Pier Giorgio Liverani
Cominciamo dagli animali che, potrebbe dire qualcuno, nella storia della creazione precedettero, cronologicamente, l’uomo, anche se poi divennero, in buona parte, antropodipendenti. A forza di convivere pigramente con gli esseri umani, che forniscono loro cibo, cure e residenza, anch’essi hanno imparato da qualche tempo a rivendicare i loro «diritti civili». La richiesta ha ormai raggiunto gli uffici pubblici, perché come gli umani ottengono dalle amministrazioni comunali i registri delle coppie di fatto, così gli animali hanno ottenuto che in Municipio sieda il «Delegato del Sindaco per i diritti degli animali».
Così incoraggiate, l’Associazione Nazionale dei Comuni italiani e la Federazione Italiana Associazioni Diritti Animali e Ambiente hanno predisposto il testo di un «Regolamento-tipo» (cinquanta articoli), che sarà chiamato «Carta dei diritti per gli animali in città»: «diritti civili» anche questi, forse più civili di altri (di quelli di aborto, di eutanasia, di fecondazione artificiale…).La Carta prevede che ogni cittadino possa essere accompagnato ovunque dalla sua bestiola: nel condominio e in autobus come al ristorante, in spiaggia e in treno, al cimitero e perfino in ospedale.
Vietata anche la vendita di animali ai pregiudicati e proibito ai mendicanti di tenere con sé un animale. Siamo alle solite discriminazioni sociali: chi avrebbe più bisogno della compagnia di un pet non può averla. Il che fa pensare che gli unici luoghi non accessibili a cani, gatti, uccellini e tartarughe siano il carcere e la strada, dove gli animali starebbero meglio che in casa o nei bus. Al contrario – ma questo accade in Germania – un gruppo di quindici deputati socialdemocratici ha chiesto al presidente del Bundestag, Norbert Lammert, di consentire ai deputati di partecipare ai lavori parlamentari in compagnia dei loro cani.
Bioetica utilitaristica
Con una certa evidenza tutto ciò sembra procedere dal pensiero del filosofo australiano Peter Albert David Singer, da molti ritenuto uno dei pensatori contemporanei più importanti nel campo dell’etica (parole in libertà: Singer è il fondatore dell’«etica utilitaristica», che è l’etica meno etica che ci sia). Secondo Singer «la valutazione sulla liceità etica di un’azione deve tenere conto delle conseguenze che questa provoca e delle preferenze di tutti gli esseri coinvolti». Un caso tipico di bioetica utilitaristica portato da questo filosofo è la validità morale dell’eutanasia neonatale dei bambini menomati fisicamente o mentalmente. Cosa che un certo mondo medico e bioeticista olandese ha subito applicato.
Già dieci anni fa, il professor Eduard Verhagen aveva annunciato che la sua équipe neonatale dell’Università di Groningen, in Olanda, aveva praticato l’eutanasia su ventidue neonati affetti da spina bifida. Adesso Verhagen spiega che, da un punto di vita medico, è meglio eliminare il bambino appena nato piuttosto che farlo abortire.
È il cosiddetto «Protocollo di Groningen», che si richiama alla legge che pochi anni fa aveva legalizzato l’eutanasia infantile. Invece un caso atipico di questa bioetica è la recente legge spagnola che, sempre su suggerimento del prof. Peter Singer – «È tempo di estendere la comunità umana anche ai primati» -,assicura a questi animali (gorilla, bonobi, scimpanzè, oranghi) alcuni dei diritti fondamentali dell’uomo: per esempio quello alla vita, con la conseguenza che, anche per il valore economico di questi animali ormai a rischio di estinzione e diversamente dalla donna, è proibito far abortire una scimmiona.
C’è poco da meravigliarsi per questa preferenza: a Venezia, nel parco di Villa Greggia, sestriere di Cannaregio, ai genitori è stato raccomandato di evitare che i bambini giochino rumorosamente per non disturbare i cagnolini che scorrazzano in quel verde. Questo sforzo degli uomini di parificare gli animali a sé stessi è la fase preliminare del passaggio dall’egoismo ali’«egoaltruismo», atteggiamento puramente razionalistico e totalmente scevro da ogni venatura di generosità, che il biologo, genetista e immunologo francese Philippe Kourilsky ha già teorizzato e pubblicizzato in due opere: il Manifesto dell’altruismo e // tempo dell’altruismo, dove spiega che la «novità» di questa filosofia «è l’assenza di ogni impulso di generosità o tensione emotiva: l’altruismo deve essere un puro atto dettato da considerazioni intellettuali, un altruismo scientifico».
Dell’altruismo Kourilsky fa, kantianamente, «un imperativo categorico, un dovere etico», un atteggiamento «scientifico e anaffettivo» lontano da ogni sentimentalismo. È con quest’atteggiamento intellettuale (stavo per scrivere «sentimento») che si può ragionare (ancora una volta questo verbo non va preso sul serio) sull’eutanasia anche dei bambini, sul suicidio assistito, sull’eugenetica, sulla cibernetica, sul trapianto della testa e sull’abolizione del padre e della madre, da sostituire con i genitori «A» e «B» oppure «uno» e «due». Tutte cose di cui si parla sui quotidiani con la nonchalance delle cose consuete di tutti i giorni.
