristas in veritate decostruisce questo paradigma e ne statuisce definitivamente l’inconsistenza. Non solo viene negato che Paolo VI si sia fatto paladino di una Dottrina sociale della Chiesa di livello inferiore, ma soprattutto si nega che il Vaticano II abbia condannato o contraddetto il magistero sociale precedente. E’ stata quindi ristabilita la perfetta continuità del magistero sociale di Paolo VI con quello dei Pontefici che lo hanno preceduto e seguito e la continuità tra Dottrina sociale della Chiesa preconciliare e postconciliare.
Da qui la grande importanza del paragrafo 12 che riporto per intero: «Il legame tra la Populorum progressio e il Concilio Vaticano II non rappresenta una cesura tra il Magistero sociale di Paolo VI e quello dei Pontefici suoi predecessori, dato che il Concilio costituisce un approfondimento di tale magistero nella continuità della vita della Chiesa. In questo senso, non contribuiscono a fare chiarezza certe astratte suddivisioni della dottrina sociale della Chiesa che applicano all’insegnamento sociale pontificio categorie ad esso estranee.
Non ci sono due tipologie di dottrina sociale, una preconciliare e una postconciliare, diverse tra loro, ma un unico insegnamento, coerente e nello stesso tempo sempre nuovo. È giusto rilevare le peculiarità dell’una o dell’altra Enciclica, dell’insegnamento dell’uno o dell’altro Pontefice, mai però perdendo di vista la coerenza dell’intero corpus dottrinale. Coerenza non significa chiusura in un sistema, quanto piuttosto fedeltà dinamica a una luce ricevuta.
La dottrina sociale della Chiesa illumina con una luce che non muta i problemi sempre nuovi che emergono. Ciò salvaguarda il carattere sia permanente che storico di questo «patrimonio dottrinale che, con le sue specifiche caratteristiche, fa parte della Tradizione sempre vitale della Chiesa. La dottrina sociale è costruita sopra il fondamento trasmesso dagli Apostoli ai Padri della Chiesa e poi accolto e approfondito dai grandi Dottori cristiani.
Tale dottrina si rifà in definitiva all’Uomo nuovo, all’«ultimo Adamo che divenne spirito datore di vita» (1 Cor 15,45) e che è principio della carità che «non avrà mai fine» (1 Cor 13,8). È testimoniata dai Santi e da quanti hanno dato la vita per Cristo Salvatore nel campo della giustizia e della pace. In essa si esprime il compito profetico dei Sommi Pontefici di guidare apostolicamente la Chiesa di Cristo e di discernere le nuove esigenze dell’evangelizzazione. Per queste ragioni, la Populorum progressio, inserita nella grande corrente della Tradizione, è in grado di parlare ancora a noi, oggi».
Sono evidenti in questo paragrafo i richiami diretti o indiretti alle indicazioni sulla corretta interpretazione del Concilio date da Benedetto XVI nel famoso discorso alla Curia Romana del 22 dicembre 2005, che in questo fascicolo del Bollettino sarà richiamato più volte. E’ questa, infatti, la seconda indicazione fondamentale che abbiamo tenuto presente nel programmare questo numero. In quell’occasione il Papa ha fissato dei punti ben precisi, ma non per chiudere la riflessione sul Concilio, bensì perché potesse continuare dentro un percorso proficuo.
C’era in quelle sue parole la profonda preoccupazione per una interpretazione sbagliata, infruttuosa e addirittura molto dannosa per la Chiesa. C’era anche la constatazione che l’interpretazione corretta aveva dato dei buoni frutti e che ne avrebbe dato di maggiori se ben coltivata. Il Papa sa che l’interpretazione del Vaticano II non è finita, egli stesso la incoraggia e la favorisce, dando però delle indicazioni procedurali da rispettare se si vuole che dia frutti. C’è infatti il pericolo che anche in questo “Anno del Vaticano II” si ripetano le contrapposizioni pregiudiziali già viste o che addirittura, esacerbate dalla solennità dell’occasione, si inaspriscano ancora di più.
Il punto centrale, a mio parere, è capire bene cosa significhi che il Vaticano II va interpretato alla luce della tradizione. Il primo capitolo della Caritas in veritate, che abbiamo richiamato sopra, esprime molte volte questo concetto. Il paragrafo 10 dice che anche la Dottrina sociale della Chiesa è una “tradizione”, e lo è perché la Dottrina sociale della Chiesa assume come punto di vista quello della «Tradizione della fede apostolica», come Benedetto XVI ha ribadito ad Arequipa nel maggio 2007. Nel paragrafo 12, che ho riportato testualmente sopra, la parola tradizione c’è ben due volte.
C’è poi un terzo elemento che ci ha guidato nella programmazione di questo fascicolo del Bollettino. Joseph Ratzinger ha dedicato nei suoi scritti una notevole attenzione al Concilio. Lo ha fatto come teologo, come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, come Cardinale, prima che come Sommo Pontefice. Da tutti questi suoi interventi mi sembra che emerga una importante indicazione di metodo. C’è bisogno che la corretta interpretazione del Concilio diventi “movimento”. Lo ha detto più volte nel campo liturgico, auspicando appunto un nuovo “movimento liturgico” come quello che aveva preparato il Concilio.
Ciò renderà possibili poi anche delle riforme e la stessa “riforma della riforma”. Credo che questo valga anche per la Dottrina sociale della Chiesa. Il suo utilizzo e la sua interpretazione in molti casi sono attardati su posizione tipiche degli anni Settanta, di sostanziale negazione o di stemperamento in un generico servizio al mondo senza basi di verità. In questi casi i riferimenti all’ordine sociale e alla legge naturale sono considerati superati.
Si accetta acriticamente la secolarizzazione, ritenendola una purificazione della religione cristiana, senza considerare che la secolarizzazione religiosa porta a quella etica e finisce nel nichilismo. Negare il valore di verità pubblica della religione cattolica comporta anche un inaridimento della vita spirituale ridotta a soggettivismo. C’è bisogno quindi di un “movimento della Dottrina sociale della Chiesa” che, secondo lo schema della “riforma nella continuità”, riprenda la tradizione e ricollochi esistenzialmente la Dottrina sociale dentro la totalità della dottrina cristiana e dentro la vita della Chiesa.