L’anticamera dell’«asessualismo»
Invece la nuova collocazione sessuale e onomastica dei genitori, privati del sesso, senza nomi qualificativi, senza accenni alla famiglia non è soltanto l’avvio all’era del gender, vale a dire del sesso a scelta e a tempo, ma è l’anticamera dell’«asessualismo».
Questa rubrica si era iniziata, qualche mese fa, con la storia svedese dell’asilo «neutrale» dove gli alunni non sono bambini e bambine, ma friend, che vuoi dire indifferentemente amico o amica. Ora si ha notizia che anche a Toronto, in Canada, una «creatura» (nome grammaticalmente femminile, che però non comporta indicazioni di sesso) sta crescendo nella sua famiglia senza che lui/lei e lei/lui sappiano o facciano sapere se è maschietto o femminuccia. Nelle scuole della Gran Bretagna, del resto, è già fortemente raccomandato di non usare i termini father e mother per non mettere a disagio i figli di due madri o di due padri.
In Francia, invece, il ministro della Pubblica Istruzione, Vincent Peillon, apre nuovi preoccupanti panorami. Ha annunciato per il 2015, infatti, l’istituzione obbligatoria nelle scuole di tutti i gradi e tipi, di una nuova materia di studio: la «morale laica». Insegnerà, probabilmente, la liceità dell’aborto e dei matrimoni omosessuali, la bellezza del divorzio e dell’eutanasia, la ricchezza delle duplicità, nella stessa «famiglia», della maternità o della paternità e soprattutto la religione dell’ateismo.
Una sua collega, Madame Najat Vallaud-Belkacem, ministro dei Diritti delle Donne e portavoce del Governo, ha già anticipato l’adeguamento degli asili infantili: spariranno anche lì le distinzioni di genere (niente giochi da bambina o da bambino, bambole e automobiline per tutti) e si avvierà l’insegnamento della suddetta morale, perché la scuola, secondo Peillon, sarà il luogo privilegiato della nuova «rivoluzione spirituale». Si lascerà alla Chiesa e all’ambito privato ogni insegnamento spirituale e nelle scuole di Stato s’insegnerà «l’oblio per tutto quanto precede la nuova Rivoluzione Francese»: via ogni legame pre-repubblicano, la nuova scuola sarà anche la nuova chiesa con i suoi ministri e la sua nuova liturgia.
«Non si tratta della laicità positive né di quella identitaire, ma della laicità d’opposition», militante e aggressiva, che dovrà emancipare giovani d’oggi e di domani da ogni «determinismo» famigliare, religioso, biologico, sociale. La Chiesa cattolica ha fatto il suo tempo, occorre sostituirla con lo Stato «laico» e soprattutto «etico». Vanno sparendo, insomma, non soltanto i sessi e i relativi ruoli.
Con il patrocinio della UÈ, si va verso una famiglia alfanumerica composta di due partner e di uno o più amici, purché nel senso più indifferenziato di questo nome, in sintonia con la nuova morale laica e con la «chiesa repubblicana». Il tutto sarà formalizzato nel 2015 dalle nuove carte d’identità europee, sulle quali il termine «sesso» sarà sostituito dalla più politicamente corretta sigla «IG», cioè «identità di genere», cioè di gender. Più sbrigativo e pratico,
il servizio di posta elettronica «gmail» (Google mali), che a coloro che chiedono una casella di posta telematica già ora impone di mettere un flag (?) su una delle tre caselle prediposte: uomo, donna o «altro».
L’altro può voler dire molte cose: in Turchia una giovane donna, che due anni fa, nell’ospedale universitario Akdeniz, di Antalya, aveva subito il primo trapianto al mondo di utero, è ora risultata incinta (i necessari ingredienti usati in questo caso erano omologhi, cioè suoi e del marito). Cose turche, si dirà, ma in realtà giochi da ragazzi a confronto con due progetti in lavorazione negli Stati Uniti. Il primo è il trapianto di un cervello umano in un robot, «primo passo verso l’immortalità», messo allo studio nel luglio del 2012 a San Francisco da un imprenditore russo -Dmitri Iskov, 32 anni – che ne garantisce il successo entro il 2045.
Il suo progetto mira, in sostanza, a realizzare degli avatar (una specie di alter egd) che, sostiene, potranno vivere per sempre conservando ricordi, caratteri, mentalità e affetti nel cervello trapiantato e, magari, andando anche a lavorare per conto del primus ego. Tanto più che «acquistare un avatar costerebbe meno di una utilitaria», ha detto Iskov al «Global Future Congress» tenutosi a New York, a metà del giugno scorso. Il secondo progetto è il trapianto di testa, di cui già si parla e che a qualcuno di coloro che sono implicati nel caos etico di tutte queste storie, potrebbe essere utile